Iscrizioni di Emanuele Tesauro nell’Aula Maior del Palazzo Civico di Torino

Di Luca Guglielmino (Quinta Parte)

Si passa poi a Cesare. Colonia Iulia 42 a.C. Peccato che nel De Bello Gallico Cesare, che ne sarebbe il fondatore, non la cita nemmeno ma cita Ocelum (Celle) e Ad Fines (Drubiaglio). Di certo esisteva un castrum. Va detto che il De Bello Gallico venne scritto tra il 58 e il 50 a.C. Nel 49 a.C., Cesare, con la lex Roscia fece in modo che tutte le città dell’Italia Settentrionale che godevano di diritto latino o inferiore, ottennero quello superiore o plenum ius, diventandone gli abitanti, cittadini romani.  Le coloniae divennero municipia o coloniae civium romanorum. Cesare si costituì così una base di fedelissimi che più tardi costituirono la X legio contro Pompeo.

Con la lex Iulia Municipalis del 45 a.C. tutte le coloniae si trasformarono in municipia. Ma Augusta Taurinorum doveva ancora essere fondata. Ammesso che nel 44 a.C. Cesare vi insediasse una colonia Iulia Taurinorum, questa probabilmente era di diritto romano e i coloni avevano cittadinanza romana: quindi erano veterani ex militari, mentre i Cozii erano federati. Augusto stesso la promuove a Colonia Augusta Taurinorum potenziandola e diviene municipium solo nell’80 d.C. Il fatto poi che le monete di Cesare avessero impresso il toro sul retro (es. il denario) non depone certo per il fatto che ciò era legato a Iulia Taurinorum e neppure vi era qui una zecca; durante le guerre civili, temporaneamente vi furono zecche mobili al seguito delle truppe ma salvo Roma e Lugdunum (Lyon), questa per un periodo limitato, non vi furono altre zecche fino al III secolo e nel basso impero divenne zecca Mediolanum.

Viene poi Augusto. Potenzia la colonia e la ribattezza inviandovi 3.000 veterani. Il libro 31 di Dione Cassio non parla dei Taurini e il libro 54-24 parla di una riduzione in schiavitù di Galli chiomati Liguri. Plinio HN III,17 afferma invece che ai piedi delle Alpi sorge Augusta Taurinorum che designa come colonia. Plinio visse dal 23 al 79 d.c. Vercelli divenne municipium nel 42 a.C. e ciò spiegherebbe in origine la sua maggiore importanza rispetto a Torino, insediamento di confine. Essa divenne luogo di transito tra Piacenza e le Alpi, nodo commerciale, luogo di sosta delle legioni e come Diocesi ecclesiastica, per lungo tempo sarà più importante di Torino. Pare che dopo la disfatta di Teutoburgo nel 9 d.C. anche Torino diminuisse notevolmente d’importanza rimanendo con poche migliaia di abitanti.

Il nominare l’Apostolo Barnaba ha un fine particolare. I cataloghi bizantini del VII e VIII secolo parlano anche di S. Barnaba che completa a Cipro, gli Atti degli Apostoli tra il 50 e il 53 d.C., che si reca a Roma con S. Pietro e poi, il 13 marzo 53 d.C. fonda la Diocesi di Milano. Riguardo a Torino, lo stesso Tesauro riconosce la cosa campata in aria perché da nessuna parte sta scritto che costui venne a Torino. Introducendo però la lotta contro le eresie del suo tempo, coglie l’occasione per dimostrare che Barnaba lottò contro le riforme ecclesiastiche del suo tempo così come il Savoia, lotterà contro la Riforma, nel solco di una tradizione inesistente. E l’invocazione finale chiede che l’Italia resti cattolica, posizione sostenuta dai Savoia.

La quinta rappresentazione ci fa vedere S. Giuliana, matrona cristiana, che seppellisce le spoglie dei SS. Martiri: Ottavio, Solutore e Avventore, appartenenti alla legione tebea, comandata da S. Maurizio. Nella passio di tali Santi, documento spesso agiografico e poco storico, si legge che Giuliana era di Ivrea e che trova il corpo di Solutore vicino alla Dora Riparia e lo fa portare in città per unirlo a quelli di Avventore e Ottavio. Dei Santi Martiri ci parla per primo S. Massimo, primo vescovo noto di Torino nel Sermone XII. Pare che Giuliana facesse edificare una piccola cappella per raccogliere le spoglie dei tre. In Pingone incontriamo un episodio residuale di quella che era la sacralità medievale riguardante le mura e il loro spazio esterno. È noto che Costantinopoli venne salvata dai Saraceni grazie alla Theotokos o Madre di Dio protettrice della città o che Chartres nel 911 venne salvata dalla reliquia della veste di Maria ed è pure noto che il carroccio portava reliquie e vessilli di Santi in battaglia.

Pingone pp.78-79 Augusta Taurinorum (1577 c/o Bevilacqua), parla di un fatto del 1537 in cui gli Imperiali e gli Spagnoli che assediavano Torino occupata dai Francesi, nottetempo, tentarono di penetrare in città attraverso il bastione di S. Giorgio ma vennero respinti dai tre Santi, Solutore, Avventore e Ottavio, che, prese sembianze umane di soldati, misero in fuga i nemici.

Se nel medioevo venivano in genere portate in processione reliquie o icone, qui sono i Santi reincarnati che difendono le mura, Santi cui i torinesi erano devoti. Mentre nei casi citati c’è un rapporto unicamente trascendente e quindi verticale, qui c’è un rapporto concreto, orizzontale e immanente. Ma il senso pingoniano dell’episodio agiografico va d’accordo con il pensiero di Corte poiché l’apporto autonomo e indipendente di ordine militare, tutto torinese, si distacca e si svincola da Francia e Spagna, dalle varie alleanze e inneggia a una libertà locale non disunita da un intervento superiore alle realtà terrene: quello dei Santi che sono martiri come in quel momento lo erano Torino e il suo sovrano.

L’occasione è anche per ricordare, da parte del Tesauro, che dopo la prima cappella poi allargata a una chiesa voluta dal vescovo Vittore (S. Stefano), cui il vescovo Gezone unì un convento benedettino (XI sec.). Tutto il complesso venne distrutto dai Francesi nel 1536 e le reliquie ripararono nella Consolata per ritornare nella nuova chiesa dei SS. Martiri. E qui viene ricordata la venuta dei Gesuiti, cardine della Controriforma, voluti da Emanuele Filiberto oltre che dalla Compagnia venerabile della fede cattolica poi di S. Paolo. Sempre in linea con il concetto di alleanza tra trono e altare.

Viene poi citato il Concilio di Torino del 397 (in realtà del 22 settembre 398) inerente all’eresia priscilliana. Secondo il Cognasso, Storia di Torino pp.43-44 si parlò di questioni giurisdizionali delle province di Vienne e di Narbona, delle controversie riguardanti Arles e delle pretese del vescovo di Marsiglia, della situazione del vescovo di Treviri ecc. e quindi non dell’eresia priscilliana. Il concilio di Torino fu presieduto da S. Simpliciano, successore di Ambrogio a Milano e in realtà fu una riunione dei vescovi della provincia ecclesiastica di Milano; papa Siricio invitò alla prudenza riguardo a Priscilliano e anzi si pone come mediatore tra le parti, tra il pro e il contro, ma, malgrado ciò, Priscilliano venne ucciso a Treviri e Siricio scomunicò Felice il vescovo locale, complice e mandante dell’assassinio.

Luca Guglielmino

Fine della quinta parte - Continua

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 15/03/2023