Toby, Pompei e un mastino che non è un mastino

I cani nel Canone di Sherlock Holmes

Il Canone delle narrazioni che hanno Sherlock Holmes come protagonista è stato fissato dallo stesso autore, Arthur Conan Doyle, e consiste in cinquantasei racconti e in quattro romanzi o racconti lunghi.

I quattro romanzi sono: Uno studio in rosso (1887), Il segno dei quattro (1890), Il mastino dei Baskerville (1902), La valle della paura (1915).

Le cinque raccolte di racconti sono: Le avventure di Sherlock Holmes (1892), Le memorie di Sherlock Holmes (1894), Il ritorno di Sherlock Holmes (1905), L’ultimo saluto di Sherlock Holmes (1917) e Il taccuino di Sherlock Holmes (1927).

Ciò premesso, ci pare curioso ricordare che, fra i collaboratori di Sherlock Holmes, si debbano anche annoverare due cani, Toby (nel romanzo Il segno dei Quattro) e Pompei (nel racconto L’avventura del giocatore scomparso).

Sherlock Holmes ricorre a Toby per un inseguimento, dicendo che ha un fiuto straordinario e che lo preferisce alla collaborazione della polizia.

Watson definisce Toby come un brutto «incrocio di uno spaniel e di un meticcio».

Lo studioso Stefano Guerra, che nel 1998 si è occupato con grande attenzione dei cani presentati dal Canone, ipotizza che verosimilmente le razze coinvolte siano lo Springer Spaniel per il colore del mantello e per la lunghezza delle orecchie, il Sussex Spaniel per l’andatura dondolante tipica - che differenzia questo spaniel da tutti gli altri - e per il fatto che abbaia in continuazione sull’usta ed infine un Foxhound per l’instancabile energia sulle tracce e per la velocità.

Quanto a Pompei, Sherlock Holmes lo definisce insigne poliziotto specialista nel racconto L’avventura del giocatore scomparso.

È un cagnetto dalle orecchie penzoloni, a chiazze bianco marroni, un incrocio tra un cane da caccia e un Foxhound, erroneamente tradotto Fox-terrier in Italia, come nota Stefano Guerra.

Pompei, abilissimo nel fiutare le piste, ritrova il giocatore scomparso, un terzino, dopo che Sherlock Holmes con la sua siringa ha spruzzato di anice la ruota posteriore del calesse del dottor Armstrong.

A questi, che potremmo definire cani poliziotto, ben noti ai devoti del Canone holmesiano, si unisce quello che è universalmente noto: il mastino dei Baskerville.

Il già citato Stefano Guerra ci fornisce una circostanziata ipotesi sulla razza del funesto e orripilante cane che Conan Doyle presenta nel romanzo. La traduzione italiana di The Hound of Baskerville con mastino non pare soddisfacente e sarebbe sostanzialmente errata: sarebbe più corretto definirlo genericamente Cane.

Watson lo descrive come una creatura spaventosa e lo definisce per metà Bloodhound, cane dal notevole fiuto, e per metà Mastiff, forte e feroce. Si tratterebbe quindi, conclude Guerra, di «un Bloodhound-Mastiff, un Segugio-Mastino, che dell’uno ha preso il naso ed il colore del mantello […] e dell’altro la ferocia e la forza; da entrambi le dimensioni, al di sopra del normale, per una miscela unica, per un incrocio mai più tentato, per un Cane mai più visto».

Va detto che questa creatura rientra nella categoria degli animali assassini, senza però assumere un ruolo attivo, visto che agisce dietro lo stimolo di un uomo criminale, in analogia con la vipera di palude (L’avventura della fascia maculata), il mastino Carlo (L’avventura dei faggi rossi) e Sahara King, il leone del circo (L’avventura dell’inquilina velata).

Il mastino Carlo è assai meno noto di quello dei Baskerville, col quale condivide almeno in parte il ruolo di animale assassino, visto che compare nel racconto L’avventura dei faggi rossi, pubblicato in racconto e in volume nello stesso anno, il 1892, mentre Il mastino dei Baskerville è del 1902.

