Torino, il toro e i Taurini

E allora perché il toro? (di Luca Guglielmino)

I Celti veneravano i tori come simbolo di forza, virilità e ferocia mentre il bue era un simbolo di ricchezza come bestia da tiro in agricoltura. Venivano effettuati sacrifici di tori e di buoi forse come offerta agli dèi dell’oltretomba.

Plinio il Vecchio NH XVI 45, racconta di una festa celtica dove i druidi, dopo aver tagliato il vischio da una quercia sacra, lo avvolgevano in un drappo bianco e poi sacrificavano due tori bianchi nel sesto giorno della luna crescente. Il vischio era simbolo di fertilità e fecondità così come i tori.

Famoso era pure il culto del toro con tre gru o Tarvostrigaranus legato forse al culto dell’albero della vita che mette in rapporto la vita terrena con quella propria del pantheon celtico.

I Taurini, come i Celti, certamente veneravano i tori.

Resta il fatto che rappresentare un popolo su di un’altura uguale a mille altre, in araldica non solo dice poco ma è anche impossibile. Rappresentare un toro invece è più facile così come rappresentare un’aquila o un leone e colpisce di più l’osservatore, soprattutto se appartiene a classi popolari analfabete.

Il toro è arma parlante per assonanza a Torino e il primo esempio lo troviamo nel Codice della Catena del 1360, conservato nell’Archivio Storico della Città di Torino – Carte Sciolte 390.

È una raccolta degli Statuti cittadini dell’epoca di Amedeo VI detto il Conte Verde. Risale al periodo della lotta con gli Acaia e Amedeo VI concesse tale documento a Torino in cambio della fedeltà della città nei suoi confronti.

L’aristocrazia cittadina si riconciliò con il conte e ne sancì il dominio su Torino. Così questa venne sottratta alla giurisdizione dei cugini Acaia, nella persona di Giacomo che aveva tentato di ricevere l’investitura della città dall’imperatore direttamente, eliminando il giuramento di fedeltà al Savoia.

Solo nel 1492, tale Codice divenne della Catena perché vennero applicate due catene di ferro sui piatti del volume, onde impedirne i furti reiterati in occasione di pubblica esposizione nel vestibolo della Casa Comunale allora gotica.

I Protocolli Comitali e Ducali con atti notarili (dal 1301) dell’Archivio di Stato, riportano fedelmente le prerogative del conte prima e del duca dopo, su Torino, cui doveva omaggio e sudditanza. Il toro del Codice della Catena è rosso e passante, cioè cammina ed è raffigurato vicino allo stemma di Savoia. Amedeo VI era di parte guelfa anche se Torino aveva a lungo appoggiato i ghibellini e anche se in essa lotteranno due fazioni: una pro-aleramica e ghibellina e l’altra pro-savoiarda e guelfa che porteranno poi alla congiura contro Ludovico d’Acaia nel 1334, ossia circa settant’anni dopo.

Del resto, Amedeo VI indisse la Crociata Sabauda del 1366 con il placet di Papa Urbano V in aiuto al cugino Giovanni V Paleologo; infine fu mediatore tra Venezia e Genova, a seguito della guerra di Chioggia, con la pace di Torino del 1381. Non solo quindi la volontà di legare definitivamente Torino ai Savoia sottraendole ogni autonomia e impedendo che il feudo fosse riassegnato dall’Imperatore come voleva Giacomo, ma anche quella di rendere importante Torino come sede politica e di trattato tra potenze marittime dell’epoca, un primo passo al di qua delle Alpi.

Il toro passante in campo bianco è il primo stemma noto di Torino.

Rosso e bianco nel Medioevo potevano assumere diversi significati. Se da un lato potevano sottolineare la nobiltà e il popolo, dall’altro, con tutta probabilità significavano l’indipendenza nei confronti dell’Imperatore.

La croce bianca in campo rosso venne definitivamente adottata da Amedeo V (cfr.Bernard Demotz- Le comté de Savoie du XIe au XVe siècle: Pouvoir, château et État au Moyen Âge, Genève, Slatkine, 2000, 496 p. (ISBN 2-05-101676-3), p.38. ) ed è un simbolo decisamente guelfo anche se “Como è co' i forti, e abbandonò la lega” (Canzone di Legnano di G. Carducci) possiede lo stesso simbolo ma in campo ghibellino e così Novara.

Evidentemente le croci hanno un valore relativo nel determinare il campo politico di appartenenza nel caso dei Savoia.

