Aula Minor o Sala delle Congregazioni o Sala verde del Palazzo Civico di Torino

Di Luca Guglielmino (Terza e Ultima Parte)

Caifa. Nel cartiglio leggiamo che: “A causa delle menzogne sopravviene la rovina” – Proverbi 12,13. “Nella menzogna sta un’insidia funesta, ma il giusto sfuggirà a tale pericolo”.  I Vangeli ci raccontano chi era Caifa, il giudice ebreo che giudicò Gesù nel processo religioso svoltosi nottetempo e al mattino presso il domicilio di tale sacerdote.

Tesauro spiega poi nel commento come Gerusalemme piange l’iniqua decisione di Caifa. Mt 27,25: “Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli!” la famosa automaledizione di tutto il popolo ebraico che sotto l’imperatore Tito portò alla distruzione di Gerusalemme e alla diaspora.

In realtà la giusta interpretazione sta in S. Giovanni Crisostomo ripreso da S. Tommaso d’Aquino: “Osserva anche qui la grande folla dei Giudei: infatti il loro impeto e la loro perniciosa concupiscenza non permette ad essi di vedere ciò che è necessario, e maledicono se stessi dicendo: Il suo sangue sopra di noi; anzi, spingono la maledizione fino ai figli dicendo: sopra i nostri figli. Tuttavia, Dio misericordioso non confermò la loro sentenza, ma da essi e dai loro figli prese coloro che fecero penitenza: infatti anche Paolo fu uno di loro, come le molte migliaia che credettero in Gerusalemme”.

Inoltre, l’automaledizione non combinerebbe con la frase di Gesù: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno!” (Lc 23,33-34).

I vari episodi della sala sono intervallati da putti e telamoni e al centro dei due episodi biblici di destra e di sinistra, si trovano due medaglioni con due busti di stile romano che ipoteticamente potrebbero essere i volti dei due sindaci dell’epoca oppure semplicemente creature fantastiche del Casella onde ornare il centro di fascia.

Lo schema del soffitto è praticamente il medesimo dell’Aula Maior.

Qui verità e prudenza si trovano a est o a sinistra entrando dalla Sala Marmi o verso il lato finestre mentre concordia e segreto sono ad ovest, verso il muro, a destra entrando dalla Sala Marmi.

Le quattro virtù, come già accennato, sono del pittore comasco Giovanni Paolo Recchi. Il trionfo della fede o la fede e le virtù sconfiggono l’eresia, di ignoto è la tavola dipinta al centro che sostituisce l’Ego sapientia habito in consilio (Casella), trasferito successivamente al soffitto della Sala Rossa (1758-1760).

Segreto. Come si è visto nel suggerire il profilo di alcuni monarchi saggi e di diversi funzionari al loro servizio, Tesauro insiste molto sul segreto. Qui torna come virtù con un cartiglio suggerito sempre dal Nostro: “Non rivelare un segreto a un estraneo” Proverbi 25. La citazione completa del testo biblico (25,9) è “Perora la tua causa con un amico ma non svelare un segreto a un estraneo”. Evidente è il messaggio dipinto: una donna seduta che mette il dito indice ritto davanti alle labbra per chiede silenzio onde mantenere il segreto.

Concordia. Qui invece è un inno all’armonia rappresentato da una donna coronata di alloro, che regge caduceo e assieme a un putto tiene un violoncello (Tesauro nelle Inscriptiones parla di lira) che si appresta a suonare.

La citazione del cartiglio è tratta dai Proverbi, 12: “Coloro che adottano risoluzioni di pace sono accompagnati dalla gioia”. Quella completa 12,20 suona così: “La falsità si trova nel cuore di coloro che pensano cose malvagie; invece, la gioia accompagna coloro che adottano soluzioni di pace”.

Un desiderio di pace dopo guerre e lotte interne che il regno di Carlo Emanuele, salvo che per la repressione antiprotestante, parve rappresentare, ove Torino si arricchì di importanti ampliamenti e costruzioni sacre e profane.

Verità. Una donna a petto nudo che regge il sole. Per ragioni di spazio probabilmente. Del resto, se ci si rifà all’Iconologia di Cesare Ripa (1593), vediamo come questo fosse il gusto del tempo, ossia ricercare le simbologie per ogni vizio o virtù, un libro in divenire, ricco di illustrazioni, edito ancora nel XIX secolo. Qui la citazione è dal Salmo 40 (39) 11 “Non ho nascosto la tua grazia e la tua verità alla grande assemblea”. E l’intero passo suona così: “Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al mio cuore, la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato. Non ho nascosto la tua grazia e la tua verità alla grande assemblea”. Verità qui significa pure fedeltà, lealtà.

Prudenza (o saggezza). Pure qui compaiono i Proverbi 2,11 “L’assennatezza ti custodirà e la prudenza ti preserverà”. Figura femminile con scettro e libro aperto. Per un ottimo discernimento si deve possedere il dono della Sapienza divina onde decidere con sano realismo.

La fede e le virtù sconfiggono l'eresia

Secondo la Prof. Andreina Griseri, storica dell’arte, è un’opera di scuola piemontese e quindi non firmata, di ignoto autore che forse ebbe rapporti con il romano Gregorio Guglielmi che lavorò a Torino a cominciare dal 1765, a palazzo Reale, Palazzo Chiablese e ai SS. Martiri, della metà del XVIII secolo, epoca di Carlo Emanuele III, momento in cui venne edificata la Sala Rossa.

