Voglia di “Non – Voto” - L’elettore tra rabbia e apatia

Noi referendari ci leccheremo le ferite e i poteri forti si fregheranno le mani

“Sappiamo bene che lunedì noi referendari ci leccheremo le ferite e i poteri forti si fregheranno le mani. E’ infatti altamente improbabile che si raggiungano i quorum richiesti per le cinque consultazioni, e dunque qualcuno avrà vinto.

Peccato che il vincitore sarà ancora una volta quel blocco di potere che ci sta sempre più soffocando. E comunque avrà vinto nel modo sbagliato: non in campo aperto, lealmente, combattendo una bella e ragionevole battaglia per il “no”, ma obliquamente, in modo strisciante, puntando sull’assenteismo e sul non raggiungimento di un quorum  che -pur voluto dai padri costituenti- non è certo un esempio di ragionevolezza e democraticità”.

Così scrivevamo giovedì 9 giugno su Civico 20News, ed abbiamo avuto ragione. I referendum sulla giustizia sono stati affossati dal mancato raggiungimento del quorum previsto dalla Carta costituzionale  sancendo, come avevamo previsto, la vittoria degli antireferendari. Da una parte c’è una vittoria brutta e senza neppure la gloria di un combattimento, dall’altra c’è una sconfitta onorevole, anche perché i voti espressi danno comunque una netta vittoria ai “si”.

Proviamo a imbastire qualche ragionamento su questi risultati.

Intanto l’assenteismo. Qualcuno ha provato a giustificarlo con i soliti contorcimenti cerebrali: la gente non ha votato perché ha ritenuto che dovesse essere il Parlamento a modificare le leggi sulla giustizia e sull’ordinamento giudiziario;  la gente non ha votato perché i quesiti erano troppo complessi e tecnici; la gente non ha votato perché nessuno gli ha spiegato i contenuti e i significati dei referendum; la gente non ha votato perché si trattava di quesiti che non scaldavano mente e cuore; la gente non ha votato perché è disaffezionata alla politica.

Si tratta di forse di spiegazioni, non certo di giustificazioni, e gli antireferendari si sono accontentati e compiaciuti di queste banalità senza riuscire a nascondere la loro soddisfazione di cinici conservatori, per non dire reazionari. D’altra parte tutti noi abbiamo percepito come essi non si siano neppure spesi eccessivamente nella confutazione delle ragioni referendarie: scarsi dibattiti, poche argomentazioni tecniche, nessuna voglia di parlare delle implicazioni politiche, quasi si avesse il timore di suscitare e stimolare l’interesse della gente. Quella degli antireferendari non è stata una vittoria politica, ma solo una vittoria dell’indifferenza.

Si è detto che l’assenteismo è un chiaro messaggio alla classe politica. Non è vero: l’assenteismo non è mai un messaggio perché può avere mille motivazioni, per lo più di basso livello, senza alcun significato preciso. Non si vota soprattutto per pigrizia, per ignoranza, per mancanza di senso civico, per incapacità di ricercare e capire, per maleducazione democratica, per allegra distrazione da parte di altre e più gradevoli attività. Desumere da questo cumulo di difetti umani e civili un messaggio politicamente alto e ben definito lanciato alla classe dirigente è -a sua volta- indice di scarsa capacità di analisi.

Imputare l’assenteismo all’incapacità del potenziale elettore di documentarsi e comprendere i grandi temi della vita civile significa in fondo riconoscergli una mancanza di volontà e di dignità intellettuale che non gli fa certo onore: non fa onore a lui, confinato in una forma di minorità intellettuale che si pensava superata con l’acculturazione di massa, ma non fa neppure onore ai molti che quella minorità sfruttano per imporre le loro ideologie o, più semplicemente, il loro potere. Basta guardare una mezz’ora di televisione per rendersi conto di come quella minorità sia voluta, indotta, ricercata e meticolosamente costruita: non stupisce che l’italiano medio posponga sempre più sovente quello che un tempo si definiva “dovere civico” alla spiaggia, alla bicicletta, al fritto misto in trattoria. E questo purtroppo non è più l’atteggiamento che, da sempre, è tipico delle classi subalterne, ma è anche la visione di quel “ceto medio riflessivo” che vorrebbe essere il sale della nostra vita sociale.

In fondo, se realmente si volesse schivare la scelta fra il “sì” e il “no”, ma contemporaneamente lanciare un monito esplicito alla classe politica, ci sarebbe uno strumento molto più dignitoso, intelligente e inequivoco: la scheda bianca, messaggio di protesta che parla con chiarezza e nello stesso tempo allontana il sospetto di ignavia, ignoranza o pigrizia civica. Ma volete mettere la comodità di evitare tutte questi problemi semplicemente prendendo la via del mare, verso quelle spiagge, quegli ombrelloni, quell’acqua azzurra con cui i telegiornali ci ammaliano subdolamente ogni sera...

Purtroppo sembra che la nostra civiltà (l’assenteismo elettorale non è solo fenomeno italiano) abbia un’idea profondamente distorta della differenza fra politica e scelta collettiva, favorendo l’idea che la prima sia solo il mondo dell’inganno, della sopraffazione, dell’intrigo e del tornaconto personale, mentre la seconda -che rappresenta il vero esercizio della democrazia- sia ormai totalmente sopraffatta dalla prima.  Di qui nascono il rifiuto totale della politica, l’ aventinismo collettivo, la percezione dell’inutilità di ogni tentativo indirizzato a correggere le storture nazionali.

Ma queste persone che scelgono di non scegliere, sia che si tratti di quesiti referendari, sia che si tratti di altri momenti elettorali, non sanno di costituire la perfetta massa di manovra delle oligarchie (non vogliamo chiamarle élites, termine che contiene in sé una certa intrinseca positività) che oggi, grazie all’alto potere ipnotico della comunicazione visiva di massa e del pensiero conformista, impongono le loro strategie all’intera società.

La democrazia invece richiede vigilanza, disciplina intellettuale, ricerca, volontà di contrapposizione, cose che la recente consultazione referendaria ha dimostrato essere terribilmente carenti nella nostra Italia anestetizzata e remissiva, ma che rappresentano l’unica difesa verso quella che Andrea Zhok chiama la “manipolazione strumentale per finalità inesplicite”.

Una delle più sottili astuzie delle nostre oligarchie nazionali è stata quella di far credere alla stragrande maggioranza degli italiani che, domenica scorsa, si sono assentati dal voto per loro scelta, o addirittura per “votare” qualcosa di diverso con la loro diserzione dei seggi.

In realtà i nostri connazionali si sono, dolcemente e beatamente, fatti imporre una “finalità inesplicita” voluta da una certa magistratura e dai suoi referenti politici, referenti peraltro assai facilmente identificabili con un minimo di buona volontà.

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Articolo pubblicato il 15/06/2022