Tale ragionamento vale per le regioni cisalpine ma per la Savoia transalpina il procedimento è un altro. L'origine di Casa Savoia risale alla fine del X secolo, quando i paesi borgognoni di Savoia furono annessi al Sacro Romano Impero.

Nel XII secolo, il primo conte di Savoia in quanto tale, Amedeo III, utilizzò un pennone con una croce. L'aspetto di questa croce ha fatto scorrere molto inchiostro e deve certamente essere collegato alla creazione della contea di Savoia, e deve essere inerente al ruolo di priore laico di St-Maurice d'Agaune del conte di Savoia (Saint-Maurice d'Agaune nel Canton Vallese in Svizzera, è il luogo dell'incoronazione dei monarchi borgognoni), ma anche dal cambio di alleanza del conte Amedeo III, tra il Sacro Romano Impero e il Papato.

Nel 1128 Amedeo III si ritirò dal suo incarico di priore senza rinunciare alla protezione dell'abbazia, anzi, fine stratega, estende il suo potere e assicura il riconoscimento della sua nuova contea di Savoia.

Nel 1143 Amedeo III utilizzò un sigillo raffigurante una croce su un pennone, emblema che divenne gradualmente quello dei suoi successori, come confermato dal sigillo di Umberto III nel 1150, che reca uno stendardo con la croce.

Tommaso I, figlio di Umberto III, assunse invece lo stemma con un'aquila (d'oro con un'aquila nera) associato al Sacro Romano Impero, ma conservò lo stendardo rosso con una croce bianca. Per i Savoia, è proprio con Amedeo V, che lo stemma con la croce viene fissato come emblema di feudo e come emblema di casa Savoia. I conti, poi duchi di Savoia, utilizzeranno senza soluzione di continuità questa croce, una croce bianca su fondo rosso che resterà definitivamente associata alla casa Savoia.

Decisamente guelfi quindi se ci riportiamo all’ottica cisalpina, così come il toro rosso in campo bianco, campiture inverse rispetto allo stemma e al drappo di Savoia, sancisce sia l’indipendenza di Torino dall’Imperatore che la raffigurazione araldica di gente forte e operosa.

Venne semplicemente omessa la differenza tra torus e taurus in latino, speculando sul nome dei Taurini onde rendere presentabile e comprensibile il motivo araldico che divenne  anche oggetto di manipolazione e speculazione da parte del Pingone e del Tesauro nel XVI e nel XVII secolo, quando attribuirono origini egizie a Torino, in base al mito di Fetonte-Eridano, secondo la moda del tempo e per illustrare origini mitiche del sito ove ormai aveva preso dimora Casa Savoia, ma senza alcuna base storica.

C’è una precedente allegoria riguardante Eridano in Giovanni Boccaccio nel suo “Genealogia deorum gentilium” in 15 volumi.

Non sappiamo se il Pingone ne fosse a conoscenza. Del resto, i Savoia si valsero sempre, come altre casate, di miti e leggende circa la loro origine. Famoso fu Jean d’Orville detto Cabaret che all’epoca di Amedeo VIII inventò le origini mitiche dei Savoia da un certo Beroldo di Sassonia, nipote di Ottone III, in una storia che giunge fino allo stesso Amedeo, onde dar lustro al casato savoiardo.

La storia venne commissionata dallo stesso Amedeo e sia Pingone che Tesauro erano comunque letterati di corte. Basti vedere come ad esempio i cartigli della Sala delle Congregazioni in Comune e la lapide inerente alla costruzione del nuovo palazzo barocco, compaiano nel perfetto latino del Tesauro.

Intorno alla metà del XV secolo il toro iniziò a diventare furioso e cioè a impennarsi sulle zampe posteriori e i colori giallo oro e blu compaiono invece all’epoca di Carlo Emanuele I (1613-1614) mentre la corona comitale con nove palle compare a partire dal 1619 con l’acquisto della contea di Grugliasco e della signoria di Piossasco da parte di Torino.

Va infine detto che mentre lo stemma di Savoia è decaduto dal drappo tricolore il 2 giugno 1946, esso è rimasto in Savoia e con alcune modifiche nel drappo del Piemonte. Il toro come emblema di Torino rimase tale con ogni regime, sia sotto Napoleone (Torino bonne ville o città di prima classe con corona di alloro e quercia legate da un caduceo, con corona turrita e aquila imperiale e sopra il toro, tre api gialle in campo rosso) che con il fascismo, ove al toro venne apposto di lato un fascio o capo littorio sopra il toro.

Luca Guglielmino – Fine

La Bibliografia può essere richiesta all’Autore.

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 14/01/2023