Iscrizioni di Emanuele Tesauro nell’Aula Maior del Palazzo Civico di Torino

Di Luca Guglielmino (Sesta Parte)

Nel settimo riquadro, Alarico rifonda Torino e diviene ceppo originario dei re d’Italia. Alarico a Torino è ritratto in Sala Rossa dal Bolgiè nel sovrapporta a destra del seggio del sindaco. Mai Alarico fu a Torino e fu vinto a Pollenzo (402) da Stilicone che era suocero dell’imperatore Onorio (398) avendo costui sposato Maria, figlia del generale Stilicone. Dopo Pollenzo, la capitale, da Milano, venne spostata a Ravenna, ritenuta più sicura. Radagaiso aveva assediato Torino ma non riuscì a prenderla e venne battuto e ucciso da Stilicone nel 406, a Fiesole.

In vista di una probabile riunione dell’Impero, Stilicone si alleò con Alarico che pure era magister militum dell’Illirico su nomina di Arcadio, per invadere la parte orientale dell’Impero. Il piano non riuscì per molti fattori che si intromisero nella sua ideazione. Stilicone venne fatto uccidere da Onorio, sobillato da alcuni cortigiani. Pochi mesi dopo Alarico era a Roma. Stilicone non fu affatto un traditore e semmai cercò da riunire e rafforzare l’impero in mano a due inetti. Si sa che impropriamente Odoacre, re degli Eruli, venne chiamato re d’Italia dal vescovo africano Vittore di Vita e che l’imperatore bizantino gli conferì il titolo di rex ma in modo generico e non d’Italia.

Il fatto di richiamare una rifondazione di Torino in tempi remoti e da parte di un re richiama l’opera dei Savoia come duchi, nell’installarsi stabilmente in città e in Piemonte, soprattutto dopo l’occupazione francese e l’arrivo di Emanuele Filiberto.

Fu Ataulfo, successore di Alarico, che nel 412 passò per Torino e poi attraverso il Monginevro, per dirigersi al Rodano, ma non rifondò nulla.

Nell’ottavo quadro Tesauro parla di S. Massimo deceduto nel 420 e lo confonde con Massimo II che nel 451 partecipò al Concilio di Calcedonia (cfr. Storia di Torino di Teofilo Rossi e Ferdinando Gabotto, Torino 1914 tip. Baravalle e Falconieri).

Di certo Calcedonia avvenne sotto papa Leone I – papa dal 440 al 461 - e il Baronio, Annales ecclesiastici, libro VIII anno 451 p.65 par.15 fa una discreta confusione. Il concilio araunicano risale al 441 sotto il medesimo papa, ma non parla di Eutiche, quello di Milano avvenne nel 451 e condannò il monofisismo e quello di Roma è possibile si sia tenuto nel 382, nel 465 (papa Ilario) o nel 680. Eutiche venne condannato come monofisita a Calcedonia nel 451 poiché ammetteva solo la natura divina di Cristo.

Il Tesauro poi si cimenta nella descrizione della regina Teodolinda e di Agilulfo nelle rappresentazioni nona e decima. La legge longobarda permetteva che la vedova (Teodolinda era vedova di Autari) scegliesse il secondo marito, ma questa scelta fu pilotata dai “saggi” nobili longobardi e venne scelto Agilulfo. Il passo di Paolo Diacono citato dal Tesauro ne parla diffusamente. Inoltre, Teodolinda e Agilulfo erano cattolici ed ex ariani e allargarono il cattolicesimo tra i Longobardi. San Giovanni Battista era il patrono del regno longobardo e Teodolinda fece costruire diverse chiese dedicate al Battista come l’omonima basilica di Monza dapprima cappella reale.

Torino venne probabilmente dedicata dai Longobardi e forse proprio da Teodolinda, a S. Giovanni Battista perché ne divenisse il protettore. Il Duomo è opera successiva. Sotto di esso si trovano tre chiese antiche: S. Salvatore, S. Maria in Dompno e S. Giovanni Battista, quest’ultima la più importante e consacrata a san Giovanni, da Agilulfo e Teodolinda.

La propaganda indica qui un’unione sacra tra popolo, cittadini e contadini, trono e altare. Il patrono è un protettore celeste mentre il sovrano è un protettore terreno e le due protezioni, di origine divina quella terrena (Lettera ai Romani 13), sono alleate tra loro e in Piemonte, tale alleanza, almeno a partire dall’arcivescovo Broglia, fu sempre parecchio allergica alla curia romana e ai nunzi apostolici.

