Quando il cardinale Giulio Alberoni, cioè la Stato Pontificio, tentò di incorporare la Repubblica di San Marino

Un evento politico-militare clamoroso, ma che presenta un’analogia con un tragico evento contemporaneo

La Storia nella sua complessità contempla sempre aspetti curiosi, sovente marginali rispetto ai grandi eventi, ma che in ogni caso possono diventare altamente significativi per le vicende dei contemporanei.

Rientra in questa categoria l’“occupazione alberoniana” della Repubblica del Titano, ovvero della Repubblica di San Marino, operazione realizzata nel 1739 dal cardinale Giulio Alberoni, al fine di sottometterla ed incorporarla allo Stato Pontificio.

Tuttavia quello che sorprende è il fatto che questo episodio politico-militare, e non è il solo, si presta ad essere un comodo esempio che consente un certo parallelismo tra quanto avvenne allora e l’attuale aggressione-occupazione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin.

Volendo sintetizzare ulteriormente si potrebbe dire che l’avventura del potente cardinale Giulio Alberoni, mette in evidenza la logica e il “modus operandi” dei potenti (o degli Stati o dei monarchi, ecc.) del tempo, per raggiungere obiettivi importanti o strategici, che tuttavia erano riconosciuti dal diritto e dalle consuetudini, anche se queste finalità comportavano azioni violente e oppressive.

In pratica l’antico principio giuridico dell’“uti possidetis, ita possideatis” (il cui significato in sintesi è traducibile in “quello che avete in possesso [n.d.r.: territorio], vi sarà riconosciuto”), che è ancora valido e applicato nel momento in cui si tenta di arrestare un conflitto tra due contendenti, nel caso dell’occupazione alberoniana, non ebbe modo di trovare una completa realizzazione.

Infatti, la suddetta “occupazione” fu temporanea e si sviluppò attraverso un percorso decisamente singolare.

L’avventura del cardinale Giulio Alberoni, anche se fu voluta da Papa Clemente XII (Firenze, 7 aprile 1652 – Roma, 6 febbraio 1740), è rimasta per le sue peculiarità un “unicum” della diplomazia pontificia. 

Infatti, l’evento dimostra che una “conquista” resta definitivamente acquisita, non solo con l’occupazione militare del suo territorio da parte di un contendente, ma solamente se la “conquista” stessa viene riconosciuta dalle potenze militari, che sono chiamate in causa nel gioco degli equilibri di potere in un determinato scenario geo-politico.

Il curriculum del cardinale Giulio Alberoni (Piacenza, 21 maggio 1664 – Piacenza, 26 giugno 1752) merita di essere esaminato con attenzione per le importanti azioni politico-diplomatiche e per le vicissitudini per le quali il suddetto fu un grande e autorevole protagonista della scena europea del tempo.

Pertanto, al fine di approfondire queste conoscenze e il contesto storico in cui operò, rimandiamo il lettore a visionare questa parte su pubblicazioni specifiche o su quanto il web offre in merito.

Tuttavia, per la finalità di questa trattazione, è necessario sintetizzare il contesto storico che riguarda l’evento in oggetto.

Il cardinale Giulio Alberoni fu un politico, diplomatico al servizio di Filippo V di Spagna (Versailles, 19 dicembre 1683 – Madrid, 9 luglio 1746).

Primo ministro alla corte borbonica di Spagna. Fu, contrariamente alle sue intenzioni, l’ideatore della riconquista della Sardegna e della Sicilia nel 1717. Queste isole, in seguito al Trattato di Utrecht del 1713, furono assegnate rispettivamente agli Asburgo d’Austria e ai Savoia. Tale politica di riconquista scatenò la Guerra della Quadruplice Alleanza dove le potenze europee Inghilterra, Francia, Paesi Bassi e gli Asburgo d’Austria alleatisi, sconfissero la Spagna di Filippo V (il vero responsabile della guerra). Il cardinale Alberoni fu adoperato come capro espiatorio di questa situazione e il 5 dicembre del 1719, Filippo V gli ordinò di lasciare la Spagna.

Tornato in Italia, dopo diverse peripezie, ricoprì importanti incarichi nell’amministrazione dello Stato Pontificio. Fu nominato Legato di Romagna. In questo incarico prese parte attiva all’occupazione militare della Repubblica di San Marino, evento che per la sua caratteristica è passato alla storia come “occupazione alberoniana”.

In merito è interessante e curioso l’articolo pubblicato su Storia Illustrata – A. Mondadori Editore – N. 266 – gennaio 1980 - e che riportiamo integralmente.

«…. Si tratta dell’episodio più clamoroso e discusso della Legazione dl cardinale Giulio Alberoni in Romagna.

Ecco in breve come si svolsero i fatti. In un clima di perdurante malessere interno che aveva favorito il sorgere di sette e fazioni, nel settembre 1738 Pietro Lolli, un ex capitano della Repubblica, era stato imprigionato a San Marino sotto l’accusa di cospirazione contro lo Stato.

I suoi fratelli, con il pretesto che egli aveva una patente del Santuario di Loreto, che lo esentava dalla giurisdizione civile, si rivolgevano al Legato di Romagna perché venisse liberato.

Riuscito vano l’intervento dell’Alberoni, il Segretario di Stato [N.d.R.: Vaticano] cardinale Firrao, cui era pervenuto il ricorso del Lolli, incaricava il Legato di provvedere contro la violazione dell’immunità della Congregazione Lauretana di cui era, fra l’altro, protettore.

