Le pietre del fiume

Le pietre del fulmine si credeva provenissero dagli dei e di conseguenza si riteneva che fossero appunto cadute dal cielo. In realtà, come vedremo, non sempre le cose erano proprio così: infatti, se in un caso la loro provenienza era effettivamente il cielo (i meteoriti), negli altri si trattava di pietre lavorate dall’uomo della preistoria. In entrambi i casi si trattava, per le epoche più antiche, di realizzazioni non umane che, di conseguenza, assumevano valenze colme di mistero ed erano circondate da un’aura colma di inquietudine.

Rivenute soprattutto dai contadini mentre lavoravano i campi, queste pietre, erano anche connotate con toni atti a demonizzarle, a farne oggetti che in qualche caso erano addirittura posti in relazione al diavolo. In ambito colto erano invece guardate con curiosità e destinate a trovare una collocazione nelle Wunderkammer, dove risultavano testimonianze atte a trasferire la mitologia dal piano immaginario a quello storico. Per gli esoteristi assumevano valenze alchemiche, trasformandosi in oggetti in cui materia e filosofia convivevano a stretto contatto.

All’inizio del Novecento, Arturo Issel (1842-1922), uno tra i primi paleontologi che hanno contribuito in modo rilevante allo studio della preistoria dell’Italia nord-occidentale, sottolineava che la gente del Piemonte e della Liguria per sperimentare la virtù di queste pietre le avvolgevano con un filo per cucire e poi le ponevano sul fuoco: se fossero state vere pietre del fulmine (che chiamavano prie du trun) non avrebbero consentito la combustione del filo.

Nell’attività simbolica della cultura popolare l’utilizzo di manufatti preistorici (in genere punte di freccia, ma anche asce e altri strumenti litici) è documentata già dall’antichità. Il passaggio dalla funzione pratica (arcaica), a quella magico-rituale (in altra epoca) è documentato anche in altri oggetti e strumenti preistorici entrati a far parte della cultura popolare e, in ragione della loro origine misteriosa, contrassegnata da una forte caratura misterica.

Nel mondo antico, queste pietre erano chiamate ceraunia (dal greco keraunós, fulmine); anche per altri strumenti litici veniva comunque individuata un’origine connessa alla religione: a conoscenza del fatto che le selci si trovano spesso all’interno delle grotte, ritenevano che fossero state le ninfe a raccoglierle e conservarle nelle loro buie dimore.

Plinio il Vecchio, in più occasioni, descrive la ceraunia: “tra le pietre bianche c’è anche quella che si chiama ceraunia: imprigiona il bagliore delle stelle, è in sé cristallina ma di splendore ceruleo, caduta dal cielo con le piogge e i fulmini”.

In genere, queste pietre erano adattate a ciondolo, portare come talismano e ritenute dotate di potere apotropaico: una serie di questi reperti è presente nei musei archeologici ed etnografici, dopo aver trovato una cornice nelle Wunderkammer secentesche.

Da Bartolomeo Gastaldi apprendiamo che nelle Langhe del XIX secolo le accette di pietra di qualsiasi forma erano dette folgorine o cou del losn o coti del lampo: definizione che derivava dal loro utilizzo per affilare le falci. Le testimonianze in questa direzione sono numerose e quasi sempre, nelle diverse lingue e dialetti, le pietre vengono relazionate al fulmine a al tuono, poiché si credeva appunto che fossero le cristallizzazioni della folgore.

Tra gli altri nomi indicati troviamo e sfolgorine, conservate soprattutto nelle case per proteggerle dal fulmine: seguendo il processo tipico della magia simpatica, quelle pietre si trasformavano da presunto prodotto del fulmine, in strumento per combatterlo.

Tra i vari modi di ritualizzare le pietre del fulmine ne troviamo una originale: la trasformazione del reperto in batacchio per le campanelle da ovini e caprini; la funzione era sempre la stessa, proteggere gli animali dalla folgore.

In passato, il numero di questi reperti litici levigati doveva essere piuttosto elevato: abbiamo notizie sul loro utilizzo in varie attività rituali che nel loro svolgersi di fatto disperdevano quelle pietre. Infatti erano murate nelle fondamenta delle case e in altre strutture dove, come sempre, dovevano salvaguardare dal fulmine.

Ritornando espressamente alle piccole pietre del fulmine, tra le altre utilizzazioni ricordiamo: pietra del fulmine montata per essere portata al collo; aggregata ad altri materiali; semplicemente utilizzata a fini pratici (per esempio affilatoio); collocata in luoghi che doveva proteggere: inglobata (per esempio nelle fondamenta delle case); conservata per essere usata all’occorrenza con o senza apparato rituale; utilizzata nella ritualità alchemico/esoterica e considerata componente magica di provenienza soprannaturale.

Così come è accaduto per i fossili – a cui sono state in qualche caso collegate – le pietre preistoriche lavorate risultano quindi connotate con toni colmi di mistero e esoterismo, offrendo lo spunto per sorreggere teorie ai limiti della fantascienza: come, per esempio, quelle che legano pietre preistoriche e fossili alla mitica Atlantide.

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Articolo pubblicato il 17/04/2021