Il sinistro mastino Carlo è descritto con le dimensioni di un vitello, gli occhi fiammeggianti, il pelo fulvo, la mascella cascante, muso nero e grosse ossa sporgenti.  Il suo padrone, il signor Rucastle lo tiene sempre affamato e libero di vagare la notte per tutta la proprietà, ma finisce per esserne vittima: quando lo slega perché aggredisca Holmes, il mastino, senza cibo da due giorni, subito gli si rivolta contro. Watson deve abbattere Carlo con un colpo di pistola per salvare Rucastle che riesce a sopravvivere benché mutilato. In questo senso l’animale diventa strumento della giusta punizione di chi intendeva servirsene per scopi malvagi. 

Il mastino Carlo assume un certo rilievo nell’Holmes-pensiero.

Quando il re degli investigatori è sul punto di ritirarsi dall’attività, dice di avere in mente la redazione di una monografia sull’uso dei cani nell’arte investigativa (L’avventura dell’uomo che camminava a quattro zampe).

Spiega a Watson che nel caso descritto ne I Faggi Rossi, è stato in grado, studiando il carattere del giovane figlio di Rucastle, di trarre giuste deduzioni sulle abitudini criminose del genitore, in apparenza assai rispettabile e cordiale. Così - prosegue Sherlock Holmes - un cane riflette la vita della famiglia in cui vive. Chi ha mai visto un cane mattacchione in un ambiente tetro o un cane triste in una famiglia allegra? La gente ringhiosa ha cani ringhiosi, la gente pericolosa ha cani pericolosi, e i loro umori bizzarri possono riflettere gli umori bizzarri dei padroni.

Questo progetto editoriale di Sherlock Holmes a quanto pare non è stato realizzato.

Si può però parlare di preveggenza di Conan Doyle: anticipa le moderne teorie relazionali sugli equilibri familiari. Quando un bambino si presenta sofferente sul piano psicologico, la neuropsichiatria infantile sostiene ancora oggi che bisogna indagare sulla struttura familiare ed individuarne le modalità comunicative, i contrasti, le reciproche posizioni di potere, i ruoli predefiniti (Stefano Guerra, 1999).

Sherlock Holmes ricava indicazioni utili per la risoluzione di alcuni casi dall’osservazione del comportamento dei cani, come Roy, il cane lupo del professor Presbury, che aggredisce il suo padrone (L’avventura dell’uomo che camminava a quattro zampe), oppure come lo spaniel - chiamato Black nella traduzione del 1971 e in seguito Carlo - con disturbi di movimento alle zampe posteriori, di incerto significato anche per il veterinario (L’avventura del vampiro del Sussex).

E ancora, a Shoscombe Old Place, Sherlock Holmes che si è proclamato un cinofilo, mette la sedicente Lady Beatrice a confronto col suo cagnolino che non “riconosce” la sua padrona (L’avventura di Shoscombe Old Place).

Nel caso di Barbaglio d’argento Holmes sottolinea il silenzio del cane da guardia.

Hanno un certo rilievo nelle indagini anche la soppressione eutanasica del cagnolino malato della signora Hudson (Uno studio in rosso), la tragica scomparsa dello spaniel a pelo riccio del dottor Mortimer (Il mastino dei Baskerville) e la strana morte dell’Airedale nello stesso punto della scogliera dove era stato aggredito il suo padrone (L’avventura della Criniera di Leone).

Ricordiamo ancora il cane del dottor Armstrong, aizzato contro Sherlock Holmes (L’avventura del giocatore scomparso), e il cane da guardia di Milverton (L’avventura di Charles Augustus Milverton). Holmes in gioventù è stato morsicato da un cane ma l’incidente ha fatto nascere la sua amicizia col padrone dell’animale, Victor Trevor (Il mistero della «Gloria Scott»).

È curioso, infine, che Watson, quando si presenta a Sherlock Holmes, dice di possedere un cucciolo di bulldog, in seguito completamente dimenticato da Arthur Conan Doyle per essere talvolta citato in qualche apocrifo.

Bibliografia

Guerra S., I cani nel Canone, The Strand Magazine, dicembre 1998.

Guerra S., I bambini e Sherlock Holmes: l’infanzia a Baker Street, The Strand Magazine, settembre 1999.

 

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Articolo pubblicato il 10/09/2022