L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Draghi: Quando la politica deve fare i conti con la realtà

Il dilemma tra razionalità e pressapochismo

E’ terminato formalmente ieri il primo giro degli incontri di Draghi con le delegazioni di tutti i partiti. A prescindere dall’apertura quasi unanime al suo tentativo di formare il governo, la visione chiara sull’evoluzione del suo mandato esplorativo, potremo averla a partire da martedì pomeriggio, quando avrà terminato la presentazione del suo effettivo programma e così potrà raccogliere consensi e veti. Ma facciamo un passo a lato e soffermiamoci sui percorsi della rappresentanza parlamentare in questa legislatura, lasciando al momento da parte, le sacrosante indignazioni verso l’ennesimo conferimento dell’incarico di formare un governo ad un candidato non eletto, a conclusione della crisi del governo Conte.

Il Presidente della Repubblica Mattarella, ha conferito a Mario Draghi, l’incarico per un Governo Istituzionale di alto profilo e si sta consumando la fine di un’intera stagione politica. Quella dell “ uno vale uno” ma al ribasso, quella della pancia e dei “vaffa”, quella dell’“Università della strada”, quella degli appelli demagogici e populisti fatti sulla scia pulsionale della propria impreparazione politica e culturale, quella del “governare è in fondo semplicissimo, basta ragionare come fa un buon padre di famiglia”.

E’ la stagione politica che purtroppo hanno voluto gli Italiani, perché loro hanno votato in larga maggioranza questa classe politica indifendibile, e l’hanno voluta provare sulla scia dell’antipolitica ed eccitati per la rottamazione dei dinosauri, sapientemente pilotata prima da Renzi e poi da Grillo. Ma la realtà si è dimostrata più dura di ogni testa caparbiamente spersa nelle sue illusioni. Sul Paese s’è scatenata la pandemia con la scia crescente di morti e un situazione economica già traballante con la maggioranza governativa  alle corde all’inizio del 2020 e poi in picchiata.

L’Italia si è rapidamente trovata in uno stato di crisi economica e sociale, con il nocchiero sempre più confuso, attorniato da quacquaraquà che ogni giorno si ergevano a virologi e improvvisatori. Così anche l’ultimo degli ingenui si è reso conto, che per gestire un mondo così complesso e interrelato servono razionalità, ragionevolezza, responsabilità e competenza in scienza e coscienza, non pressapochismo e maquillage, meglio se sui social e su Tik Tok. Le cronache dell’ultimo mese ed il tentativo di uscire dalle secche ha dimostrato apertamente lo squallore che albergava nel potere decisionali dei partiti.

Quale quadro abbiamo presentato al Mondo? Con l’epilogo di questa surreale crisi politica perdono alla fine tutti, anche se chi più o chi meno. Perde la retorica pentastellata, abbarbicata a quel delirio del 32% nel 2018 via via sfarinatosi sino a percentuali irrisorie che le prossime elezioni  mostreranno impietosamente. Perde l’angosciante immobilismo del PD, rappresentato  da cattocomunisti e pseudo marxisti dediti al lucro, privi di carisma e in tutto simili, quali  Zingaretti, Boccia, Delrio ormai incapaci da tempo di significare qualunque parvenza di egemonia politica e di proposta di prospettiva. Perde la trivialità della Meloni, incapace di andare oltre gli schiamazzi da mercato centrale, dove – senza alcuna cognizione della tenuta dei nostri conti pubblici – si grida al rialzo della merce offerta, tanto poi chi paga si vedrà.

Perde Matteo Renzi, e perdono anche le isolette permalose come Azione, Più Europa e arcipelago circostante, che forse hanno per primi gridato che il re è nudo ma che si sono rivelati sinora del tutto incapaci e impreparati a proporre una seria strategia politica liberale, democratica e progressista. Forse questo epilogo era ciò che Italia Viva aveva in testa. E la partita di scacchi l’ha giocata con cinismo, dando scacco al Re. Ma non è stato scacco matto. Seppur è innegabile che la coltellata al cadavere ormai putrido di Conte l’abbia vibrata lui, il toscanaccio. Ed è giusto così.

Emerge invece il realismo di Salvini che memore dell’origine e delle sacrosante aspettative della sua storica base elettorale, ha mollato nel pantano la borgatara Meloni, per contribuire ad arginare lo sfacelo del Paese, senza si e senza ma.

In molti  diranno che ha perso la politica. Ha perso quella con la “p” minuscola degli omuncoli e dei voltagabbana; il trauma di queste ore rappresenterà finalmente un’opportunità per il ritorno di quella  maiuscola. Comunque si risolva questa crisi, dovrebbe essere archiviata la stagione degli incompetenti elevati ad emblema e la meritocrazia e la competenza dovrebbero costituire la conditio sine qua non  per accedere alle candidature. Principio che dalla politica e dai suo attori, dovrà estendersi ai gangli della Pubblica Amministrazione ed ai centri decisionali della Società.

Mattarella ha di fatto commissariato quella politica piccina, e l’ha fatto sia rispettando ogni principio costituzionale, sia – nel momento in cui la Costituzione lo ha lasciato solo di fronte alla responsabilità di fare una scelta – spiegando brevemente, ma con estrema efficacia, il perché della sua decisione, e – nel giro di pochi minuti – tale decisione mettendola in pratica. Siamo così giunti alla scelta di Mario Draghi. Chi davvero avrebbe peraltro il coraggio di considerarlo solo un tecnico?  Preparato e affidabile, ha non solo – insieme ad Angela Merkel – salvato l’Europa nel momento più buio ma ha predisposto, da vero Statista, le armi e le condizioni– il “whatever it takes” – della sua rinascita.

Nelle interminabili discussioni dei mesi scorsi, l’opposizione non fidandosi giustamente della gestione clientelare, truffaldina e levantina del Governo, temeva che i finanziamenti europei, dispersi in mille rivoli improduttivi avrebbero solamente generato debiti per le future generazioni. Oggi almeno sotto quest’aspetto, la realtà si presenta diametralmente opposta.

C’è un compito ciclopico che attenderà il Governo nei prossimi due mesi: predisporre un vero recovery plan, dare garanzie della sua fattibilità e mostrare che siamo capaci di non disperdere i soldi che un’Europa finalmente più solidale ha accordato, per la prima volta nella sua storia, ai paesi membri. Non è questione di denaro. Da quei finanziamenti dipende davvero il futuro del nostro Paese e della democrazia, nostra ed europea. E per guardarlo, anche se da lontano – come sempre è accaduto nei momenti cruciali della Storia – occorre salire sulle spalle dei “numeri primi”.

Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

 

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Articolo pubblicato il 07/02/2021