Europa e Costituzione

Considerazioni su un conflitto giuridico e politico

Uno dei temi più scottanti che il nuovo governo, sicuramente a guida Meloni, dovrà affrontare nell’immediato futuro è quello dei rapporti fra diritto europeo e diritto costituzionale italiano, un tema che da noi è stato finora affrontato marginalmente mentre in altri paesi europei ha già prodotto scelte abbastanza definite, anche se controverse.

Come si sa, non c’è questione relativamente ai rapporti fra diritto europeo -il cosiddetto acquis communautaire- e la legge ordinaria italiana: prevale la legislazione europea, e le norme ordinarie italiane che dovessero trovarsi in conflitto con quelle europee vengono eliminate dalla Legge europea (che in questo caso è una legge del nostro parlamento la quale adegua le norme italiane in contrasto con quelle dell’UE) o dalla Legge di delegazione europea (con cui si recepiscono norme europee che vanno a sostituire quelle italiane) o vengono comunque disapplicate dalla magistratura nei casi concreti.

Una situazione che fa comprendere come l’Italia e gli altri paesi dell’UE non abbiano più autonomia legislativa -che da sempre è una delle componenti fondamentali della sovranità- in un gran numero di materie. A ben poco serve ribattere che questa rinuncia a una parte consistente della  propria legislazione è avvenuta democraticamente attraverso scelte di parlamenti nazionali liberamente eletti: molte scelte sbagliate avvengono liberamente e democraticamente e, soprattutto, resta il fatto incontrovertibile che oggi una parte molto consistente della nostra vita e delle norme che la regolano è decisa all’estero da organismi su cui l’Italia non ha controllo. Si pensi solo che il Parlamento europeo, che dovrebbe essere l’organo rappresentativo dei popoli europei, non ha potere di iniziativa legislativa, che spetta esclusivamente alla Commissione: un fatto abnorme che non ha riscontro altrove.

Il problema vero sta però nei rapporti che intercorrono fra l’acquis communautaire e le costituzioni dei singoli paesi, un tema già oggi presente e tormentoso ma destinato ad esplodere in un futuro non troppo lontano, soprattutto se si considera il progressivo deteriorarsi delle relazioni fra i paesi dell’UE -con il conseguente sgretolamento della fiducia reciproca- dovuti all’emergenza bellica in Ucraina e a quella energetica, che sta diventando dirompente.

Tutto può compendiarsi in una semplice domanda: in che misura le norme europee (trattati, regolamenti, direttive) e le concrete decisioni politiche dell’Unione possono prevalere, o addirittura prevaricare, sulla Costituzione italiana? O, se preferite: in che misura la nostra Costituzione, osannata da sempre come l’asse portante della nostra comunità nazionale, può essere scavalcata o addirittura calpestata, da regole concepite e imposte da una lontana burocrazia continentale?

Paesi come la Polonia e l’Ungheria hanno vissuto e stanno vivendo drammaticamente questa contraddizione, tant’è che quella burocrazia di Bruxelles non ha esitato a minacciare sanzioni contro questi pericolosi ribelli che, difendendo i principi accolti nelle carte fondamentali dei loro popoli, stanno diventando un pericolo per le istituzioni europee e per la stessa sopravvivenza dell’Europa politica. Anche la Germania, tramite quella che è la sua corte costituzionale, ha stabilito senza troppi giri di parole che le scelte comunitarie che vadano contro la costituzione tedesca (o anche contro gli interessi del popolo tedesco) non possono essere accettate. Ma naturalmente, e come sempre, Bruxelles non ha proferito parola contro il colosso germanico.

E l’Italia? La nostra Corte costituzionale, dopo varie oscillazioni concettuali, infine sembra aver timidamente accettato la cosiddetta “teoria dei controlimiti” secondo cui il diritto comunitario che vada non tanto contro la Costituzione ma contro i suoi “principi fondamentali” può essere rifiutato. Costruzione balbettante e un po’ gesuitica, soprattutto perché rimangono abbastanza nebulosi quei “principi fondamentali”, i quali, nella nostra miglior tradizione sofistica e avvocatizia, possono essere definiti, ampliati o ristretti a piacere secondo la convenienza e le necessità contingenti.

