Michele da Cuneo accompagna Cristoforo Colombo nel secondo viaggio alle Indie nel 1493

La sua relazione del 1495 mette a nudo una realtà violenta e disumana

Michele da Cuneo (Savona, 1448 – Savona, 1503), dalla documentazione disponibile, viene considerato un esperto navigatore savonese che prese parte al secondo viaggio di esplorazione al Nuovo Mondo, compiuto da Cristoforo Colombo (25 settembre 1493 – 11 giugno 1496), verso cui nutriva grande stima e sincera amicizia.

Un dato da chiarire per evitare fraintendimenti: I Cuneo erano originari di Cunio, una frazione di Segno, situata sulle colline alle spalle di Vado Ligure, a 300 metri sul livello del mare e a 16 km da Savona. Per ulteriori notizie in merito ci riferiamo a Wikipedia che segnala quanto segue:

La famiglia (il cui scudo era a punta di rosso alla fascia d'oro caricato d'un leone passante di nero e al capo d'azzurro caricato d'un cuneo d'argento) fu ascritta nel Libro d'Oro o "Registro dell'Ordine della Nobiltà Savonese", in base a due deliberazioni del Consiglio Grande del Comune il 9 luglio 1557 e poi il 22 luglio 1576. Negli anni successivi, Michele da Cuneo si affermò a Savona come uno dei più attivi mercanti della sua città: come attestano gli atti notarili ancora conservati nell'Archivio di Stato di Savona, finanziò e sovrintese alla costruzione di una nave, inviò mercanzie in Sardegna, vendette filo palmato e filo per vele e sagole in cambio dell'acquisto di formaggi (da cedere probabilmente a Domenico Colombo) nonché molti altri prodotti commerciabili (grano, cera, panni, lana, etc.), acquistò e vendette case e terreni a Savona e un mulino a Mallare, acquistò botteghe e realizzò cospicui prestiti di denaro ricavandone interessi anche rilevanti.

Dai documenti pervenutici, risulta inoltre che Michele da Cuneo ebbe in moglie Orietta Bernissoni da cui ebbe due figli, Giovanbattista e Caterina. Michele fu anche padre di due figli naturali, Agostino e Corradino, e di una figlia, Beneitolla, nati da una sua relazione intrecciata con una donna di cui non ci è pervenuto il nome.

Nel 1493, rientrato in Spagna dopo la scoperta del Nuovo Mondo, Cristoforo Colombo mandò a chiamare l'amico Michele da Cuneo, invitandolo a seguirlo nel secondo viaggio di esplorazione in quelle terre sconosciute e misteriose da lui scoperte al di là del Mare Oceano. La spedizione, cui partecipò Michele, salpò dal porto di Cadice il 25 settembre 1493. Insieme a Colombo, il marinaio-mercante savonese esplorò le coste dell'isola di Hispaniola e di quella di Cuba e della Giamaica, osservando con acuto interesse le genti, le piante e gli animali che popolavano quelle misteriose isole.

In particolare, durante quella spedizione, Michele da Cuneo si distinse per aver avvistato per primo l'estremità sud occidentale dell'Hispaniola (che da lui prese provvisoriamente il nome di Capo San Michele di Savona) e poi, il 14 settembre 1494, l'isola di Adamanay (che Cristoforo Colombo ribattezzò col nome di Saona, in omaggio ai suoi genitori rimasti a vivere nel capoluogo ligure al momento della sua partenza dall'Italia). In segno di amicizia e riconoscenza, il Navigatore avrebbe donato quell'isola all'amico Michele da Cuneo.

Il 23 febbraio 1495, poi, Michele da Cuneo lasciò La Isabela, la città fondata da Colombo nella parte settentrionale dell'isola di Hispaniola, con una flotta di quattro caravelle guidate da Antonio De Torres, con l'incarico di recare in Spagna 550 Indios da vendere sul mercato degli schiavi di Cadice.

Rientrato quindi a Savona, Michele da Cuneo scrisse una lettera al nobile genovese Gerolamo Aimari per informarlo di ciò che aveva visto e relativamente alle esperienze vissute (il testo fu redatto tra il 15 ottobre e il 28 ottobre del 1495, dopo una breve sosta di Michele a Nizza).

