Poca gioia dall’urne

Assenteismo storico alle tornate elettorali

Domenica 12 giugno, doppia tornata elettorale: referendum e amministrative.

Lega e Partico Radicale hanno proposto sei referendum sulla Giustizia. La Corte costituzionale ha ritenuto però inammissibile quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Si voterà quindi sugli altri cinque giudicati ammissibili e indetti pertanto dal Presidente della Repubblica con decreto del 6 aprile scorso. I quesiti posti agli oltre 51 milioni di Italiani aventi diritto al voto sui referendum riguardano: la abolizione della legge Severino (incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi); le limitazione delle misure cautelari; la separazione delle funzioni dei magistrati (no al passaggio delle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa); la valutazione sull'operato delle toghe; la elezione dei componenti togati del Csm.

Per il rinnovo dei sindaci e delle amministrazioni comunali sono chiamati invece alle urne solo i cittadini, aventi diritto al voto, di 978 Comuni.

La precedente tornata elettorale amministrativa dell’anno scorso ha riguardato 1340 dei circa ottomila Comuni italiani. Non me ne voglia il grande Foscolo, per il rimando del titolo a un suo un celebre verso (*): alle urne, infatti, c’è andato solo il 54,9 % dell’elettorato attivo, di coloro, cioè, che erano legittimati a votare. Uno su due, quindi, è rimasto a casa, e questo non s’era mai visto in nessuna precedente votazione, né amministrativa, come quella, né politica, per la elezione del Parlamento della Repubblica. Perché così tanti hanno disertato le urne?

In Italia, dal 1993 il voto non è più un obbligo, ma un dovere civico, come recita l’art. 48 della nostra Costituzione; però, questa minore costrizione non può da sola giustificare la minore partecipazione al voto nei termini riferiti. Sarebbe semplicistico dire che tanti decidono di non votare solo perché non è obbligatorio, e chiuderla lì.

 

Friedrich Nietzsche ha scritto che: “Quando vengono alle urne a malapena due terzi, anzi forse nemmeno la maggioranza di tutti i votanti, questo è un voto contro l'intero sistema della votazione”.

 

In Italia votano tutti i cittadini maggiorenni; le donne, dal 1946. Per la elezione del Senato è richiesta però la età minima di 25 anni. Vige, dunque, il principio del suffragio universale, che è proprio quello criticato da Nietzsche nei termini sopra esposti. E allora? Dobbiamo rivedere il sistema del suffragio universale, che è una delle maggiori conquiste della moderna liberaldemocrazia? Il progresso non tollera passi indietro, per cui le ragioni della scarsa affluenza alle urne vanno cercate altrove, prendendo atto, innanzitutto, del fatto che, nel mondo, l’astensionismo è risultato in aumento anche nei Paesi in cui il voto è obbligatorio. Questo disamoramento va visto pertanto come un segno dei tempi e rendere di nuovo obbligatorio il voto in Italia oggi non cambierebbe le cose. Se fosse obbligato a votare e ci andasse per tema di sanzioni chi, guardatosi intorno, fosse convinto che non ne vale la pena, perché tanto nulla cambierebbe, potremmo registrare molte schede bianche o da annullare o con un voto di protesta. L’esito sarebbe la negazione del principio di democratica partecipazione alla vita politica, che si esprime con una delega ragionata, conferita con un voto attribuito in linea di continuità con la politica del passato o per realizzare un cambiamento.

Il risultato elettorale d’una votazione, che ha visto un gran numero di assenti alle urne, non dice in modo convincente che la volontà di tutto il popolo è veramente di volere al governo proprio quelli risultati eletti dai soli che hanno votato.

La diserzione dal voto nelle ultime amministrative è stato il chiaro segno di un malessere generale. Se le elezioni del 12 giugno prossimo lo confermeranno, occorrerà seriamente interrogarsi sulle misure idonee a contrastare l’assenteismo in vista del rinnovo del nostro Parlamento nel 2023. I soldati per la guerra si formano in tempo di pace: non resta tanto tempo per preparare il futuro politico dell’Italia, che è dei nostri figli, prima che nostro.

Si vales, vàleo.

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(*) I sepolcri - Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna.

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Articolo pubblicato il 08/06/2022