Iscrizioni di Emanuele Tesauro nell’Aula Maior del Palazzo Civico di Torino

Di Luca Guglielmino (Settima e Ultima Parte)

Costantino imperatore. Il Tesauro si riferisce probabilmente all’editto di Milano e ci dice che il tempio di Iside divenne S. Solutore, quello demolito dai francesi nel 1536 in prossimità del mastio della futura Cittadella mentre i recinti sacri di Diana divennero S. Silvestro poi Santo Spirito. È la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, al di là del fatto che mancano riscontri archeologici. Nel 2011, all’interno del mastio della Cittadella, a seguito di scavi mirati, è stata rinvenuta una necropoli con un muro perimetrale databile attorno al mille, proprio della fabbrica del convento benedettino accluso a S. Solutore ed è certo che la cripta del S. Spirito sia parte della chiesa di S. Silvestro.

Riguardo all’editto di Milano del 313 si nutrono molti dubbi in merito perché preceduto nei contenuti da quello di Serdica o di Galerio (editto di tolleranza) del 311 e poi le uniche fonti che lo riguardano, sono Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, autore latino cristiano ed Eusebio di Cesarea, autore cristiano orientale. Licinio e Costantino erano rispettivamente gli Augusti di oriente e occidente (tetrarchia dioclezianea) e Licinio da Nicomedia, capitale della parte orientale dell’impero, pubblica un rescritto a conferma dell’editto di Galerio che era comunque un editto sincretistico, volto a tollerare tutte le religioni dell’impero, onde avere uno Stato forte nella propria autorità.

Pure a Milano, in virtù degli accordi presi tra Licinio e Costantino, si può parlare di rescritto. Mentre l’editto è legge o ordinanza imperiale, il rescritto è un parere imperiale su questioni di diritto poste alla massima autorità.

Fu Teodosio nel 380 con l’editto di Tessalonica, a proclamare il Cristianesimo come religione di Stato. Gli editti e i rescritti precedenti conferivano solo libertà di culto. Ma qui si pone in risalto il rapporto Costantino il Grande e Casa Savoia protettori entrambi dei Cristiani cattolici e quindi della Controriforma, soprattutto in un periodo dove ugonotti prima e valdesi poi, avevano imperversato nel Marchesato di Saluzzo, negli Escartons delfinali e nelle valli Chisone e Pellice.

Il quarto imperatore è Ottone I. Proviene dalla Casa di Sassonia da cui, tramite Beroldo, i Savoia si vantano miticamente di discendere. Fonda il sacro Romano Impero ed estende il suo potere sull’Italia. Da parte francese, alcuni autori avanzano un’interessante ipotesi. Infatti Jean-Pierre Poly (a cura di) in “Les féodalités, 1998 AA.VV diretto da Eric Bourzanel e J-P Poly, ripreso e commentato in Paysans des Alpes di Nicolas Carrier cap.II - in Presses Universitaires de Rennes, afferma che un certo Aimone, ricordato anche nel Chronicon Novaliciense, era capo dei “marrones” della Vanoise, qualcosa tra briganti e guide, alleato ai Saraceni o fusci e cioè scuri di pelle che cambiò campo alleandosi con le forze di Guglielmo il Liberatore e che divenne alleato con i signori di Vion (nel Vivarais ora dip. dell’Ardèche), capostipiti dei Delfini e alla lontana, con lo stesso Ottone I. Furono i marrons che nel 931 assassinarono l’arcivescovo di Tours al Moncenisio, una sorta di “mafia” alpina che rapinava e uccideva e che dimostra una volta di più come Novalesa sia stata vittima di delinquenza comune e non di musulmani, che pure c’erano ma in minoranza. I marrones o marrons provenivano però da territori savoiardi contigui. Se Aimone permise, con il suo spionaggio, di creare basi solide per la formazione dei territori dei conti d’Albon da un lato, permise pure un rafforzamento e una relativa tranquillità del vescovo di Grenoble (al tempo era nipote di Guigues il Vecchio che era marito di Adelaide, figlia di Umberto Biancamano) e infine della stessa Savoia. E di Aimone in Casa Savoia, ve ne furono molti. Questi marrons controllavano quindi i passi alpini, attività sempre esercitata dai Savoia. Questo Aimone, al di là di tutte le agiografie e le indorature possibili, potrebbe essere all’origine di Casa Savoia? Se così fosse, Amedeo VIII fece scrupolosamente cancellare ogni traccia storica. Il Tesauro poi cita assemblee cittadine che potrebbero essere gilde o corporazioni già presenti intorno al 900. (cfr. Cibrario, op. cit. vol. I. pp.143-144).