Vi è la posa della prima pietra della chiesa del Battista e il sovrano presenta un modello del costruendo tempio. Immagine non nuova perché il vescovo Eufrasio effigiato nei mosaici della basilica Eufrasiana di Parenzo, presenta appunto un modello della chiesa, così in S. Vitale il vescovo Ecclesio o S. Maria Antiqua in Roma ove effigiato è papa Zaccaria ecc. In genere costoro erano committenti.

La Corona Ferrea venne posta da Teodolinda nel duomo di Monza e per primo la cinse Agilulfo e dopo di lui sono sicuri almeno cinque imperatori e re d’Italia: Ottone III, Corrado II il Salico, Corrado di Lorena, duca di Lotaringia, re dei Romani e re d’Italia, Corrado III di Svevia (Hohenstaufen), duca di Franconia e anti-re dei Romani e anti-re d’Italia poi sottomessosi a Lotario II divenne solo re dei Romani, Federico Barbarossa. Probabilmente con ciò s’intendeva sottolineare un legame imperiale da parte dei Savoia, oltre ad essere in corsa come re d’Italia. Poi fu incoronato Carlo IV di Lussemburgo, Sigismondo di Lussemburgo che vedremo legato a Torino e Carlo V.

 

Raffigurazioni degli otto imperatori della parte inferiore dell’Aula Maior

Tiberio, successore di Augusto che conia il nomisma con l’effigie della colonia taurinense. Nomisma è una moneta d’oro bizantina dell’epoca di Giustiniano che fa seguito al solidus aureo di Costantino. Nell’Etica Nicomachea 1133 b-1, Aristotele ci dice che nomisma è la moneta, nata per convenzione e per legge e non secondo natura, se ne può cambiare il corso o ripudiarla o cambiarla con un’altra. Qui probabilmente si tratta semplicemente di denari ed è un’affermazione generica e inventata che necessiterebbe di un’impossibile conferma archeologica. Le zecche poi erano a Roma, Lugdunum (Lyon) e infine ad Aquileia.

Nerone. Cozio non lasciò eredi e il suo regno venne semplicemente incorporato nell’impero da Nerone per via dei vigenti trattati. Questa fu l’unica cosa positiva a favore di Augusta Taurinorum. Tesauro, quindi, sposa la versione tacitiana degli eventi, per cui Nerone diventa un essere satanico. Certamente indusse al suicidio Petronio e Seneca, suoi fidi consiglieri e ciò soprattutto avvenne per l’invidia di Tigellino. Tacito visse dopo Nerone e quindi patrocina gli interessi della dinastia Flavia in opposizione a quelli della dinastia Claudia, godendo dell’appoggio di Vespasiano e Tito. Anche l’incendio di Roma ha una sua spiegazione. Gli incendi a Roma erano un fatto frequente fin dai tempi repubblicani e il fatto viene citato pure da Theodor Mommsen. Ufficialmente il corpo dei vigiles venne introdotto da Augusto nel 6 d.C. come Militia Vigilum, sulla precedente struttura dipendente dagli edili curuli e comprendente 600 schiavi. In breve, divennero 7.000 distribuiti nelle 14 regioni in cui fu divisa Roma. Costoro erano anche un corpo di polizia contro furti e vandalismi.

La frequenza degli incendi era dovuta all’angustia delle viuzze, alle case costruite principalmente in legno, dall’altezza estesa delle medesime, fino a cinque o sei piani e dall’incuria nell’accendere fuochi e fiamme libere e dall’ammassarsi nei vari alloggi, propria dei quartieri popolari.

Pare quindi che Nerone non abbia fatto appiccare l’incendio, ma che questo sia scoppiato senza venir domato, espandendosi indiscriminatamente.

Molte abitazioni di Cristiani vennero coinvolte e Nerone, pazzo o/e criminale che fosse, prese la cetra e si mise a suonare e a cantare una Troiae halosis o presa di Troia da lui composta di cui troviamo una parodia in Petronio (Satyricon 89). Non diramò ordini per spegnere l’incendio. L’occasione lo rese criminale né più ne meno che Domiziano o Commodo.

Luca Guglielmino

Fine della sesta parte - Continua

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Articolo pubblicato il 16/03/2023