Negazionisti e Affermazionisti
Karl Popper

La nuova pedagogia di regime

Il negazionismo è la nuova emergenza pedagogica: negare quello che tutti dicono è brutto e cattivo ed è un atteggiamento che deve essere immediatamente corretto.

Chi, come molti di noi, era adolescente o comunque giovane negli anni settanta, ed ha avuto una qualche forma di educazione superiore, ha incardinato in sè la cultura del dubbio, che è comunque una forma di negazionismo attenuato, e non si è mai sentito in colpa, anzi. Questo negazionismo attenuato, o cultura del dubbio, per usare un paragone che piacerà in questi tempi di emergenza sanitaria, è come un vaccino intellettuale: un presidio sanitario che ci preserva dal virus della certezza ad ogni costo, soprattutto da quella certezza che i mezzi di comunicazione vogliono cementare nelle nostre percezioni e nelle nostre opinioni.

Il dubbio metodologico che, da Cartesio a Popper, passando attraverso Occam e Galileo, viene considerato come una delle strade più sicure verso la conoscenza appare oggi quasi come un pubblico peccato intellettuale. Negare qualcosa viene visto non più come un passo verso certezze più alte e raffinate, ma come un attentato alla coesione sociale, un qualcosa borderline, al limite del reato o -per alcuni- un sintomo di malattia mentale, come nei totalitarismi storici o nelle distopie letterarie.

Negare il Coronavirus non è una posizione sbagliata o discutibile, è un crimine. Se esistono i negazionisti  evidentemente esistono gli affermazionisti, e questi ultimi sono diventati i padroni del pensiero grazie al dilagante, ossessivo supporto dei mezzi di comunicazione che riempiono il nostro tempo con immagini, parole, pensieri che non hanno altro oggetto che la cosiddetta pandemia.

Intendiamoci, che ci sia stata nel mondo e nel nostro paese un’emergenza sanitaria nessuno lo nega: quello che non si riesce a comprendere è la bulimia informativa e l’aggressività propagandistica che si sono costruite sopra di essa. Ogni volta che si accende un televisore, si apre un giornale, ci si colloca su un sito internet si ha la sgradevolissima sensazione che tutti questi strumenti siano ormai il veicolo di un allarme sociale e di una intollerante pedagogia sanitaria finalizzata a scopi che ci sfuggono.

Escluse quelle persone che per ragioni di età, di mezza cultura, di pigrizia informativa si adeguano alla vulgata corrente di un virus mortifero da combattere con ogni mezzo, non escluso il codice penale, l’abbattimento delle libertà individuali e la demonizzazione sociale, sempre più gente si dimostra invece sospettosa verso questa operazione di indottrinamento politico-sanitario.

Operazione di cui sembra essersi appropriata la sinistra, che ha adottato come cifra culturale, politica e operativa il bigottismo salutista e affermazionista dando non solo a chi nega ma anche a chi critica queste presunte verità l’etichetta di cripto-criminale accostandolo semanticamente a chi nega l’olocausto ebraico.

“Negazionista” non è una qualifica, ma un pugno in faccia. Tra un po’ anche “riduzionista” diverrà uno schiaffo da rifilare a chi prova a pensare e dire una cosa diversa su questo problema sanitario, che è -appunto- un problema sanitario e non l’Armageddon della nostra civiltà.

Il micidiale principio di precauzione-prevenzione, che tanti danni ha già fatto in passato in una società che rifiuta l’idea stessa di rischio, e che tanta normativa demenziale ha prodotto nel corso degli anni, oggi ha trovato la sua apoteosi: norme e regole di una stupidità suprema hanno infestato e infestano la nostra vita quotidiana, abrogando quelle del buon senso, e rendendola una corsa ad ostacoli o un labirinto da luna park. Si pensi solo al rientro scolastico di questi giorni in cui bambini e giovani non sembrano andare a scuola ma al fronte di una guerra batteriologica.

E’ vero che Israele sta pensando seriamente ad un nuovo confinamento nelle prossime settimane per combattere il malefico virus, ma quello è un paese militarizzato da sempre dove una persona qualunque difficilmente vorrebbe vivere. Di contro ci sono paesi del nord Europa dove da mesi la vita, compresa quella scolastica, non ha subito limitazioni traumatiche e dove non sembra che per le strade circolino carri di monatti, come nella Milano manzoniana. A meno che il virus abbia assunto caratteristiche nazionali (o, peggio, sovraniste) che mutano secondo latitudine e longitudine.

Ma torniamo in tema. Non siamo scienziati, medici, politici o amministratori e quindi saggiamente sospendiamo i giudizi di politica sanitaria usando il criterio popperiano-falsificazionista (in sostanza, negazionista) secondo cui le verità scientifiche sono solo quelle che si possono falsificare, e adottiamo  quello cartesiano del dubbio sistematico ponendoci una semplice domanda: di fronte ad una malattia che gli stessi scienziati non conoscono (perché questa è la verità), ignota nella natura, nella genesi, nello sviluppo, nella durata, nella letalità, nella diffusione, è lecito -per noi gente qualunque- nutrire dei dubbi?

Di fronte ad atteggiamenti politici che, in base al succitato principio di precauzione-prevenzione, hanno portato a drammatiche limitazione di quei diritti che tre secoli di civiltà giudica hanno elaborato e affermato nella nostra civiltà, e hanno prodotto strappi altrettanto drammatici ai nostri principi costituzionali, è lecito porre in atto qualche forma di resistenza civile senza essere bollati come irresponsabili sovversivi?

Di fronte al muro plumbeo dell’informazione che ogni giorno ci rovescia addosso milioni di parole, di immagini, di opinioni, di prescrizioni sanitarie e di comportamento col tono della maestra elementare o del  sergente maggiore, costringendoci a cercare qualche informazione alternativa su siti internet “complottisti”, è lecito domandarci se l’informazione non sia -come sospettavamo da sempre- in mano a modesti pedagoghi di regime nel migliore dei casi, o, nel peggiore, in mano a veri e propri servi del potere, come sosteneva una certa sinistra anni e anni fa?

Se riusciamo a porci in privato queste domande, e magari darci in privato qualche risposta (in pubblico non è consigliabile), forse facciamo una cosa buona per noi stessi e per gli altri.

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Articolo pubblicato il 15/09/2020