Quinta raffigurazione: Ottone III. Donò alla mitra vescovile alcune terre in Val di Susa. E non solo al vescovo. Intanto con diploma del 981 la Chiesa torinese acquisisce le proprietà di Chieri, Testona, Celle, Canova, Pinerolo, rivoli, Carignano, Piobesi ecc. Successivamente tali proprietà sono confermate al vescovo Amizone (996) e sono aziende agricole curtensi e quindi ad economia chiusa e immuni fiscalmente e giurisdizionale. Vi passava poi un ramo della via Francigena per Asti e Genova e ciò voleva dire incassare i pedaggi e controllare il transito dei pellegrini nonché allestire mercati. Tesauro fa un po’ di confusione, perché è con il diploma del 31 luglio 1001 che Ottone III conferma Olderico Manfredi nel terzo a lui spettante per eredità circa i beni della Val Susa. Sappiamo poi dal Cartario di Breme a cura del Bollea (Torino 1933), che Ottone III riconfermò come priorato S. Andrea di Torino (992 e 998) e il rinato monastero di S. Pietro della Novalesa, anche se il borgo di Novalesa e la Val Cenischia furono in mano arduinica.

Enrico V. Certo il riferimento qui è alla carta del 1111 che riconosceva i torinesi come collettività civica. Veniva concesso un privilegio sulla strada da Susa a Roma e cioè la riscossione e l’incasso dei dazi su merci e pellegrini in transito. Ciò per assicurarsi la fedeltà dei torinesi e renderli indipendenti dal potere aristocratico e vescovile. Quest’ultimo durò almeno fino al 1280.

Ai cittadini venne assicurata un’autonomia limitata a certi ambiti malgrado che imperasse il potere vescovile e nel 1116 tale privilegio venne riconfermato. Ecco perché il Tesauro parla di presidio di fedeltà verso l’imperatore.

A seguito dell’espulsione di Amedeo III di Savoia che occupò per alcuni anni Torino, l’imperatore Lotario II riconfermò nel 1136 tali privilegi che venivano rinnovati ad ogni lustro.

Come settima figura viene il Barbarossa che non solo non fece danno a Torino, ma concesse, con il diploma di Occimiano del 26 gennaio 1159, completa giurisdizione vescovile (il vescovo era Carlo) su Torino e all’intorno per un territorio di dieci miglia che comprendeva soprattutto la zona collinare. Era un piccolo principato vescovile. I diritti venivano estesi a 70 curtes e castelli. Pedaggi, dazi, diritti mercantili e amministrazione della giustizia erano in mano vescovile. Il tutto ebbe breve durata. Il comune di Torino si potenziò e comparvero Chieri e Testona, nonché prese forza la pressione esterna del Savoia. Inoltre, Milone, subentrato nel 1169 a Carlo, cambiò totalmente politica poiché era di origini milanesi e fautore della Lega Lombarda. Collaborò al potenziamento del comune di Torino, ricomparvero i consoli e un’assemblea di cittadini eminenti, tanto che nel secolo successivo il comune strappò dalle mani del vescovo l’amministrazione cittadina.

Ultima figura è Sigismondo di Lussemburgo, fondatore dell’Università con diploma del 1412. Tuttavia, nel 1404 Benedetto XIII, papa avignonese, emanò in merito una bolla, seguita nel 1413 da una bolla di Giovanni XXIII, un antipapa e infine una bolla di Martino V nel 1419 e di diversi privilegi pontifici.

L’iniziativa era partita da Ludovico di Savoia-Acaia che raccolse insegnanti provenienti da Piacenza e Pavia. Ma Sigismondo fa ancora di più, nel 1416 concede il titolo di duca di Savoia ad Amedeo VIII e stupisce che il Tesauro non lo menzioni. Probabilmente interessava esaltare Torino come centro di studi e quindi far prevalere l’interesse cittadino su quello statale in un modo molto attutito e ovattato. La prima sede dello studium fu nell’odierna via S. Francesco d’Assisi (ex via Genova) di fronte a S. Rocco. Prima materia insegnata fu il diritto cui seguì la teologia e i finanziamenti dello studium gravavano sul bilancio comunale.

Conclusioni

L’Aula Maior si poneva quindi in continuità ideologica con le altre due sale, non esistendo ancora la Sala Rossa e il Tesauro fece un discreto lavoro onde illustrare i contenuti di codesta sala e anche dell’Aula Minor o Sala delle Congregazioni. I Savoia con i loro miti fondanti sia religiosi che storici che civili. Oggi molti di questi ci paiono ingenui e privi di fondamento, ma il problema era quello di compiacere il principe, i suoi gusti e i suoi scopi politici.

Qua e là nella Sala del Miracolo (ufficio del Sindaco) e nell’Aula Maior vi sono fatti storici concreti, ma l’unica sala a presentare eventi biblici di un certo spessore è l’Aula Minor, eventi biblici che sono anche storici se seguiamo ad esempio il libro di Werner Keller La Bibbia aveva ragione (Garzanti 1956), in cui sono presentati molti ritrovamenti archeologici a supporto di diversi episodi biblici.

Ma mentre qui sono continui, compaiono a tratti come fatti storici, nelle altre sale che contengono soprattutto miti, leggende e tradizioni a sostegno del potere che tende ad unire popolo, trono e altare in un unico blocco granitico. In definitiva le sale fanno parte della normale propaganda di corte verso il comune e verso la cittadinanza.

Luca Guglielmino - Fine

 

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Articolo pubblicato il 17/03/2023