L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Referendum: Che fare dopo il SI o il NO?

La lezione dimenticata del Professor Gianfranco Miglio

Domenica e lunedì prossimo saremo chiamati alle urne, per esprimere il nostro consapevole voto sul Referendum confermativo. Abbiamo ascoltato pareri eruditi, che ci auguriamo contribuiscano a far riflettere l’elettore, sommerso  da troppe frasi fatte e calcoletti approssimativi sul costo della tazzina del caffè. Tra i contributi positivi, citiamo due riferimenti. Carlo Mariano Sartoris, che il 7 settembre dalla colonne di Civico20News con dovizia di riferimenti e citazioni, ci ha saggiamente riportato allo Statuto Albertino ed alla Costituente, quando la dignità del parlamentare eletto a rappresentare i concittadini nel più alto consesso della democrazia rappresentativa era tutt’altra cosa, rispetto ad oggi.

Da allora, salvo lodevoli eccezioni, ci divide la concezione della rappresentatività, la dignità, il disinteresse, l’abnegazione e, soprattutto l’etica e la preparazione dell’eletto. La progressiva mancanza di questi elementi, nell’opinione pubblica, ha contribuito a far scadere di livello e di importanza l’Istituzione parlamentare, scatenando l’antipolitica ed i risultati sono sotto i nostri occhi.

Altre degne di riflessioni ci sono parse le conclusioni realiste e forse profetiche scaturite dalla vena pessimistica di Tito Giraudo, che, al termine della sua articolata esposizione, afferma: “se vince il Si, vincono i Grillini e di riforma del Parlamento non se ne parlerà almeno per 10 anni, se dovesse vincer il NO cosa praticamente impossibile perché a Destra gli unici indecisi sono i Forzisti rimasuglio di un glorioso (si fa per dire) passato, più nessun Partito proporrà una riforma che palesemente porta sfiga” Per poi concludere.” Eppure mai come dopo la pandemia, una riforma del Parlamento in questi mesi mortificato dall’avvocaticchio del popolo e dal protagonismo un po’ scalcagnato dei Governatori, sarebbe più che mai necessaria. E io, con questi chiari di luna dovrei andare a votare? Amici del NO, andate voi a suicidarvi.”

Non intendiamo suicidarci, ma siamo fermi nelle nostre convinzioni. In questa settimana sentiremo ancora voci autorevoli ed appelli di ogni tipo. Poi la parola passerà agli elettori e, senza quorum, secondo la regolamentazione propria del referendum confermativo, sarà sufficiente un voto in più per determinare la vittoria di uno schieramento o la sconfitta. In attesa del risultato, la partita per coloro che vorrebbero l’affermarsi della Res publica autorevole e non ridotta ad un colabrodo, con le Istituzioni insignificanti e svilite, rimane ancora aperta, a prescindere dall’esito referendario.

E per non parlare a vanvera di Diritto Costituzionale o di filosofia della politica, in questi giorni corre il pensiero ad  un grande studioso che ho conosciuto, apprezzato ed ascoltato: Gianfranco Miglio, morto il 10 agosto di 19 anni fa. Miglio fu “il maggior tecnico delle istituzioni e l’uomo più colto d’Europa”, secondo la definizione che di lui diede il grande giurista tedesco Carl Schmitt.

Nei suoi studi, Gianfranco Miglio profetizzò la fine del parlamento su base nazionale, il cui destino sarebbe stato quello di un organismo dotato di una sempre più ridotta capacità decisionale e, soprattutto, scavalcato sulle questioni politicamente ed economicamente più importanti da istituzioni che agiscono dall’esterno. Preconizzò anche la scomparsa dei grandi partiti di massa e di opinione, sostituiti da quelle che lui definirà «aggregazioni di interessi, nelle quali non conta più l’ideologia ma il carisma dei capi e l’uso scientifico della propaganda».

