Giuseppe Baretti: la polemica come missione

Mantenne sempre ben viva la sua figura originale di intellettuale illuminista

Aristarco Scannabue… chi era costui? Potremmo parafrasare don Abbondio al cospetto di questo singolare personaggio ricordato certamente per la sua attività intellettuale, ma soprattutto per la vis polemica che ne ha caratterizzato l’esistenza, giungendo a livelli elevatissimi e al limite dello scontro fisico.

 

Ci riferiamo a Giuseppe Baretti (1719-1789), che visse la fanciullezza e un breve periodo dell’adolescenza nel palazzo dell’Università, in via Po 17: l’abitazione in cui la famiglia alloggiava era all’interno dell’ateneo, dove il padre lavorava come economo.

 

A sedici anni, dopo un furioso scontro con il padre, lasciò Torino e andò prima a Guastalla, presso uno zio, poi a Venezia, dove conobbe Gaspare Gozzi, a Milano (entrò a far parte dell’Accademia dei Trasformati, illuministi moderati), poi di nuovo in Piemonte, a Cuneo, come economo delle fortificazioni.

 

Dopo la proibizione della pubblicazione del Primo cicalamento, nel 1751 andò a Londra a dirigere il Teatro italiano. Ritornò poi in Italia nel 1760, seguendo un lungo itinerario attraverso Portogallo, Spagna e Francia, che descrisse con vivaci qualità narrative nelle Lettere Familiari.

 

Mantenne sempre ben viva la sua figura originale di intellettuale illuminista, noto soprattutto per le polemiche sollevate con la sua Frusta letteraria (1763/65), una rivista in cui, con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, demoliva con critiche violente e corrosive molti letterati di ogni epoca (memorabili le stroncature di Dante, degli Arcadi, di Goldoni).

 

La sua pubblicazione gli causò non pochi problemi con la censura che ne proibì la stampa, rendendolo esule in alcune città italiane per riuscire così a continuare la diffusione della sua pubblicazione. Sicuramente amareggiato, a quel punto, siamo nel 1766, Baretti lasciò definitivamente l’Italia per ritornare in Inghilterra, dove ottenne un prestigioso incarico presso la Royal  Academy of Arts.

 

Continuò la sua attività, scrivendo in inglese Usi e costumi d’Italia (in difesa della nostra cultura), in francese il Discorso su Shakespeare e il Signor di Voltaire (1777) forse il suo capolavoro, in cui difese la forza e naturalezza del teatro elisabettiano e polemizzò con quello classico francese, anticipando tematiche e motivi del Romanticismo.

 

Dominato da un forte spirito indipendente e da un desiderio di autonomia al limite del masochismo (rifiutò la cattedra di italianistica offertagli dal Trinity College di Dublino), Giuseppe Baretti era consapevole che solo in quel modo sarebbe stato nella condizione di continuare la sua attività menando colpi a destra e a manca per criticare, ironizzare, stroncare e magari alzare la voce.

 

Durante la seconda fase della sua vita, quella che ebbe come centro di gravità l’Inghilterra, fu protagonista di una vicenda di “cronaca nera” che ebbe una certa eco: nel 1769, a Haymarket, fu coinvolto in un’aggressione (le fasi non sono ben chiare), poiché avrebbe trattato in malo modo una prostituta.

 

Alcuni uomini cercarono di colpirlo e lui uccise uno degli aggressori con una coltellata. Venne comunque assolto con formula piena, poiché avrebbe agito per legittima difesa.

 

 

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Articolo pubblicato il 12/01/2023