Piazze piene urne vuote

Assenteismo preoccupante, in vista del rinnovo del Parlamento

Correva l’anno 1948. Per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, Socialisti e Comunisti presentarono una lista unica denominata Fronte Democratico Popolare; per loro, fu una sconfitta senza precedenti, che fece dire a Pietro Nenni, leader storico del Partito Socialista Italiano: “Piazze piene, urne vuote”, avendo egli considerato che l’affluenza ai seggi era stata del 92% dei votanti e che il Fronte Democratico Popolare aveva rastrellato alle urne solo il 30% dei voti, contro il 48% della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi.

“Mutatis mutandis”, fatti, quindi, i debiti cambiamenti dei tempi e delle circostanze, dopo le votazioni del 12 giugno scorso, ancora potremmo dire: “Piazze piene, urne vuote”, avendo considerato che per i referendum l’affluenza è stata del 20,9% mentre per le amministrative sono andati alle urne solo poco più delle metà degli aventi diritto al voto. In piazza, dunque, sono rimasti in tanti a guardare, con gli occhi rivolti al cielo, il volo acrobatico dello spread, un aquilone trattenuto a terra da un filo legato al macigno d’una economia famigliare funestata da una immane pandemia: il referendum non interessava nessuno. Perché?

La pubblicità non è solo l’anima del commercio e al referendum è mancato un adeguato “battage” divulgativo. I media, che hanno riempito le pagine con i servizi dall’Ucraina, ventilando l’apocalisse d’una guerra totale dallo spettro nucleare, poco spazio hanno dedicato ai quesiti di questo istituto, ch’è la massima espressione della democrazia diretta e che, come tale, dovrebbe esprimersi però su materie alla portata di tutti, su problemi che suscitano l’interesse di tutti e ai quali tutti sentirebbero come doveroso e necessario dare una soluzione.

L’astensionismo, in questo referendum, per gli analisti è riconducibile essenzialmente al fatto che i quesiti, di per sé troppo tecnici, erano posti altresì con linguaggio lontano dalla comune e immediata comprensione dei votanti i quali, assillati dalle mille questioni pratiche della complessa quotidianità postpandemica, non vedevano ritraibile da questo voto alcun beneficio per le loro necessità immediate, talvolta vitali.

La partecipazione politica è mancata anche per le votazioni amministrative e questo assenteismo, che preoccupa ancor di più in vista del prossimo rinnovo del nostro Parlamento, pressoché dimezzato per la recente modifica legislativa, ha ragioni più complesse.

Gli analisti parlano di disaffezione verso la politica. Dopo Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica si è registrato, infatti, un crescente e diffuso senso di sfiducia nelle istituzioni in generale e nei partiti in particolare e questi, cui un tempo ci si sentiva ideologicamente legati, dissolti in buona sostanza, non sono stati più capaci di stimolare al voto gli elettori, i quali peraltro sanno bene, per inveterata esperienza, che i loro problemi economici – e quelli attuali non son di poco conto - mai hanno trovato soluzione nelle urne.

In vista del rinnovo, tra pochi mesi, del nostro Senato e della Camera dei deputati, è necessario però un deciso cambiamento di rotta: se continueranno, infatti, ad essere in pochi a votare, si corre il rischio che la maggioranza degli Italiani possa essere governata dai rappresentanti scelti da una minoranza, con buona pace della democrazia.

Si vales, vàleo.

 

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Articolo pubblicato il 18/06/2022