Alcune considerazioni sui fatti di Firenze e sulla scuola di oggi
Abbiamo lasciato passare qualche giorno prima di azzardare un commento sulla singolare vicenda riguardante la preside del Liceo Leonardo da Vinci di Firenze, la quale ha ritenuto di impartire per lettera una lezione di solenne antifascismo ai suoi studenti dopo i noti fatti del 18 febbraio, e cioè dopo la rissa fra presunti giovani fascisti e altri studenti davanti a un altro liceo fiorentino, il Michelangelo.
Intanto volevamo capire qualcosa di più dell’avvenimento, che sin dall’inizio sembrava sospetto nella sua immediata e granitica narrazione ideologica, e poi volevamo trarne qualche considerazione politicamente e culturalmente più meditata.
Sotto il primo aspetto avevamo ragione a dubitare della versione ufficiale tutta basata sull’ “aggressione fascista”: alcune testimonianze parlano invece di un assalto da parte di elementi dei centri sociali contro alcuni studenti di destra che cercavano di distribuire volantini, e della conseguente reazione di questi ultimi contro gli avversari di sinistra. Cose già viste e sentite mille volte che, in altri tempi più arrabbiati, rappresentavano quasi una banale quotidianità e che l’altro ieri si sono risolte, altrettanto banalmente, in qualche livido da scazzottatura. Roba da cronaca in dodicesima pagina dei quotidiani.
Da un simile fatto insignificante è nato invece uno scandalo di dimensioni nazionali in cui sono emerse tutte le peggiori qualità di questa nostra epoca ferocemente ideologizzata e dei loro protagonisti.
Lasciamo perdere i rissaioli che, per una città storicamente faziosa e facile all’incendio politico come Firenze, e per i normali bollori adolescenziali dei protagonisti, non rappresentano nulla di strano.
Appare invece stupefacente la lettera della preside Annalisa Savino e quantomeno singolare la seguente presa di posizione del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara.
Intanto non si comprende la necessità di una lettera gonfia di indignazione antifascista che denota almeno tre opinabili qualità della preside: una scarsa attenzione ai fatti, un evidente settarismo politico, una deprimente mancanza di cultura storica, quest’ultima particolarmente preoccupante in una donna che, presumibilmente, è stata anche un’insegnante.
Sulla scarsa attenzione ai fatti si è già detto prima: la signora ha immediatamente assunta come vera, indiscutibilmente vera, la versione che più soddisfaceva le sue aspettative politiche, cioè quella dell’aggressione fascista. L’idea di approfondire gli avvenimenti con un minimo di prudenza e senso critico evidentemente non si attagliava al suo bollente antifascismo. Con molta buona volontà potremmo pensare a una sua assoluzione per non aver compreso il fatto, ma nulla di più.
Quello che invece risulta imperdonabile è la partigianeria che traspare da ogni parola della sua lettera: la signora, come la stragrande maggioranza di una classe docente post-sessantottina cresciuta a pane nutella e sinistra, ha sposato in pieno quella dolciastra ideologia contemporanea (intesa marxianamente non tanto come visione politica ma piuttosto come forma mentis intellettuale consolante e omologante) per cui ci si sente sempre dalla parte giusta del mondo e della storia utilizzando pochi comodi e collaudatissimi strumenti, uno dei quali -oggi forse il principale- è appunto l’antifascismo, qualunque cosa il termine significhi.
E anche questo, per una donna di scuola, non è certo il massimo della proposta culturale, soprattutto se a quell’atteggiamento si unisce il pedagogismo moraleggiante che traspira da tutta la lettera.
La terza cosa biasimevole, come si diceva, è poi la particolarissima analisi storica (chiamiamola così) che la signora Savino propone all’universo studentesco, alle famiglie fiorentine e infine, per il tramite dei media, a tutti quanti noi: quella del fascismo “nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti”.
Non è dato sapere da quale film o fiction o collezione di figurine la signora abbia derivato questa sua ricostruzione storiografica. Abbiamo vagato per giorni fra le più svariate bibliografie, ma non abbiamo trovato nulla del genere. Forse agli storici è sfuggito il marciapiede, e magari pure il numero civico...
Anche qui, una preside che, preda della sua indignazione civile e della sua vena letteraria, propone simili interpretazioni di un fenomeno storico tragico e complesso come il fascismo, riducendolo a un fotogramma, non ci sembra proprio un grande esempio intellettuale per quella comunità scolastica che pretende di educare.
Bene ha fatto, dunque, Giuseppe Valditara a richiamarla. Non tanto perché la preside abbia debordato –forse- dalle sue competenze, ma per ben altri motivi: non si è trattato di una presa di posizione burocratica del ministro nei confronti di una sua dipendente, ma piuttosto della legittima replica di un uomo di cultura, qual è Valditara, accademico e storico del diritto, a una funzionaria dell’apparato educativo che ha espresso opinioni non richieste, assolutamente discutibili e, soprattutto, scientificamente risibili.
Dopodiché bisogna essere decisamente contrari all’ipotesi, avanzata dalla stampa nemica, ma negata dal ministro, di sanzioni contro la preside in questione, e questo per svariati motivi: intanto per opportunità, o anche solo per opportunismo, dal momento che in molti a sinistra aspettano con impazienza la nascita di una nuova martire dell’arroganza governativa; in secondo luogo perché noi siamo adepti fanatici e un po’ talebani della Religione della Libertà e riteniamo che qualunque espressione di un pensiero, anche il più scombinato come quello della nostra preside, vada assolutamente tutelata; in terzo luogo perché saranno la cultura, quella vera e strutturata, ma anche il buon senso della gente comune con un minimo di istruzione a punire con severità inappellabile quella lettera inconsistente e chi l’ha scritta, magari semplicemente con una risata.
Resta però un problema, che in altre occasioni abbiamo già sfiorato e che al momento appare irresolubile.
Quello di una scuola troppo fragile, in balia del settarismo ideologico e di una latente violenza politica che talvolta esplode in violenza reale, rischiando di precipitare quell’istituzione in scenari appartenenti al secolo scorso e che speravamo ormai dissolti; una scuola troppo permeabile a quel politicamente corretto che è l’esatta antitesi del pensiero critico e razionale che si dovrebbe offrire ai giovani; una scuola ridotta a una prateria dove pascolano e talvolta cacciano in modo cruento pedagogisti stralunati che parlano solo in inglese e costruiscono un metaverso fatto di digitalizzazione, controlli di qualità, aziendalismo, modulistiche assurde, fuffa politicamente corretta, follie inclusive, cretinismo efficientista, globalismo, ambientalismo oltranzista e molto altro.
Vera produzione di inutilità a mezzo stupidità, tanto per parafrasare uno dei più grandi economisti del novecento, che avrebbe guardato a tutto ciò con lo sguardo incredulo e forse atterrito del grande uomo di scienza e di cultura.
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Articolo pubblicato il 01/03/2023