[N.d.R.] – L’originale di Michele da Cuneo è andato perduto. Ne è rimasta una copia manoscritta che risale al 1511 o al 1516, ed è stata redatta da un certo Iacopo Rossetti. La copia fa parte di un codice in formato di ottavo, legato in pelle scura, che contiene altre relazioni e memorie e che oggi è conservato con numero 4075 dei manoscritti nell’Università di Bologna.

La Lettera di Michele da Cuneo (che sarebbe stata scoperta soltanto nel 1885 da Olindo Guerrini, Direttore della Biblioteca Universitaria di Bologna e la cui autenticità è oggi indiscussa) è oggi considerata il documento più importante e veritiero redatto da un marinaio che abbia partecipato ai viaggi di esplorazione al Nuovo Mondo.

Michele da Cuneo morì a Savona nel 1503.

La lettera di Michele da Cuneo all’amico Gerolamo Aimari del 15 ottobre 1495 “De Novitatibus Insularum Oceani Hesperii Repertarum a Don Christoforo Columbo Genuensi”, esprime il totale disincanto, se non una forte perplessità verso il mondo degli “indigeni” appena incontrati e considerati popolazioni da sottomettere, in ogni caso, ad un livello socialmente subordinato e da convertire al cristianesimo anche forzosamente.

Questa “lettera-relazione” stranamente si contrappone, in modo marcato, alla versione che potremmo dire ripetutamente paradisiaca del mondo “dei nativi” di Cristoforo Colombo, riportata nel suo “Diario de a bordo” e ribadita, con eguale convinzione, in successivi documenti.

Resta un rebus questa valutazione “distante dalla realtà” del Grande Ammiraglio Colombo, che probabilmente nasconde intenzionalmente interpretazioni o convenienze politico-diplomatiche personali che per ora ci sfuggono.

Una considerazione totalmente negativa verso il “mondo indigeno”, appena incontrato, era già stata evidenziata dal medico di bordo di Cristoforo Colombo – dottor Diego Alvarez – Chanca che evidenziava storture nel comportamento sociale, una cultura inconciliabile con la mentalità del conquistatore spagnolo cattolico del XV secolo, le abitudini ripugnanti del cannibalismo, verso forme di sessualità deviata, ecc. (dalla lettera-relazione del suddetto, che si stima scritta tra la fine del 1493 e l’inizio del1494).

Pertanto, anche in questa circostanza, il passo dalla benevola idealizzazione colombiana di questa comunità indigena, alla sua riduzione allo stato di “bestialità”, è stato molto breve.

Diversa la testimonianza del frate dell’ordine di San Gerolamo, Ramon Pané che, con atteggiamento umano e disponibile, investigò le credenze, l’animismo, i miti, la religione, le usanze, i comportamenti individuali e collettivi, il culto degli idoli, il tutto con grande serietà, attenzione e senza mai ostentare un pregiudizio di superiorità e disprezzo, rivelando un mondo a noi sconosciuto, ma caratterizzato da valori diversi ugualmente da rispettare.

Tuttavia, Ramon Pané, dalla sua posizione di cristiano evangelizzatore, non rinuncia, in ogni circostanza, ad evidenziare il fatto, relativo agli idoli, che “los grandes enga?os que de éstos recibent”.

In ogni caso è impressionante la valutazione di Michele da Cuneo che riserva agli indigeni e in particolar modo ai cosiddetti “camballi” cioè i “cannibali”. L’episodio in cui violenta una giovane donna, descritto con indifferenza senza preoccupazioni di ordine morale, denota ai nostri occhi il livello di brutalità che implica la negazione di ogni forma di umanità dei conquistatori occidentali.

Uno stralcio della lettera del suddetto fotografa l’evento della violenza carnale:

« …. Essendo io ne la barca presi una Camballa belissima, la quale il signor armirante mi donò; la quale avendo io ne la mia camera, essendo nuda secondo loro costume, mi venne voglia di solaciar cum lei. E volendo mettere ad execuzione la voglia mia, ella, non volendo, me tractò talmente cum le ongie, che non vorìa alora avere incominciato. Ma così visto, per dirvi la fine de tutto, presi una corda e molto ben la strigiai, per modo che faceva cridi inauditi, che mai non potresti credere. Ultimate, fussimo de acordio in tal forma, che vi so dire che nel facto parea amaestrata a la scola de bagasse ….”.

