La violenza dell’uomo è la manifestazione della rivincita del suo cervello rettiliano?

La scienza non è ancora in grado di risolvere questa realtà

L’atroce e sanguinoso conflitto armato tra la Russia di Putin e l’Ucraina, con le impressionanti devastazioni e con la inevitabile scia di morti di civili inermi, lascia, nella stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, un senso di orrore e di incredulità.

Se le cause di questo conflitto sono da iscriversi a complesse vicende storico-politiche che hanno origine nel recente passato, quello che appare oggi come “inutile strage” è difficile da capire e giustificare.

Tuttavia, c’è un elemento importante che emerge da questa realtà di follia sanguinaria incontrollata: la forza bruta dell’uomo, eterno e costante strumento di violenza per condizionare i rapporti conflittuali tra gli individui, le comunità e gli Stati.

È questa l’amara constatazione che ha regolato la storia dagli albori della civiltà umana ad oggi. Purtroppo, ce lo suggeriscono gli eventi attuali, questa “spada di Damocle” avrà ancora modo di esercitare il suo potere malefico per il prossimo futuro.

Come trovare una possibile spiegazione a questa “vocazione alla violenza” che si presenta immancabilmente in tutte le circostanze di gravi conflitti?

La ragione, l’etica, la cultura, che hanno creato nel tempo il progresso civile e sociale, in determinate circostanze storiche, vengono automaticamente oscurate, congelate, da un “istinto prevaricatore” infrenabile che prevale su tutto.

L’individuo o il gruppo sociale, dominato da questo demone irrazionale, manifesta violenza, odio, la necessità di distruggere qualsiasi ostacolo, compresa l’eliminazione fisica dell’avversario. E tutto questo con la convinzione assoluta di essere autorizzato a perseguire questo fine, senza alcuna riprovazione o limite di autocontrollo.

Ecco l’uomo moderno e nello stesso tempo antico e primitivo che si presenta nella sua vera e duplice essenza immodificabile, come un “Giano Bifronte” dove, su di una faccia della medaglia emerge Homo sapiens, nella sua migliore accezione e nell’altra il peggio del degrado e della bestialità umana.

L’amara constatazione è che questa “caratteristica bivalente” è esclusiva del genere umano; infatti, nessun essere vivente del regno animale ne è portatore.

La tentazione di trovare una spiegazione convincente e scientifica a questa peculiare realtà umana non si è mai esaurita, tuttavia il tentativo si è arenato su percorsi che offrono ancora solo ipotesi di lavoro.

Secondo il neuroscienziato statunitense Paul D. MacLean (1913 - 2007), il cervello sarebbe funzionalmente divisibile in tre parti (teoria del cervello trino/triune brain): 

1) - Cervello rettile (o R. complex). Questa sarebbe la parte filogeneticamente più antica e istintiva del cervello. In questa sede sarebbero elaborate molte decisioni inconsce per soddisfare i bisogni più elementari (riproduzione, dominio, difesa personale, fame, fuga, ecc.) e i processi automatici come la respirazione e il battito cardiaco. L’anatomia lo localizza nel tronco encefalico, nel diencefalo e nei gangli della base.

2) - Cervello paleo o sistema limbico dei mammiferi. È la parte del cervello responsabile della memorizzazione dei sentimenti e della sperimentazione delle emozioni. Secondo MacLean, si trova in entrambi i mammiferi e gli uccelli. Nel sistema limbico esisterebbe l’elaborazione della scelta esclusiva dell’opzione "piacevole", "spiacevole".

3) - Cervello neomammalico o neocorteccia. Questa è la parte logica e razionale (ma anche creativa) del nostro cervello. È l’unica struttura anatomica per i mammiferi, nei primati ed è particolarmente sviluppata nell’uomo.

Pertanto, il “cervello rettiliano”, secondo il suddetto studioso, non elaborerebbe sentimenti nobili, né progetti esistenziali o filantropici. In sintesi gestirebbe la componente meccanica, funzionale e la reattività automatica dell’individuo.

Tuttavia, da tempo la teoria di MacLean è contestata, ritenendola schematica e riduttiva. I detrattori sostengono che le tre parti del cervello (umano) sono evolute con una interferenza e cooperazione reciproca e che l’espressione del cervello sia il prodotto della elaborazione complessiva di tutte le aree funzionali dello stesso.

In ogni caso nessuna teoria ha negato in modo definitivo la funzione “animalesca e aggressiva” della componente cerebrale “rettiliana”.

Pertanto, tenendo conto di quanto sopra illustrato, possiamo ipotizzare che determinate circostanze, profondamente conflittuali (es. guerre, controversie economiche, ideologiche, ecc.), possano scatenare l’attività del “cervello rettiliano” dell’uomo, permettendo a questo la supremazia e la rivincita sulla parte razionale della neocorteccia.

La domanda intrigante e sicuramente utopica sarebbe quella di sperare se in un prossimo futuro sarà possibile trovare una “fantomatica terapia” capace di riportare queste componenti anatomo-funzionali del cervello umano al giusto equilibrio funzionale. In pratica riuscire ad evitare che la componente violenta, irrazionale e crudele possa avere il sopravvento su quel comportamento umanitario, civile e solidale che idealmente abbiamo sempre sperato fosse il destino migliore e auspicabile dell’uomo.

Tuttavia, prendendo atto della intollerabile brutalità dei recenti eventi dell’Ucraina, sperare in una possibile metamorfosi migliorativa dell’uomo sconfina nella pura fantascienza. Invece la realtà ci offre la costatazione che l’uomo non rinuncia ad essere “homo homini lupus”.

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Articolo pubblicato il 12/04/2022