Il dipinto ha una struttura piramidale, una sorta di scala con cui si sale verso il Cielo. Un’immagine che richiama un concetto caro sia alla letteratura religiosa bizantina che a quella araba. Il monaco S. Giovanni Climaco scrisse la Scala del Paradiso (Klimax ton Paradeison) ove i trenta capitoli del libro sono consacrati a diverse virtù, una per capitolo; sono i trenta gradini che conducono alla perfezione. I musulmani posseggono un testo che si fa risalire a Maometto, dal titolo Kitab-al-mi’raj o Libro della scala con i famosi sette cieli di probabile derivazione platonica. Dante, a quanto pare ne lesse la traduzione di Bonaventura da Siena dal castigliano o dal francese antico e si ispirò, almeno nella topografia, per la Divina Commedia ove anche qui, discende agli inferi ma sale in Paradiso e il canto XXI ricorda lo scaleo o scala dei contemplativi, luminosa e dorata che sale verso Dio.

L’eresia è rappresentata dai demoni come esseri dediti alla rovina della Chiesa. Hanno sguardi violenti, vividi, arrabbiati e sono diabolici e indegni di guardare a Dio. Vivono di vergogna e rimpianto per non essersi mai convertiti e non possono più ascendere al Cielo. Cercano di coinvolgere nel male putti e virtù ma non ci riescono. Con un occhio non vogliono vedere il bene e con l’altro vi sono indegnamente costretti perché vedano cosa hanno perso, condannati così all’eterno rimorso. Anche qui c’è un gioco di triangoli con punti che afferiscono ai volti: uno equilatero e gli altri isosceli tra le virtù e tra il liocorno e le virtù e uno scaleno invertito, a dilatazione dello spazio tra i demoni e le virtù, onde meglio presentarle come vincitrici su demoni respinti in basso e costretti a uno spazio limitato e angusto. In un certo senso, la vittoria della Controriforma sulla Riforma come al tempo veniva interpretata l’eresia.

All’estremo opposto, all’apice della composizione, una pisside e un’ostia raggiata fonte di luce che è Dio e subito sotto la Fede che la regge, figura velata che guarda con un occhio solo e frontalmente. È un segno di rispetto verso Dio che è Luce divina.

Non può alzare lo sguardo verso Dio pur essendo la massima virtù. Il velo significa quindi separazione e divisione da un mondo superiore e se copre un occhio significa pure sottrazione allo sguardo altrui e segnatamente del male. L’orrore dell’eresia che si presenta agli occhi della Fede, conduce alla volontà di non vedere ma insieme al non poter fare a meno di vedere, almeno con un occhio. Il velo è pure simbolo di pudicizia come ci ricorda il Petrarca nella Ballata XI del Rerum Vulgarium Fragmenta Il CanzoniereLassare il velo

Secondo Cesare Ripa (1555-1622) la fede deve essere vestita di bianco perché simile alla luce e il calice (o la pisside) che tiene in mano, talvolta con un Crocefisso, è simbolo di redenzione e di risurrezione nonché di reintegrazione delle forze dell’anima attraverso la transustanziazione in cui il Figlio Salvatore, si dona agli uomini nella S. Messa.

A destra abbiamo poi la Giustizia con spada e bilancia che è rivolta verso la Fede e guarda anch’essa parzialmente, ma, come le altre virtù della Temperanza e della Prudenza, è colta di profilo, guarda la Fede e in ogni caso non rivolge lo sguardo alla Luce di Dio. Qui la giustizia è vestita di rosso ma talvolta era vestita d’oro. 

A sinistra in basso vi è la Temperanza vestita di porpora che nella destra tiene in mano una palma e nella sinistra un freno, ossia un morso attaccato alle redini dei cavalli.

La palma è simbolo del premio di chi ha dominato le passioni con rinunce e sacrifici e non a caso è anche il simbolo del martirio di chi ha rinunciato ad abiurare la Fede per la gloria, gli onori e il soddisfacimento delle passioni terrene onde testimoniare la Fede. Il freno è posto a moderare gli appetiti.

La Temperanza rivolge lo sguardo alla Giustizia. Al di sopra della Temperanza abbiamo la Prudenza con serpe avvolta ad un braccio e specchio per conoscere sé medesima e regolare così le proprie azioni e i propri difetti a lei altrimenti non noti. È vestita di verde ad indicare castità e in testa calza un piccolo elmo. Il suo sguardo è rivolto in basso verso lo specchio. In realtà qui gli occhi dovrebbero vedersi entrambi: direttamente il sinistro e indirettamente il destro nello specchio. La Prudenza, intesa come virtù che dispone l’intelletto all’analisi accorta e circostanziata per discernere in ogni situazione il bene e i mezzi adeguati a compierlo è raffigurata, tra l’altro, con lo specchio anche per guardarsi le spalle e con il serpente che è simbolo di prudenza per natura (Mt X,16).

In basso vi è il liocorno, animale mitologico simbolo di purezza. Per gli alchimisti il liocorno era simbolo della luce pura sprigionata dalla combustione del mercurio. È anche la raffigurazione di Cristo poiché nell’immaginario medievale si credeva che potesse essere catturato solo se si addormentava in grembo a una vergine; è per questo che Gesù è talvolta raffigurato come liocorno dormiente (trittico di Tonndorf in Turingia) sul grembo della Vergine Maria ove viene catturato e ucciso. Qui è certamente simbolo di purezza.

Nella Real chiesa di S. Lorenzo ritroviamo, sui pennacchi sotto la cupola del presbiterio, la rappresentazione di tali virtù cardinali: Prudenza (specchio e caduceo), Giustizia (bilancia e spada), Fortezza (scettro e corazza) e Temperanza (palma e colta nell’atto di versare acqua da una brocca a un’altra). La Fortezza è qui messa al posto della Fede.

Luca Guglielmino

Fine della terza e ultima parte

La Bibliografia può essere richiesta all’Autore.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 23/04/2023