Tuttavia, per completare il contesto di cui sopra, è utile evidenziare che dei 1600 indios, rappresentati da maschi, femmine e da madri con lattanti, concentrati come capi di bestiame, 550 dovevano essere scelti per imbarcarli per la Spagna e in seguito sarebbero stati venduti come schiavi a Cadice.

La traversata oceanica, per il freddo e altre privazioni, comportò la morte di oltre 200 di questi infelici.

La scena d’orrore che descrive questo evento è da paragonare e anticipa quanto fu riservato, durante la Seconda Guerra Mondiale, ai deportati di Auschwitz-Birkenau per brutalità e crudeltà.

Aggiungiamo che Michele da Cuneo riporta con stupore la presenza di prigionieri indigeni evirati, presumibilmente dai “cannibali”, tra cui si pratica anche la sodomia, il “vicio inmundo” e con questa considerazione li marchia definitivamente nel confine sub-umano della bestialità, senza possibilità di riscatto.

Tuttavia, è curioso notare come Michele da Cuneo, uomo che manifesta autostima e venalità, sia profondamente deluso dalla scarsa presenza d’oro presso gli indigeni. Elemento questo che non può che peggiorare il giudizio complessivo di questa società più animalesca che civile, secondo i canoni della cultura spagnola-europea del tempo.

Quale considerazione possiamo trarre dalla lettera-relazione di Michele da Cuneo, personalità esuberante, compagno d’avventura, amico del grande esploratore genovese e nel contempo uomo del tardo medioevo cristiano?

La risposta è complessa e sicuramente non saremo noi così autorevoli da trarre una conclusione definitiva.

Tuttavia, pur tenendo conto della necessità di “contestualizzare” gli eventi vissuti dal suddetto personaggio, possiamo dire che Michele da Cuneo rappresenta il campione della contraddizione rispetto a quanto indicano gli insegnamenti del vangelo.

Infatti, impregnato della mentalità del conquistatore spagnolo, depotenzia la violenza esercitata, esprime il razzismo verso i nativi, considerati simili alle bestie e da utilizzare senza remore come schiavi. Stesso atteggiamento di banalizzazione lo riserva all’esercizio della violenza sessuale sulle donne indigene, delle quali sente una forte attrazione, benché questa infame pratica sia un grave “peccato” nel caso in cui fosse esercitata verso una persona cristiana.

In sintesi, con questi presupposti i conquistatori spagnoli, nella stragrande maggioranza (e dell’occidente cristiano nei secoli successivi), hanno dimostrato il volto della brutalità e la negazione dei valori umani e cristiani, ufficialmente dichiarati come viatico giustificativo dell’avventura delle scoperte dei nuovi territori oltre oceano e della loro colonizzazione.

In fondo il continente americano, sia del nord che del sud, ha subito un “genocidio” delle popolazioni indigene, sostituite dalle migrazioni europee che, trasformatesi in classi dirigenti e padrone, per mantenere il predominio economico e politico, hanno dovuto addirittura ricorrere allo schiavismo, tramite la vergognosa tratta dei negri d’Africa.

Resta l’eterno dilemma della valenza e del ruolo delle ideologie nel contesto della storia umana.

Infatti, la contraddizione tra le affermazioni di principio e la loro reale applicazione, crea un solco che si identifica nella vocazione antropologica dell’uomo, espressa nella sopraffazione sul più debole, nell’esercizio della violenza, nella rapina dei beni materiali, nella cancellazione e negazione delle culture indigene o delle “comunità perdenti”. E tutto questo per soddisfare l’incontenibile sete di dominio che ruggisce nel profondo dell’inconscio umano.

Le ideologie tra cui possiamo inserire le “religioni”, come la storia conferma, restano un comodo paravento giustificativo per coprire la vera natura antropologica di Homo sapiens che, coinvolto nella lotta per la sopravvivenza, ha prodotto la “storia umana”, caratterizzata dal progresso civile e sociale, ma contemporaneamente intrisa di violenze, nefandezze, aberrazioni di cui c’è da inorridire.

Il dramma è che questa “storia umana”, amalgama di dichiarazioni ed eventi nobili e nel contempo di testimonianze infamanti e cruente, continua imperterrita a riproporsi, con la provocante sorpresa di adeguare le nefandezze del passato all’evoluzione dei tempi, senza però confermare realmente una evoluzione di progresso consolidata verso un traguardo di società più umana, libera e giusta.

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Articolo pubblicato il 12/08/2022