L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Il desiderio di tornare alla normalità

Ma siamo sicuri che risulti la scelta vincente?

E’ ampiamente scoccata l’alba del nuovo anno. L’Italia, così come il resto del mondo, ha vissuto momenti di particolare sofferenza sia per l’emergenza sanitaria che per la conseguente crisi economica dovuta alle restrizioni per la lotta al Covid19. Allo stesso tempo l’emergenza pandemica ha mostrato le tante lacune del nostro ecosistema Paese sia in termini di divario digitale rispetto agli altri Stati membri della Ue, sia di arretratezza delle infrastrutture e dei servizi della pubblica amministrazione, chiamati ad una rapida e immediata necessità di ammodernarsi e di abbracciare la trasformazione tecnologica digitale indispensabile per rendere l’Italia un paese più inclusivo, più innovativo e più sostenibile.

In questi giorni, abbiamo ascoltato interventi e considerazioni di ogni genere e ad ogni livello. Dal capo dello Stato sino all’ultimo, avvilente e mediocre consigliere di Circoscrizione e possiamo, con un po’ di distacco, farci un’idea o prendere le distanze.

Cominciamo a vedere la luce alla fine del tunnel, se diamo credito a coloro che sostengono che il vaccino entro pochi mesi ci consentirà di tornare alla stessa vita di prima. Riprenderemo, apprezzandole come non mai, la quotidianità e le abitudini di sempre che a volte ci sembravano così noiose e ripetitive. Questo ritorno alla normalità e l’uscita dalla segregazione non si limita alla nostra sacrosanta libertà di movimento, ma include anche, purtroppo,  la politica, ed a questo punto il grande sollievo generale un po’ svanisce. Con il pensiero, torniamo inevitabilmente indietro di molti anni, quando i principi della nostra civiltà giuridica e della democrazia liberale, sono stati progressivamente erosi dai quaquaraquà di turno.

Viviamo purtroppo nell’era della normalità politica dominata dai levantini, bibitari e improvvisatori che ci ha portato ad essere il Paese con il più alto numero di vittime da Covid-19 in Europa, segnato dalla zuppa e zuffa di poteri e competenze (governo, regioni, sindaci, tribunali) che si accavallano, si scontrano, si annullano, si ignorano ed hanno ridotto l’Italia ad una babele.

Quella normalità politica significa 20 anni di crescita economica zero, debito pubblico al 160% del PIL, gli indici di competitività, occupazione, di istruzione, di connettività banda larga, di investimenti esteri tra i più bassi d’Europa.

Quella normalità politica ha permesso ad una repubblica parlamentare rappresentativa come la nostra, che in un infausto giorno, tre poco rispettabili signori, un informatico di provincia bramoso di salire quelle scale che gli erano precluse, (Casaleggio), un comico di avanspettacolo dal passato oscuro(Grillo), un professorino (Conte) s’incontrassero per formare il governo del “salvo intese” e dell’”uno vale l’altro” che fa perno sulla politichetta tanto attenta alla spartizione brutale del potere, ma sorda ai bisogni effettivi della gente.

La storia, la logica ci insegnano che eventi come una guerra, una pandemia sono talmente sconvolgenti che trasformano la società e introducono una nuova normalità, ma non in Italia. Prendiamo la vicenda del Recovery Fund, con tutti i limiti e le riserve ampiamente espresse da più parti. In sostanza l’Europa ci presta  oltre 200 miliardi di euro nella speranza che finalmente attuiamo le riforme strutturali per trasformare il Paese.

Una classe politica degna, dovrebbe accettare la sfida, pur discutendo condizioni e garanzie. Per il governo invece, questi miliardi sono da spendere subito per decine di opere pubbliche in tutte le regioni, formalmente  per rilanciare l’economia e la sua popolarità, senza però andare troppo per il sottile, quale merce di scambio, contrattata con  clan di diversa  natura e latitudine.

E’ probabile che nei prossimi anni avremo qualche strada e ferrovia  o molte cattedrali nel deserto  in più, ma anche miliardi di debito accumulato e senza avere cambiato l’architettura politico-amministrativa del Paese e quindi con i soliti problemi irrisolti. Curioso e significativo il fatto che il il governo abbia già fissato la struttura che dovrà gestire i progetti fumosi del Recovery Fund. Ed a chi si chiede ingenuamente perché, ci sia bisogno di 6 coordinatori, la risposta è semplice: 2 PD, 2 5Stelle, 1 IV, 1 LEU. Il solito mercato delle vacche che si consuma in un Paese in agonia, con i fuochi fatui attizzati da Renzi, a copertura.

Questo Recovery Fund con oltre 200 miliardi da spendere si preannuncia come la più grande abbuffata politica del secolo, infarcita da mancette e dall’ancor più deleterio reddito di cittadinanza potenziato.

Purtroppo ci tocca disquisire della nostra “cara” (in ogni senso) vecchia normalità, messa in piedi da incolti e demagoghi. Una più razionale e innovativa, la possiamo solo immaginare, persistendo il groviglio di politicanti digiuni di competenze, esperienze lavorative ed onestà.

Ci sono servizi e settori delle Stato che, al di là di ideologie, differenze tra progressisti e conservatori, devono essere riformati: burocrazia pubblica, istruzione, banche, giustizia amministrativa. Il potere politico potrebbe delegare a commissioni indipendenti di esperti e stakeholders di studiare con udienze pubbliche le problematiche di quei settori da riformare e quindi poi elaborare in modo che vengano approvate  dal Parlamento in modo consapevole. Questo è quello che vorrebbero gli italiani pensanti e responsabili, prima ancora dell’Europa che allarga i cordoni della borsa. Purtroppo tutti sappiamo bene che la nostra casta di politicanti trafficoni ed incolti non vede oltre le prossime elezioni, siano esse politiche, amministrative o presidenziali.

Ma chi credono ancora di turlupinare? Forse loro giungeranno indenni a fine corsa, con il Paese alla canna del gas.

Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

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Articolo pubblicato il 03/01/2021