L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS – Elio Ambrogio: Draghi, un inizio incerto

Nel discorso programmatico mancano i grandi temi

A metà gennaio ponevamo qualche dubbio sulla figura di Mario Draghi che veniva ipotizzato come futuro capo del governo, e che oggi  lo è a tutti gli effetti.

Ci chiedevamo se un uomo come lui, vissuto nel mondo dell’alta finanza nazionale e internazionale, potesse comprendere le reali esigenze di un popolo come il nostro fatto di tanti piccoli individui e tante piccole imprese abituati a destreggiarsi giorno per giorno fra le insidie dell’economia e della politica, incuranti delle grandi idee, delle grandi visioni, del concetto stesso di comunità nazionale e, ancor di più, di quella internazionale; un popolo che non è una nazione e -meno che mai- è uno stato, affetto da un particolarismo secolare e da un campanilismo congenito; un popolo però che, nella sua frammentazione, nel suo “familismo amorale”, per usare una famosa definizione di Edward Banfield, ha saputo comunque costruire nel secondo dopoguerra una delle più grandi potenze economiche dell’occidente.

Mario Draghi, grand commis della finanza, cioè di un mondo che vive di grandi numeri e di grandi appetiti economici, che non ha mai prodotto un paio di scarpe ma solo futures, swaps, options, come può relazionarsi con le micro-imprese, i falegnami, i pizzaioli, i sarti, i fabbricanti di tondini e profilati, gli ambulanti di ortofrutta?

In altri termini, e per compiacere gli anglofoni, non sarà unfit per governare l’Italia, come disse a suo tempo l’Economist di Berlusconi?

Non si trattava certo di una analisi politica profonda e argomentata, la nostra, ma era piuttosto un sospetto, un sentimento, un malumore. Oggi quella figura di banchiere compassato e impenetrabile, che ha proposto al parlamento un discorso programmatico modesto, gonfio di luoghi comuni, politicamente correttissimo ma con alcuni punti fermi (in particolare l’europeismo “eurista” eretto a religione), e comunque privo di ogni impennata che facesse pensare a una sua visione originale su qualcosa; oggi quel banchiere ha cominciato ad amministrare la nostra nazione. E l’inizio non è promettente, non tanto per il poco che ha detto ma per il molto che non ha detto.

Certo, da un uomo che proviene dalle camere alte dei poteri sovranazionali non ci si poteva attendere un discorso politico forte. Neppure un accenno sfuggente al problema dei problemi che attanaglia la nostra nazione: quella riforma costituzionale che –da sola- potrebbe sbloccare uno stato, una burocrazia, una magistratura cementate in un macigno apparentemente indistruttibile. Un uomo come Draghi, pur contando su una maggioranza parlamentare formalmente inattaccabile, è in realtà debolissimo per una molteplicità di ragioni: mancanza di legittimazione popolare, incoerenza e quindi fragilità della maggioranza che lo regge, sospetta incapacità personale di cogliere le vere esigenze della gente, tecnicismo oligarchico, dipendenza dai grandi poteri sovra e anti-nazionali, asservimento agli umori partitici non certo sopiti, sostanziale inesperienza politica e, ultima ma non meno importante, latente consapevolezza della sua precarietà politica.

Riuscirà quest’uomo, in presenza di tanti fattori avversi, anche se occultati o quantomeno non rilevati dalla estatica comunicazione dominante, a tenere le redini della nazione? Non crediamo.

Aver avallato acriticamente la persona e le decisioni di un ministro come Speranza, in balia di un comitato tecnico-scientifico di sconosciuti burocrati, riproponendo chiusure, confinamenti, violenza su persone e attività economiche senza mostrare neppure indirizzi chiari su quella che, nell’immaginario collettivo, è la salvifica prevenzione vaccinale, prevenzione che sta mostrando tutta la sua inconsistenza sia a livello nazionale che europeo, con diverse e inquietanti implicazioni malavitose, tutto ciò dimostra che Draghi è ben lontano dall’icona leggendaria che la comunicazione conformista ci ha imposto nelle settimane scorse.

Certo, sono pochi giorni che l’uomo ha assunto il potere. Ma la sua incertezza, il suo profilo forse volutamente basso, la sua incapacità comunicativa -all’opposto dell’orchestrazione propagandistica del precedente esecutivo- la sensazione di attesa spaesata che infonde nella nazione, la incomprensione e la poca empatia verso una tragedia nazionale che produce disperazione e, in alcuni casi, anche morte, tutto questo non fa ben sperare.

La “luna di miele” con l’opinione pubblica che ogni governo agli esordi dovrebbe creare, quanto meno a scopo psicologico, con poche idee forti e appassionate con Draghi non è mai nata. Il carisma del banchiere è pari a quello di un capostazione, almeno per ora.

Restano l’enfasi atlantica e quella europeista, ma nè l’una nè l’altra propongono soluzioni immediate e spicciole per una nazione in agonia che si aspetta solo un ritorno alla vita e alla libertà con cui ricominciare a creare ricchezza per sè e per tutti. Atlantismo ed europeismo sono ideologie che non danno da mangiare, soprattutto la prima che è ancorata, oltre oceano, alle esigenze e alle scelte politiche di una nazione lontana, ma anche la seconda che finora non ha saputo esprimere nulla oltre un Recovery fund pieno di incertezze e proiettato in un futuro altrettanto incerto e poi una sgangherata campagna di acquisto vaccinale che ha frammentato l’unione europea facendo emergere gli egoismi e le insofferenze delle singole nazioni.

Con Draghi, ancora una volta a completamento della triste sequela di presidenti nominati, si è rinnovato il grande dramma del nostro paese che dura ormai da almeno un decennio: l’assenza della politica. Un’assenza che ha sicuramente radici antropologiche nel “particulare” guicciardiniano, nel machiavellismo cinico e autoreferenziale, nella mancanza di dignità nazionale, in quel familismo amorale di cui si diceva prima, dove però la famiglia non è più quella naturale ma quella partitica, nel perenne e un po’ vigliacco desiderio dell’intervento straniero. Ma oggi l’assenza della politica, o almeno della politica in senso alto e nobile, deriva soprattutto da un assetto costituzionale del tutto inadeguato ai tempi.

Un parlamentarismo miope unito a un sistema elettorale dalle forti tendenze proporzionalistiche hanno creato il disastro attuale che richiede talvolta la figura dell’uomo forte, o ritenuto tale, come Draghi talvolta figure debolissime che non disturbino i poteri forti. In ogni caso il sistema taglia fuori l’unico soggetto veramente legittimato a esprimersi, e cioè il corpo elettorale, senza il consenso del Presidente della Repubblica che -come si è visto- può escluderlo a suo piacimento con argomentazioni del tutto pretestuose.

Questo paese potrà forse smuoversi solo se verranno rimossi questi due ostacoli dalla politica vera e grande. Ma di tutto ciò nel discorso di Draghi non c’è neppure un eco lontano: probabilmente sono cose che stanno oltre l’orizzonte degli eventi di un banchiere, sia pure mandato dalla provvidenza.

 

Elio Ambrogio

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Articolo pubblicato il 28/02/2021