L'utopia della realizzazione della democrazia sostanziale

Da 25 secoli il tentativo resta incompleto e deludente

Aristotele (Stagira 384-83 a.C. – Calcide 322 a.C.), filosofo greco e figura tra i grandi pensatori del mondo antico, nella “Politica, VII” ci ha lasciato questo breve capitolo in merito al governo democratico in Atene.

Ecco quali sono le istituzioni democratiche: che tutte le magistrature siano elettive, e che tutti i cittadini possano eleggerle ed esservi eletti; che tutti abbiano autorità su ognuno e ognuno a sua volta su tutti; che le magistrature siano conferite col sorteggio, almeno quelle che non richiedono una speciale esperienza o competenza tecnica [Dapprima le magistrature erano sorteggiate dopo che i candidati eleggibili erano stati designati. Al tempo di Pericle si andò oltre abolendo la designazione e così facendo in modo che quanti presentassero i necessari requisiti potessero essere eletti, N. d. R.]; che le dignità e gli impieghi non siano riservati soltanto a chi possiede una certa somma di rendite, o che almeno questa somma sia molto bassa; che la stessa persona non possa esercitare  due volte la stessa magistratura, o che almeno poche magistrature possano essere coperte dalla stessa persona e per numero di volte limitato; che tutti i cittadini siano chiamati a giudicare nei tribunali e possano sentenziare in ogni sorta di processi e specialmente nei più gravi; e finalmente che il decidere tutte le cose, o almeno le principali, dipenda interamente dall’assemblea dei cittadini e non da un solo magistrato” (da Primavera d’ Europa – Civiltà Greca – pag. 63 - Umberto Boella  - Loescher Editore – Torino).

La storia ci ha confermato che la realtà sopra descritta ebbe modo di manifestarsi nel contesto ateniese in modo incompleto, sovente contradditorio, anche se l’impalcatura istituzionale “democratica” restava formalmente in vigore.

L’istituzione ateniese prevedeva infatti che un numero limitato di cittadini, adulti e di sesso maschile, oscillante da 30.000 a 50.000 su una popolazione di 250-300.000, potesse proporre leggi e votare quelle elaborate dall’organo di governo.

Difficile, se non impossibile, spiegare l’origine e l’evoluzione del pensiero politico che portò alla concezione ideologico-istituzionale della versione ateniese di “democrazia”, ma in mancanza di una documentazione probante, siamo obbligati a dare sufficiente credito alla narrazione di Aristotele.

Questo assunto offre l’opportunità di far emergere diverse brevi considerazioni.

1)- Dal 507 a. C. ad oggi si è tentato in diverse società civilmente organizzate di applicare i punti fondamentali della democrazia, ma sempre con risultati modesti, se non deludenti.

2)- Rivoluzioni politiche e sociali sono avvenute in nome di questa concezione ideale, ma sempre con risultati opposti in quanto il concetto di “democrazia” sovente è stato ridotto a specchietto per le allodole.

3)- Le grandi ideologie dell’Ottocento-Novecento, a diverso titolo, hanno evocato in teoria l’obiettivo di realizzare una democrazia che rappresentasse la volontà dei ceti produttivi e popolari, cioè la maggioranza di una comunità sociale, ma la realizzazione della stessa ha portato molte volte a regimi oppressivi, liberticidi, se non totalitari.

3)- la domanda, che cela un profondo sospetto, è quella se la “democrazia” sia un obiettivo antropologicamente compatibile o meno alla natura di Homo sapiens.

Sembra esserci, nell’essere umano, una dicotomia inconciliabile tra l’elaborazione del concetto e la sua reale condivisione e testimonianza nella pratica sociale e politica.

4)- Ai nostri tempi, in versione aggiornata, ma sostanzialmente antica, assistiamo alla stessa replica delle pratiche falsamente democratiche.

Lo vediamo nella politica, nella vita interna dei partiti (dove le lotte di fazione interne sono più feroci di quelle che si manifestano tra i partiti avversari), nelle associazioni di varia natura, nelle organizzazioni dell’economia e del lavoro, nei luoghi dove l’esercizio del potere impone l’aggregazione di persone in “bande” vincenti che devono pertanto escluderne, in modo anche violento, altre.

Ovviamente la natura di queste manifestazioni di potere si manifesta in un clima di percorsi che hanno o che sono contaminati da un denominatore comune: quello della prevaricazione, dell’arbitrio, del desiderio di dominio, dell’intolleranza, che confermano la negazione del concetto di “democrazia” stessa, inteso nell’eccezione etimologico-politica originale.

Tuttavia, resta ancora un dubbio di fondo: la “democrazia” è un’idea-progetto che da sempre ha cozzato, nella testimonianza della storia, contro la vocazione antropologica di sopraffazione autoritaria dell’uomo verso i suoi simili.

E se questo meccanismo viene riconosciuto come sarebbe possibile concepire che lo stesso dovrebbe avere successo nel garantire la sua applicazione “democratica”, in un contesto più complesso che dovrebbe coinvolgere la comunità? Questa contraddizione pesa come un macigno, restando il vero ostacolo.

Il superamento di questa realtà dovrebbe prevedere una evoluzione in positivo della natura dell’uomo, evento che attualmente non rientra in alcuna ipotesi di reale possibilità.

Esistono alternative oggettivamente credibili e migliorative di questo stato di cose? Non sembra essercene traccia o percezione, anche con la più attenta disponibilità d’osservazione e di onestà intellettuale.

Conseguentemente, per ora e per il prossimo futuro, ci dovremo accontentare di subire e di convivere in una “democrazia truccata” o meglio in un “surrogato” scadente di questa.

Purtroppo, se le cose continueranno in questo verso, dovremo farcene una ragione, prendendo onestamente atto dei limiti e delle meschinità della natura umana.

Così, con buona pace di tutti e con garibaldina “licenza letteraria”, potremo sentirci autorizzati ad inserire provocatoriamente il sostantivo “parodia” tra i sinonimi della “democrazia”.

Nella speranza che poi, ipocritamente, nessuno si scandalizzi.

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Articolo pubblicato il 17/09/2020