La «ragione», facoltà dell'intelletto umano, potrà un giorno trionfare?

L'esperienza storica sembra mettere in dubbio questa possibilità

I tempi attuali, caratterizzati dallo stravolgimento di ogni normalità da parte della pandemia da Covid-19, hanno messo in clamorosa evidenza la debolezza delle strutture del nostro Stato, in particolar modo di quelle sanitarie, burocratico-amministrative e politiche.

In sintesi, il temibile Covid-19 ha messo a nudo un sistema istituzionale farraginoso, incoerente, inquinato dalle mafie, da funzionari infedeli, incapaci e dalle furbizie della peggiore politica, offrendo un quadro di desolante confusione e incertezza che spaventa la comunità tutta.

Tuttavia, quanto sopra elencato potrebbe ancora essere una realtà che è conseguenza ed espressione esclusiva di una causa che potremmo definire primitiva e cioè la grave mancanza della “ragione” (o della ragionevolezza) in troppe azioni decisionali importanti, politiche e non, che hanno un impatto rilevante sulla collettività.

La “ragione”, in ambito filosofico, è la facoltà dell'intelletto per mezzo della quale si esercita il pensiero razionale, ovvero quello rivolto ad argomenti astratti tipici del ragionamento, contrapponendosi alla sfera dell’irrazionalità.

La “ragione” di regola si accompagna all’onestà, alla coerenza, alla giustizia, al buon senso.

Di certo la “ragione” ha sempre trovato una presenza potenziale nei “decisori” (politici e non) di ogni tempo e circostanza, ma è sempre stata assediata, in un confronto perdente, dalla prevaricazione faziosa, dall’opportunismo egoistico, dal desiderio irrazionale di potere, dal peggior cinismo e dalla spregiudicatezza della lotta politica.

La “ragione” pertanto, come l’esperienza dimostra, è stata e continua ad essere troppo spesso soffocata da altri sentimenti e istinti negativi che le permettono di apparire formalmente, ma di non esprimere ed esercitare la sua fondamentale essenza.

Conseguentemente se la “ragione” è l’espressione evolutiva più alta di Homo sapiens, questa deve fare i conti costantemente con i condizionamenti che agiscono nella profondità antropologica dell’uomo di sempre, sia antico che moderno.

Una delle tante conferme di questa realtà ce la offre un estratto de “La repubblica” di Cicerone (gennaio 106 a. C – 7 dicembre 43 a. C) che riportiamo da “Primavera d’Europa” di Umberto Boella – pag. 76 - Volume II – Loescher Editore e che merita una attenta riflessione.

La Vera legge

Esiste una legge assoluta, eterna, non scritta, anteriore a qualsiasi altra legge, la quale fa sentire la sua voce nell’intimo della nostra coscienza; e chi non obbedisce a questa legge rinnega la sua stessa natura di uomo e si condanna, per questo stesso fatto, a subire una pena gravissima: infatti tale legge s’identifica con la ragione, che distingue l’uomo dagli altri esseri; e colpendo la ragione, l’uomo calpesta, distrugge se stesso.

“Dunque la vera legge è la retta ragione conforme a natura, universale, immutabile, eterna, la quale coi suoi comandi richiama al dovere e coi suoi divieti distoglie da male; essa ai buoni non comanda invano di fare il bene o proibisce di fare il male: ma né comandando né vietando muove l’animo dei malvagi.

Tale legge non è lecito attenuarla né modificarla in qualche punto né abolirla del tutto; né il senato né il popolo può dispensarci dall’osservarla; né occorre rivolgersi a Sesto Elio per spiegarla ed interpretarla; né in Roma sarà in un modo, in Atene in un altro, né altra ora, altra fra mille anni: ma tutti i popoli, in ogni tempo, saranno governati dalla stessa legge eterna ed immutabile; ed essa sarà per tutti come unico e comune maestro e dio signore universale: autore e interprete di tale legge; e chi non la osserverà, rinnegherà se stesso; e, calpestando la natura umana, per ciò stesso sconterà le più gravi pene, anche se riuscirà a sfuggire agli altri più comunemente ritenuti castighi”.

(Cicerone, La repubblica, III, 22, traduzione U.B.)

Principi filosofici ed etico-morali di grande levatura quelli sopra riportati, ma la tragica fine di Cicerone, assassinato dai sicari di Antonio e il massacro che seguì con le “liste di proscrizione”, evidenziano che già in quei tempi vinse la “ragione sanguinaria dei vincitori”, non certamente il concetto della “ragione nobile” definita in filosofia.

La storia ci ha offerto con una continuità impressionante fino ai nostri tempi eventi brutalmente similari, in cui la “ragione” è stata utilizzata con interpretazioni distorte, abusive, ma profondamente antitetiche alla definizione e ai principi originali.

Pertanto, se accettiamo che i limiti dell’uomo moderno siano ancora identici a quelli dell’uomo antico, dovremo rassegnarci a considerare che in un prossimo futuro non vedremo ancora il trionfo della “ragione”, come forza taumaturgica tanto auspicata, ma purtroppo assisteremo ancora al mortificante spettacolo della sua costante contraffazione.

 

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Articolo pubblicato il 14/11/2020