Quei frammenti di storia chiusi nel cassetto

Un’idea che forse varrebbe la pena di sviluppare

Approfittiamo dell’elasticità di questa testata per suggerire un’idea che forse varrebbe la pena di sviluppare, avendo come fulcro proprio Civico20News. Ecco di cosa si tratta.

L’idea nasce dalla lettura del libro La fotografia di autore non identificato di Roberto Mutti (Silvana Editoriale) e direttore del Photofestival Lombardo, che ha suggerito di guardare alle cosiddette “foto ricordo” in un’ottica forse più antropologica e storica di quanto si faceva allora, cioè quando c’era la pellicola.

L’autore pone in evidenza quanto sia cresciuto il collezionismo che caratterizza questo genere di immagini. In effetti ha ragione e chi, come lo scrivente, è un affezionato frequentatore del Balon, non può che confermare questa tendenza. Ormai da tempo ci capita di osservare persone che spulciano dentro scatoloni colmi di fotografie di prime comunioni, viaggi, nozze, feste, eventi sportivi e via discorrendo.

Praticamente la vita piccola di ognuno di noi, quando avevamo l’abitudine di raccogliere in formati standard di carte (in genere: 7x10; 9x13; 13x18) le fotografie negli album, oppure negli “albumini” sui quali quasi sempre era impressa la ragione sociale del fotografo a cui avevamo affidato lo sviluppo e la stampa della pellicola.

Oggi, nell’epoca dello smartphone è tutta un’altra cosa… nel bene e nel male…

Di certo il procedimento digitale ha fatto perdere alla fotografia tradizionale un po’ della sua aura, forse un po’ del suo mistero determinato dai tempi fisiologici che separavano l’evento della ripresa da quello dello sviluppo e stampa.

Forse nella perdita di quest’aura è anche venuto meno il bisogno-desiderio di scattare “foto ricordo”? Quasi certamente non è il caso di buttarsi a capofitto in elucubrazioni filosofiche e in dibattiti ontologici, perché ci pare che la questione sia più prosaica. Infatti, le foto-ricordo abbiamo ormai l’abitudine di “spedirle” per whatsapp: e quando le riceviamo qualche volta le “salviamo” ripromettendoci di stamparle, “poi”: in un tempo che quasi mai diverrà realtà.

Come negare che l’overdose di immagini ci ha fatto perdere il piacere antico della fotografia sulla scrivania o nel portafoglio.

Al di là delle ragioni del collezionismo tout court, questo corpus di fotografie (saranno milioni) raccoglie anche una parte di informazioni storiche. Infatti, pensiamo a quante di queste fotografie, oltre ai figli in posa, parenti vari e amici, contengono anche frammenti del contesto ambientale che possono avere un valore storico. Valore che è particolarmente rilevante se hanno almeno cinque-sei decenni, meglio ancora se più “antiche”.

Insomma l’ipotesi è quella di pensare a queste fotografie – spesso gettate via man mano che le generazioni si spengono, o nella migliore delle ipotesi ammassate sui banchi dei mercatini – come a un’opportunità per fare archivio, anche solo per constatare quante cose siano cambiate nel corso del tempo. Avendo ovviamente come focus, nel nostro caso, Torino e Piemonte.

Inoltre, non è da escludere che da quelle semplici inquadrature possono scaturire interessanti spunti un po’ a tutti i livelli.

Proviamo a pensarci…

 

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Articolo pubblicato il 30/01/2024