Immediatamente l’Alberoni faceva imprigionare il consigliere della Repubblica di San Marino Enea Bonelli e il figlio, che si trovavano nel territorio della Legazione, provocando le giuste e risentite proteste della Repubblica a Roma.

Trame di intriganti e un certo malcontento dei sammarinesi facevano nascere nell’ambiente di Curia la speranza di ottenere da quelle popolazioni, un po’ con le buone e un po’ con una dimostrazione di forza, la dedizione alla Santa Sede.

Il 26 settembre 1739 un breve papale ordinava all’Alberoni di portarsi ai confini della Repubblica e di saggiarne le intenzioni, ma soprattutto di procedere con prudenza.

Raccomandazione del tutto vana per un uomo come il cardinale, per il quale San Marino era un nido di nemici di Dio e dei Santi, e proprio per questo la migliore soluzione, per sottrarlo alla irreligione e alla tirannide, era quella di aggregarlo allo Stato Pontificio.

Il cardinale, da Rimini, la mattina di buon’ora del sabato 17 ottobre 1739, si poneva in cammino alla volta di Serravalle, castello di confine del territorio sammarinese, seguito da 200 soldati riminesi e da tutta la sbirraglia di Romagna, compreso il boia (così il Botta nella sua Storia d’Italia), occupandolo di sorpresa, ma dove veniva accolto con inneggiamenti al papa da gente sprovveduta convinta di una visita pastorale.

Analoghe sporadiche orchestrate dimostrazioni di giubilo ci furono anche al Borgo, sicché il 25 ottobre si ritenne di poter celebrare solennemente il giuramento di sottomissione alla Santa Sede.

All’opposizione di molti sammarinesi tennero dietro atti di saccheggio e di violenze da parte della sbirraglia. «In tanta desolazione dell’antica patria – seguitiamo col Botta – non si contennero i sammarinesi nel silenzio. Andarono con le loro suppliche ai piedi del Pontefice. Rappresentarono non essere proceduta la dedizione dalla libera volontà del popolo, ma parte dalle lusinghe, parte dalle minacce, insomma dalla prepotenza e violenza del cardinale legato» e altro ancora, fino a determinare il repentino voltafaccia della Segreteria di Stato dove si era sperato di ottenere l’incartamento senza strepito e il pericolo di complicazioni internazionali.

Diversa, ovviamente, la versione dell’Alberoni che respinge l’accusa di aver ottenuto la dedizione di San Marino con la forza.

Ma ormai anche a Roma ci si era convinti che l’Alberoni aveva oltrepassato il segno e che le sue giustificazioni erano dubbie e sospette d’insincerità.

Il vecchio Papa Clemente XII, penetrato di sentimenti di giustizia, e perché vedeva che la parte più sana del Sacro Collegio disapprovava il fatto, sommamente preoccupato del severo giudizio delle varie Corti d’Italia e d’Europa verso la Cattedra di San Pietro, si risolveva di sgomberare dagli animi ogni sospetto di papale intelligenza, restituendo alla Repubblica quella libera e prediletta forma di governo che da più secoli la reggevano.

Con felice scelta inviava a San Marino monsignor Enriguez, governatore di Macerata, con istruzioni adattate a tale scopo e a ristabilire, con la giustizia, il buon diritto dei sammarinesi, nonché il buon nome e l’onore della Santa Sede.

La relazione dell’Enriguez fu conforme alle attese. Il 5 di febbraio 1740, giorno consacrato alla Vergine S. Agata, la Repubblica veniva ricostituita, negli antichi suoi ordini, cassati gli atti dell’Alberoni.

Il giorno seguente, Clemente XII moriva, quasi novantenne. Il suo busto, eretto dai sammarinesi riconoscenti, si ammira ancora oggi a fianco della lapide allegorica che si trova nella loggetta posta a memoria della fallita impresa alberoniana …».

Come si è già anticipato, l’episodio della temporanea occupazione della Repubblica di San Marino, nella nostra attualità, può trovare un parallelismo con la guerra di aggressione-occupazione dell’Ucraina da parte della Russia del presidente Putin.

È evidente che l’“occupazione alberoniana” dell’epoca, in termini di distruzioni materiali e di vittime, non è minimamente confrontabile con gli eventi devastanti e sanguinari del conflitto attuale.

Tuttavia, quello che emerge in modo chiaro è la costante tentazione, da parte di un forte “potere costituito”, di coartare, d’integrare realtà istituzionali considerate, in determinate circostanze, deboli o incapaci di difendersi in modo opportuno.

Questa “tentazione” in fondo riassume l’eterna vocazione dell’uomo forte verso il debole nell’esercitare una violenza latente al fine del predominio, dove la ragione e l’etica non sono mai riuscite ancora a contenere. Se questa “caratteristica” individuale la estendiamo alla collettività, che a sua volta viene interpretata e gestita dai “governi”, la possibilità che questa “tentazione” degeneri in un conflitto tra Stati diventa sempre più concreta.

In fondo questo “meccanismo” opportunistico, cinico e che si serve dell’uso della violenza organizzata, come mezzo risolutivo delle vertenze, è sempre stato il motore che ha contrassegnato, in ogni epoca, la storia geo-politica degli Stati stessi.

La constatazione che questa via sbrigativa sia sempre all’ordine del giorno, induce a pensare che questa sia purtroppo una componente ineliminabile e costantemente tentatrice degli uomini potenti che, nelle più diverse e complesse circostanze, determinano i destini della storia umana.

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Articolo pubblicato il 27/07/2022