Facciamo un esempio attualissimo.

L’articolo 11 della nostra Costituzione, ormai conosciuto da tutti, limpidamente afferma che “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ammettendo di fatto solo la guerra difensiva quando afferma altrettanto limpidamente che “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (art. 52). Parole eleganti e chiarissime (forse non tutti sanno che la revisione linguistica del testo costituzionale fu affidata a scrittori e letterati di alto livello) che non lasciano spazio al dubbio.

Invitiamo chiunque ne abbia voglia a leggersi invece l’art. 42 del TUE (Trattato sull’Unione Europea, 1992, poi traslato nel Trattato di Lisbona del 2007). Testo verboso, farraginoso, faticosissimo, pieno di ambiguità, che in buona parte si sovrappone irrazionalmente agli obblighi NATO, e dove in sostanza si prefigura la politica bellica dell’Unione come parte della politica di sicurezza, lasciando aperte tutte le ipotesi di intervento militare che piacciano a Bruxelles. Ma chi ha mai detto che i nostri mitici e sempre lodati Padri Europeisti (non erano un ordine religioso, ma solo un vecchio gruppo di uomini un po’ ingenui e imprevidenti, anche se sostanzialmente onesti) volessero un’Europa armata e pronta alla guerra come prefigurata da quel dissennato articolo? Probabilmente non avevano previsto la bulimia di competenze che la loro creatura avrebbe sviluppato negli anni, accumulandole una sull’altra fino all’attuale monumento burocratico comprensivo di inopinate ambizioni geopolitiche e militari.

Un testo del genere è compatibile con l’art. 11 della nostra Costituzione? E’ compatibile l’attuale politica bellicista dell’UE, che di fatto ha trascinato gli stati europei, e l’Italia in particolare, nella co-belligeranza a fianco dell’Ucraina e, forse presto, in una esplicita belligeranza contro la Russia? Questa situazione drammatica, dalle conseguenze economiche evidentissime e dalle evoluzioni belliche potenzialmente devastanti, non configura -per i nostri responsabili politici- un evidente attentato alla Costituzione, con tutte le conseguenze che ne possono derivare a loro carico?

E ora un consiglio -ancora un consiglio, ma le vogliamo bene- a Giorgia Meloni. Ricordi che il suo grande successo elettorale è dovuto anche al desiderio, diciamo così, di “discontinuità” da parte della gente, una gente profondamente stufa di decisioni prese altrove ma che ricadono sulla sua pelle, e sovente la ustionano, per compiacere chissà quali interessi di chissà chi e chissà dove. Ricordi che la parola “sovranismo” non è una bestemmia, checché ne dicano La Stampa o Repubblica -giornali di cui guardiamo solo la prima pagina al bar mentre prendiamo il caffè- e che la gente ha voglia di riprendersi in mano il proprio destino.

E la questione del nostro diritto, della nostra Costituzione, versus le imposizioni giuridiche e politiche europee non è un argomento per tecnici e giuristi ma un tema vitale e bruciante per la nostra democrazia, per la nostra libertà e per la nostra nazione, un problema che non si può far finta di non vedere. E la signora di Fratelli d’Italia è arrivata dove l’abbiamo mandata anche per dare una risposta a queste domande.

Qualcuno, con un tono tra il fobico e l’ansioso, sulle pagine dei giornali per bene, ha detto che se passa il principio del sovranismo giuridico nazionale cade quello della supremazia del diritto europeo, e probabilmente la stessa costruzione europea. Noi rispondiamo che, se si mantiene il principio inverso, cadono le democrazie nazionali come le abbiamo conosciute fino ad ora, e si consegnano definitivamente la nostra identità, il nostro paese, i nostri interessi ad una entità come quella europea -così come disegnata e ridisegnata sino alla sua struttura attuale- che ormai appare solo più come un conglomerato di interessi lobbistici, di oligarchie continentali e super-continentali, di egoismi economici nazionalistici e di pulsioni guerrafondaie che non ci piacciono affatto.

 

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Articolo pubblicato il 09/10/2022