Crescente tensione in Moldavia. Una nuova guerra è alle porte?
Forza Armata romena, potenza NATO nella regione

Chisinau sembra portare avanti il progetto di una Grande Romania. Mosca osteggia l'unificazione con Bucarest.

È di nuovo crisi in Moldavia. Da un po’ di giorni l’antica regione della Bessarabia sembra non trovare pace.

Questa volta a scatenare una nuova crisi in Moldavia è la questione della lingua. In questo piccolo Stato ai confini con l’Ucraina, le divisioni interne e le continue tensioni con Mosca fanno temere un coinvolgimento nel conflitto.

Il Parlamento moldavo ha approvato in prima lettura una legge che dichiara come idioma nazionale la lingua romena anziché quella moldava.

Questo semplice, ma significativo cambio di termine è bastato per scatenare il putiferio e far emergere conflitti interni mai sopiti.

L’iniziativa del cambio di lingua è fortemente osteggiata dal blocco social-comunista filorusso, il quale teme si tratti di una situazione analoga al Donbass in Ucraina, dove dopo la messa al bando della cultura e la lingua russa si è passati alle persecuzioni delle minoranze russone.

Altra enorme preoccupazione dei filorussi è l’ipotesi di annessione verso la Romania, importante Paese Nato nella regione.

L'iniziativa per cambiare nome alla lingua nazionale è sostenuta dal partito “Azione e Solidarietà” della presidente filoccidentale Maia Sandu, che recentemente ha accusato la Russia di pianificare un colpo di Stato nel Paese per riportare nell'orbita russa questa ex repubblica sovietica di 2,6 milioni di abitanti, la quale per un breve periodo nel XIX secolo, e poi dopo la Rivoluzione russa del 1917, è stata unita alla Romania. Le accuse di Chisinau sono state respinte da Mosca.

L’altro giorno, i deputati socialisti e comunisti hanno cercato di interrompere il dibattito parlamentare bloccando la tribuna centrale e gridando verso i rappresentanti dell’esecutivo: “viva la Moldavia”, “vergogna” e “dimissioni”.

Tempo fa, l’ex presidente filorusso Igor Dodon, sconfitto dalla Sandu nelle elezioni del 2020, ha detto chiaramente che: “Chiamare romena la lingua moldava è un altro tentativo della leadership del Paese di distogliere l'attenzione dei cittadini dai grandi problemi nazionali”.

Dal punto di vista legale la questione è complicata, perché la Costituzione definisce “moldava” la lingua del Paese, mentre nella dichiarazione di indipendenza è chiamata “romena”. Tutto questo complica la questione ulteriormente, poiché permette alle rispettive controparti di utilizzare a proprio vantaggio una fonte rispetto all’altra.

Tuttavia, nel 2013, la Corte costituzionale si pronunciò stabilendo che il testo della Dichiarazione d’indipendenza prevale sulla Carta costituzionale.

Ad aggravare le tensioni è la crisi economica che affligge il Paese oramai da anni. Con un'inflazione superiore al 30%, alimentata dal forte aumento dei prezzi del gas. Le infrastrutture moldave sono ancora quelle russo-sovietiche, ergo non esistono condotti in grado di far arrivare rifornimenti occidentali nel Paese. Dal settembre dello scorso anno Chisinau è stata teatro di proteste con la partecipazione di molte migliaia di persone che chiedevano le dimissioni del governo. Le proteste sono sostenute tra l'altro dal movimento “Shor” e dai comunisti, che chiedono al governo di negoziare con Mosca prezzi più favorevoli per il gas.

Nei giorni scorsi il Parlamento moldavo ha approvato una mozione che per la prima volta indica la Russia come Paese aggressore per il conflitto in Ucraina. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha reagito invitando la Moldavia a mettere fine alla sua “retorica antirussa e atlantista”, affermando che la Russia rimane impegnata a una cooperazione costruttiva e pragmatica per cercare di risolvere il problema della Transnistria, l'entità separatista sul territorio moldavo (rimasta Unione Sovietica dopo la dissoluzione della stessa), lungo il confine con l'Ucraina, dove sono di stanza 1.500 soldati russi. Mosca ha accusato l'Ucraina di volere inscenare un falso tentativo di invasione russo dalla Transnistria per invadere a sua volta questo territorio. Kiev chiaramente smentisce e rilancia al mittente. Così come a smentire è Oleg Serebrian. Il vice primo ministro moldavo, infatti, ha dichiarato come “assurdo” questo ipotetico scenario, sottolineando che tra Moldavia e Ucraina non vi è alcun accordo in questo senso.

Mesi scorsi avevamo assistito alla questione delle targhe serbe non riconosciute nella regione filo albanese del Kosovo. E ai problemi di un possibile allargamento del conflitto in Europa. Oggi vediamo come la questione linguistica o identitaria sia sempre più utilizzata come strumento per la propaganda, e di come i nazionalismi vengano utilizzati da più parti a seconda della convenienza e strategia geopolitica.

Diversamente dal nazionalismo ucraino, in questo caso, il nazionalismo moldavo è supportato dalla Russia, in opposizione ad una più ragionevole identità romena presente nella regione bessarabica. Tuttavia, l’identità romena supportata dal governo di Chisinau non è legata ad una comune storia verso l’antica Valacchia, ma ad un semplice calcolo opportunistico di un governo corrotto dalla Cia; il quale vorrebbe alimentare un ulteriore tensione nell’area est europea. Ad ogni modo, qualunque sia la lingua scelta dal futuro stato moldavo, lo scoppio di un nuovo conflitto per procura sembra essere imminente.

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Articolo pubblicato il 08/03/2023