Profetizzò la fine delle Costituzioni nate sul modello del diritto pubblico europeo soprattutto ottocentesco, intese come totem sacri intoccabili ed immodificabili, e la loro sostituzione con strumenti molto più flessibili, dinamici e variabili di generazione in generazione. Intuì, soprattutto, che il progresso tecnologico e l’avanzata dei processi di automazione avrebbero assestato un colpo ferale ad un altro fondamentale pilastro dello Stato moderno: l’apparato burocratico. Soprattutto l’innovazione digitale avrebbe rivoluzionato la vecchia struttura amministrativa napoleonica, con la conseguente eliminazione di decine di migliaia di funzionari di ogni livello. Profetizzò, infine, che l’avanzata tecnologicasoprattutto nel settore bellico con gli armamenti atomici, avrebbe definitivamente fatto tramontare l’idea della guerra convenzionale di confine e il concetto di forze armate come lo si poteva immaginare fino al XX secolo. Un esercito di pochi professionisti che svolge compiti di polizia e simboliche missioni di pace all’estero non è certo l’esercito da guerra dello stato nazionale novecentesco.

Ora, di fronte a questo inesorabile scenario profetico, in gran parte già realizzato, Gianfranco Miglio ebbe il coraggio di formulare alcune proposte di ristrutturazione istituzionale in senso federale e autonomista. Ricordiamo, per esempio, l’idea delle tre macroregioni e i principi indicati nel cosiddetto “Decalogo di Assago” del 1993. Sono ipotesi che si possono condividere o meno, ma che certo prima o poi dovranno inesorabilmente essere oggetto di dibattito. Quello che reputo assurdo è il pregiudizio ideologico che tende a precludere aprioristicamente la messa in discussione del modello di Stato unitario ottocentesco, risorgimentale e accentratore, già in fase di decomposizione e comunque destinato inevitabilmente all’implosione.

Non è con la logica dello struzzo che si affrontano i cambiamenti, e non è razionale restare sentimentalmente ancorati a modelli istituzionali ormai superati dal tempo e dalla storia. La stessa emergenza pandemica del Covid-19, peraltro, ha chiaramente evidenziato l’assoluta esigenza di una vera e concreta autonomia dei territori e delle diverse comunità locali. La realtà, dando ragione a Miglio, ci ha purtroppo insegnato che gli Stati unitari, centralisti e burocratici sono diventati oramai macchine fiscali insaziabili, indebitate e fuori controllo, destinate ineluttabilmente a bruciare le ricchezze prodotte dalla società, e incapaci di rispondere alle concrete e diverse esigenze delle comunità locali.

Solo dei politici irresponsabili e criminali possono ignorare quest’altra grande verità evidenziata da Miglio: non è possibile migliorare la macchina statale lasciando intatta la sua struttura di fondo. Solo un incosciente oggi potrebbe non rendersi conto che lo Stato italiano è ormai irriformabile. La burocrazia, la giustizia, il fisco – solo per citare alcuni esempi – non sono più riformabili. E qualunque tentativo di miglioramento, avrebbe gli stessi effetti dei classici pannicelli caldi. La struttura istituzionale del nostro Paese nel suo complesso è come un’automobile con un motore fuso. E non è neppure un problema di pilota. Chiunque aspiri, dunque, ad amministrare questo Paese come fa a non porsi il problema della sostituzione del motore?  

Spazzato il malgoverno dei grillini e di un PD ormai completamente succube agli ultimi strapuntini del potere, Berlusconi e Salvini pensano davvero di poter governare l’Italia con l’attuale sistema istituzionale? Con l’attuale struttura amministrativo-burocratica? Con l’attuale regime fiscale? Con l’attuale sistema della giustizia? C’è un solo modo per essere credibili ed è quello di ipotizzare un azzeramento completo ed una ricostruzione ex novo sulla base di un diverso assetto istituzionale non più rivolto agli schemi ottocenteschi ma orientato al futuro, verso modelli più moderni, in cui sia ridotta la presenza pervasiva dello Stato a vantaggio della società e di una vera autonomia delle comunità locali.

 

Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

 

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Articolo pubblicato il 13/09/2020