Ciò che vogliamo, ciò che non vogliamo

Qualche suggerimento per la campagna elettorale

Come tutte le grandi guerre, anche le campagne elettorali iniziano con uno  scoppio di confusionismo, forse perché, in fondo, ben pochi pensavano realmente a elezioni in autunno, e di conseguenza l’impreparazione è grande.

Però non tutte le confusioni sono uguali: c’è la confusione di chi pensa di vincere, e quindi organizza le sue forze, e quella, comprensibile, di chi pensa di perdere e quindi tenta di organizzare le sue debolezze. E’ evidente che parliamo dei due grandi schieramenti politici di centrodestra e di centrosinistra.

In questa primissima fase i due contendenti stanno però  fornendo al pubblico dei loro potenziali elettori due immagini molto diverse: da un lato il centrodestra appare molto più coeso avendo espresso un concetto semplice, efficace, perfettamente comprensibile per chiunque (chi, nella coalizione, prende un voto in più esprimerà il capo del governo) mentre dall’altra parte si brancola nel buio, accettando supinamente la prassi vecchia, stantia, ambigua del “andiamo al voto, poi si vedrà chi governa, come e con quali personaggi”.

E’ inutile dire che si tratta di una formula perdente sin dall’inizio, quanto a efficacia comunicativa e proposta politica: per accettarla come buona ci vuole veramente l’elettore di sinistra, quello vecchio e fideista che vota senza chiedersi il perché pur di garantire il suo apporto ideologico, anche se non sa bene a chi o a che cosa.

La sinistra col suo front runner (anglicismo gradevole per il ceto medio riflessivo), cioè Enrico Letta, sta cercando di capire con chi correre in campo largo, in campo stretto, in campo lungo, in campo corto... pur di mettere insieme voti. Una vera propria raccolta indifferenziata che porti all’ammasso i più disparati e disperati brandelli della sinistra o della pseudo-sinistra, e su cui il Partito Democratico possa aprire il suo ombrello tutelare.

Come poi i neo-draghiani possano convivere con Nicola Fratoianni, o i naufraghi ex-grillini con Pier Ferdinando Casini, Roberto Speranza con la Gelmini, Tabacci con i verdi di Bonelli, e magari la Bonino con Mastella, resta un mistero che solo la mente insondabile del front runner può provare ad esplorare.

E in ogni caso, pur supponendo che si possa mettere insieme una tale orchestra di musicanti, e pur supponendo che il front runner possa tentare di dirigerla, resta da capire quale spartito suonerà, e per quale pubblico.

E’ prevedibile che quello spartito sia così indefinito da accontentare tutti i suonatori, e quindi dovrà diluirsi in tutte le aspettative della sinistra e pseudo-sinistra nazionale, e quindi ancora dovrà contenere una serie impressionante di banalismi politico-economico-sociali: dall’ambientalismo di maniera a tutte le sfumature del politically correct, dall’euro-atlantismo un po’ ebete al neoliberismo bocconiano, dal femminismo sindacalizzato al genderismo incazzoso, dal culturame modaiolo al giovanilismo che-ci-sta-sempre-bene, dal multiculturalismo ideologico all’immigrazionismo sfrenato, dai “nuovi diritti” che fanno tanto chic all’inclusivismo senza se e senza ma, e così via, scusandomi se ho dimenticato molte altre cose, ma si vedranno presto.

Le tristezze e le ansie degli artigiani, degli agricoltori, dei piccoli negozianti, delle famiglie operaie, dei pensionati, degli allevatori possono aspettare. Prima vengono le piste ciclabili e gli eleganti diritti delle minoranze, vere o supposte.

Speriamo che gli italiani comprendano. Ma prima devono liberarsi dalla cappa di propaganda, non solo politica ma anche culturale, che viene calata loro addosso quotidianamente, spingendoli sempre più nella nebbia di una diffusa dissonanza cognitiva (sindrome che un tempo si definiva in termini più crudi).

Ecco quindi la necessità che il centro-destra veda chiaramente questa pochezza dell’avversario e sappia trarne profitto. Ecco la necessità che il centro-destra, avendo risolto per tempo i suoi problemi di leadership e di governance definisca per tempo anche il sentiment e la mission della coalizione  (vedete che anche noi sappiamo un po’ di inglese, non solo il front runner...)

Fuori dallo scherzo, è cioè necessario che il centro-destra, come già dicevamo qualche giorno fa, individui con grande accuratezza i temi portanti e il senso della sua proposta politica, e questi devono essere l’opposto di quelli che fluttuano nella mente dei suoi avversari.

Bisogna capire che, da sempre, la destra parla delle cose, laddove la sinistra parla delle parole. E mai come ora il discorso del centro-destra deve focalizzarsi sulle cose, perché sono le cose che stanno assalendo il nostro paese, non le parole inconsistenti della sinistra.

Bisogna avere il coraggio di porre seriamente in discussione tutta una serie di luoghi comuni su cui la sinistra fonda il suo potere ipnotico sulla società, e bisogna farlo senza complessi, senza paure, senza il timore delle aggressioni verbali dell’avversario, aggressione che si sta già delineando con rabbia e intolleranza sui giornali, nelle televisioni, e che è destinata senz’altro a incattivirsi nelle prossime settimane.

Bisogna avere il coraggio di porre in discussione l’Europa con la sua arroganza burocratica e la NATO con la sua aggressività guerresca; bisogna avere il coraggio di dire sì a un sovranismo intelligente e a un populismo ragionato; bisogna rivendicare il diritto ad una moneta propria e a una politica economica veramente nazionale per rifare quello che i nostri padri hanno fatto nel primo e nel secondo dopoguerra; bisogna fermare una immigrazione senza fine e senza regole e il disordine sociale che ne deriva in danno soprattutto dei connazionali più deboli e fragili; bisogna affermare in modo categorico che non vedremo mai più lockdown per decreto, obblighi vaccinali senza fondamento, barbariche privazioni del lavoro per i dissidenti e, infine, ogni nuovo possibile green pass; bisogna riaffermare con forza l’antica cultura dei diritti individuali e della riservatezza contro uno stato che diventa sempre più un Leviatano digitalizzato; bisogna affermare con forza che le piccole e piccolissime attività economiche sono la grande ricchezza della nazione, anche sotto un profilo etico, e non possono essere soverchiate e distrutte dal potere di multinazionali che non pagano un euro di tasse in Italia; bisogna riprendere con forza l’idea che la nostra Costituzione, bella in tante sue parti, ha però bisogno di radicali modificazioni che rendano il nostro sistema politico e istituzionale più democratico ed efficiente; bisogna...

Fermiamoci qui, per adesso. E’ già troppo per una classe politica che voglia dire cose nuove. Ci accontentiamo che si inizi a discuterne, ma non per parlare anche noi di parole, ma per vincere finalmente una competizione elettorale che –volendo- potrà cambiare l’Italia. Poi bisognerà trasformare le parole in quelle cose che gli italiani vogliono.

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 01/08/2022