A tavola con Renzo e Lucia

Un percorso di lettura dei Promessi Sposi focalizzato sui cibi citati nel celebre romanzo

Seconda parte

PRIMA PARTE  Civico20News - A tavola con Renzo e Lucia

Un posto a sé in questa sorta di menù dei Promessi Sposi merita naturalmente la polenta, secondo lo stereotipo il cibo manzoniano per eccellenza, in realtà presente nel romanzo solo tre volte. La polenta costituisce nella vicenda di Renzo e Lucia un pasto di per sé, non sono citati altri cibi di accompagnamento. Interessante notare che solo Renzo mangia la polenta e a prepararla sono i suoi amici maschi; ancora oggi è diffusa l’abitudine che sia l’uomo di casa a “girare la polenta” e a rovesciarla sull’asse di legno, considerata la necessità di una buona forza fisica per svolgere l’operazione senza difficoltà.

La prima polenta del romanzo è quella che scodella Tonio, l’amico-testimone di Renzo nel tentativo del “matrimonio a sorpresa”, quando Renzo si reca da lui per chiedergli appunto di essere il suo testimone; si tratta di una polenta “bigia”, cioè di grano saraceno. Ricordiamo tutti quanto gli altri commensali, la moglie e i figli di Tonio, siano stati felici dell’invito all’osteria  di Renzo a Tonio; la polenta era poca e la fame tanta. E per di più era servita da sola, come dicevamo; altro che polenta e funghi,  polenta con le verze, con lo spezzatino, crostoni di polenta  e via dicendo. Sarebbe meglio ricordarsi di Tonio e della sua famiglia, quando ci lamentiamo se la pasta non è abbastanza condita o il risotto manca un po’ di personalità. Nonché di tutti coloro che ancora oggi muoiono di fame; ma questa è un’altra storia. 

La seconda polenta Renzo la mangia due anni e ventisette capitoli dopo, quando ritorna al paese dopo aver vissuto le mille peripezie che tutti conosciamo e l’amico anonimo con cui si ritrova gli “fa festa”, come scrive Manzoni, offrendogli un piatto di polenta. E sarà ancora l’anonimo amico, poco tempo dopo, quando Renzo torna felice al paese dopo aver saputo che Lucia è sopravvissuta alla peste, ad offrirgli la sua terza polenta. Polenta vuol dire amicizia, verrebbe da dire.  Ma torniamo al nostro menù e passiamo ai formaggi.

Quando Renzo, in fuga da Milano dopo i tumulti, si  ferma in un’osteria di campagna  e chiede da mangiare, “gli fu offerto un po’ di stracchino e del vin buono.” Ecco quindi la citazione del formaggio lombardo così chiamato, prodotto con latte vaccino intero. Ma c’è anche un altro formaggio, questa volta toscano: il raveggiolo, citato nel capitolo XXXIII, indicato eccezionalmente come accompagnamento alla polenta, quindi, in un certo senso, “lombardizzato”. Ed ora, la frutta.

Innanzitutto le noci, che rimandano subito alla memoria l’episodio di fra Galdino, il cappuccino che si presenta a casa di Agnese, mentre Renzo è dall’Azzeccagarbugli,   per la “cerca delle noci”, nonché il celebre “miracolo delle noci ” che lo stesso frate racconta alle due donne per dimostrare loro quanto siano importanti la carità e l’elemosina. Parlando del suo ordine  e della sua funzione fra Galdino  conclude infatti: “Noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”. Ma Manzoni non parla solo di noci; anche di castagne, pesche e fichi, cioè la frutta che il sarto offre

a Lucia ed Agnese in viaggio verso il castello dell’Innominato, dove troveranno rifugio dai Lanzichenecchi ormai in arrivo. La cena è parca e i fuggitivi ricevono solo frutta; il momento è difficile per tutti e la moglie del sarto è molto attenta ad essere ospitale, ma anche  a tenere in considerazione le bocche da sfamare della sua famiglia.

E ora concludiamo con il dessert. In realtà l’unica a mangiare dei dolci nel romanzo è la sventurata Gertrude, la monaca di Monza; prima della visita al monastero in cui chiederà formalmente di essere ammessa come novizia, le viene offerta una tazza di cioccolata. Successivamente, per festeggiare l’ingresso in convento di una suora appartenente ad una famiglia così importante, la badessa ordina che si offrano dolci a Gertrude e alla sua famiglia. I dolci, insomma, sono nel romanzo roba per nobili e ricchi, naturalmente.

E concludiamo questa rassegna di cibi con una osservazione. Manzoni conclude I Promessi Sposi con la riflessione finale di Renzo e Lucia; i guai non sempre arrivano perché ce li siamo cercati, ma a volte la condotta più prudente non riesce a tenerli lontani. E in questo caso la fiducia in Dio può aiutarli ad addolcirli.

“Questa conclusione” scrive Manzoni “ c’è parsa così giusta, che abbiamo pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia”.

Il sugo, una metafora culinaria che rimanda a qualcosa che richiede tempo, pazienza e attenzione per riuscire denso e gustoso. Come la storia di Renzo e Lucia.    

 

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Articolo pubblicato il 04/02/2023