Ricostituire dalle macerie un nuovo tessuto socioeconomico sostenibile. 3di3

Dare e ricevere direttamente una parte dell’utile prodotto da ogni attività presente sul territorio, in uno scambio reciproco continuo.

In questi concitati giorni stiamo assistendo ai vari tentativi di trovare la formula magica per far ripartire le lezioni scolastiche nel migliore dei modi. Con o senza mascherine anticontagio secondo l’età dei bambini, con o senza banchi monoposto semoventi (con sistemi automatici anticollisione spero!), con o senza distanziamento minimo, con aule al chiuso o all’aperto, ubicate in capannoni, in case private o a casa del ministro di turno a Timbuctù.

Se questa situazione si verifica in ambito scolastico, figuriamoci cosa sta accadendo negli altri ambiti come la sanità, oppure nel campo del lavoro in cui sono implicati numeri e interessi ancora maggiori. Ecco perché, pur riconoscendo che tutti i coinvolti stanno facendo il meglio che possono, non vedendo all’orizzonte alcun segnale di fumo che indichi con sufficiente certezza la direzione da prendere, ho buttato nel mezzo della mischia queste considerazioni di cui forse (o senza forse) potevamo fare a meno.

 

La prima è stata approfondita nel precedente articolo.

 

La seconda è che chiunque faccia parte dell’ambito, organismo, o impresa messi in atto, a qualunque titolo e impegno, dia e riceva direttamente una parte dell’utile prodotto da ogni attività presente sul territorio, in uno scambio reciproco continuo.

 

Sembrerebbe ovvio, quindi occorre spiegare perché non lo è.

 

A qualunque titolo e impegno significa una non ovvia differenza, che è quella di remunerare direttamente in qualche modo anche chi fa parte dell’organismo che permette l’esistenza dell’impresa anche se non direttamente coinvolto. Per esempio il semplice abitante di un paese in cui sia ubicata una qualsiasi impresa.

 

Per quale ragione dovrebbe essere messa in atto una cosa di questo genere apparentemente insensata?

 

Per una ragione molto sottile, ma potente, che sebbene all’inizio possa sembrare un’iniziativa folcloristica, invece ha una sua logica precisa e funzionale.

 

Eccola.

 

Sappiamo bene che alcuni servizi come scuola, trasporti e sanità sono fruibili dai cittadini attraverso lo stato grazie al pagamento delle tasse; tuttavia molti altri servizi, non così evidenti perché collocati in una zona grigia né statale né privata, sono invece gestiti da altre organizzazioni più o meno no profit o volontarie. In ogni caso tutte le tasse provengono da ciò che crea reddito, ovvero anche dalle imprese.

 

Al privato cittadino le tasse ritornano indirettamente sotto forma di servizi forniti dallo stato. Essendo però non così evidente tale meccanismo, sembrerebbe non esserci relazione tra chi paga le tasse, producendo reddito, e chi ne usufruisce. Questo fatto crea una discontinuità tra causa ed effetto, interrompe il filo che le collega, e quindi genera una errata percezione di tale relazione che, in mancanza di sufficiente senso civico prima ancora della capacità di coglierne il collegamento, produce disaffezione e senso di estraniamento dal tessuto sociale in generale.

 

Per ovviare a tale stato di cose sarebbe auspicabile che, anche solo in piccolissima parte, ciò che una impresa versa come tasse allo stato venisse data direttamente agli abitanti del territorio in cui agisce tale impresa e viceversa.

 

Ristabilendo in tal modo un legame diretto tra chi produce lavoro e reddito e versa le tasse, e chi usufruisce dei servizi, quest’ultimo avrebbe tutto l’interesse a contribuire in ogni modo al benessere dell’impresa e del contesto nel quale si trova per permettere che tutto ciò continui a funzionare.

 

Sembra assurdo e utopico che possa accadere, ma come accennato in precedenza, ci sono esempi che confermano tali possibilità. Naturalmente occorrerà tempo prima che la consapevolezza di alcuni si manifesti e superi lo scetticismo di altri, che peraltro potrebbero perfino cambiare idea, ma si inizia sempre da un primo passo e vediamo quanti passi ha già fatto l’umanità contro ogni previsione sconfortante o assurda (basti pensare che finora, in questa parte dell’Europa, abbiamo vissuto, e stiamo continuando a vivere, il più lungo periodo di tempo senza guerre e di maggiore prosperità, anche in questi drammatici frangenti).

 

Potrebbe perfino accadere che, poco alla volta e senza quasi avvertirne i segni, sempre più persone comprendano che, per continuare a beneficiare di ciò che ritengono scontatamente un loro diritto, sia altresì un dovere inderogabile fare la propria parte nei confronti di chiunque permetta che questa condizione permanga. Senza attendersi niente, in modo spontaneo, con suggerimenti o contributi pratici, esse potrebbero iniziare a dare il loro contributo per ideare, sviluppare, mantenere, attività utili di ogni genere per chicchessia, compreso attivarsi direttamente per tenere pulito il contesto in cui vivono, salvaguardando la natura ed altro, futuro dei figli compreso, senza bisogno di raggrupparsi ed identificarsi in associazioni specifiche o organizzazioni troppo complesse.

 

Così, azione dopo azione, si può costituire un nuovo tipo di tessuto sociale più direttamente coinvolgente, meno strutturato e snello, più comprensibile e meno burocratizzato, con più consapevole attenzione alla propria sfuggente intrinseca pericolosità e più spazio operativo individuale e responsabile a vantaggio della qualità della vita di tutti.

 

Una magia che può essere compiuta semplicemente riutilizzando in modo più intelligente e meno speculativo quello di cui già si dispone.

 

Un suggerimento concettuale e una sollecitazione ad agire che le attuali contingenze ci mettono a disposizione per farne buon uso.

 

O anche un ennesimo appuntamento con il destino!

 

Che non si cura di tutti i nostri lamenti e preoccupazioni per metterci di fronte alla realtà, nuda e cruda, con tutte le conseguenze e responsabilità.

 

 

grafica e testo

pietro cartella

 

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Articolo pubblicato il 23/08/2020