L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: "Si può partire con la riforma costituzionale?"

Ipotesi e interrogativi su una discussione che riguarda tutti

In attesa che Giorgia Meloni termini i suoi viaggi di accreditamento internazionale a vocazione filoatlantica e filoucraina e riprenda in mano una qualche politica di revisione costituzionale, come necessario e come  da programma elettorale, proviamo a fare qualche ragionamento su questo tema delicatissimo.

Che l’Italia necessiti di una revisione della sua Costituzione nata nel 1948 appare ormai evidente a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della nazione. Si tratta di una costituzione vecchia, o almeno invecchiata in molte sue componenti, sopratutto nella seconda parte, quella dedicata all’ordinamento dello stato e delle sue massime istituzioni e caratterizzata da un sistema improntato a un parlamentarismo molto accentuato.

Ora, un sistema come il nostro in cui il parlamento assume una posizione forte e centrale in teoria dovrebbe garantire un alto livello di democrazia, come auspicato dal primo articolo della Costituzione. Purtroppo così non è stato perché nel corso degli anni quel parlamento, grazie anche alla frammentazione del quadro politico e a leggi elettorali proporzionalistiche, è diventato il luogo del compromesso, dell’ambiguità, della politica politicante, del trasformismo e, infine, di un perenne indecisionismo legislativo caratterizzato da troppe leggi, troppo complesse, troppo tecniche e quindi di difficile applicazione. Un cattivo esempio di brutta tecnica legislativa e di inefficienza normativa, ma anche e sopratutto di progressivo allontanamento da una democrazia “dal basso” vera e compiuta.

In sostanza, la politica nazionale viene attuata da una serie di organi istituzionali di cui solo uno è elettivo, ma, per le ragioni sopra indicate, dotato di scarsa rappresentatività democratica, una caratteristica accentuata recentemente dalla riduzione del numero dei parlamentari che ha contribuito ad allontanare ulteriormente la figura dell’eletto da quella dell’elettore.

Al momento non sappiamo quale riforma verrà proposta dalla maggioranza politica uscita dalle ultime elezioni: Giorgia Meloni e la sua coalizione oscillano tra presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato in tutte le loro possibili declinazioni, forme di governo che oltretutto, quando si arriverà a una qualche proposta, dovranno essere sottoposte al vaglio dei vari partiti che compongono la sua maggioranza, cosa che -assieme ad alcune altre- ci induce a prevedere un esito infausto per l’intero progetto.

Non va dimenticato, infatti, che la procedura di revisione prevista dall’articolo 138 della Costituzione prescrive che, se la riforma non è approvata da una maggioranza di due terzi dei parlamentari, essa può essere sottoposta a referendum popolare confermativo, ed è assai difficile prevedere che cosa decideranno in proposito gli elettori mentre è facile prevedere un’imponente e aggressiva manovra politica, mediatica, psicologica da parte delle sinistre che sono, e saranno sempre, contrarie a ogni revisione costituzionale proposta dalle “destre”, qualunque essa sia.

Accanto all’opposizione delle sinistre nazionali va poi messa in conto l’opposizione, più o meno esplicita, più o meno velata, ma che ormai in ogni occasione appare sempre più evidente, della politica internazionale e dei  poteri sovranazionali: pur di contrastare il fascismo meloniano che loro vedono avanzare in Italia  quei poteri sono disposti a tutto, Unione Europea in testa.

Ed è proprio l’appartenenza europea uno dei nodi che andranno esaminati in sede di riforma costituzionale. L’Italia è sempre stata un paese a sovranità limitata, ma da alcuni anni è sottoposta a una duplice crescente  invadenza della politica internazionale: da un lato l’Unione Europea che è diventata di fatto un super-decisore della nostra politica, superando indebitamente il ruolo di semplice supervisore affidatole dai trattati, dall’altro l’arroganza di un atlantismo a guida anglo-americana che ci impone la politica estera, la politica militare e, di conseguenza, anche le politiche energetiche ed economiche e che la Meloni sembra fin troppo contenta di essere esecutrice nonostante il sovranismo dichiarato in campagna elettorale.

Chissà se questi temi saranno affrontati nella discussione sulla riforma istituzionale. In fondo, quando si parla di forme di governo, e prima di esse, bisognerebbe a priori definire quanto si possa ancora governare in questo paese.

Tralasciamo il tema, troppo tecnico e quindi poco attraente, delle autonomie regionali che, piaccia o no, è legato a filo doppio con quello delle forme di governo e rinviamolo a qualche considerazione futura.

Quello che è ancora importante analizzare, a nostro avviso, è la procedura di attivazione del processo di riforma. Iniziativa governativa? Iniziativa parlamentare? Commissione costituente?

Anche su questi interrogativi il silenzio è totale e al momento non permette previsioni. Riteniamo, ma è un’opinione personalissima, che la politica dovrebbe riprendere in seria considerazione la famosa affermazione di Calamandrei, giurista costituente, secondo cui quando il parlamento dovesse discutere una riforma istituzionale i banchi del governo dovrebbero essere vuoti; e questo a sottolineare quanto l’esecutivo dovrebbe essere neutrale rispetto a una proposta di riforma che lo riguarda direttamente e ne investe con forza le prerogative.

La riteniamo una raccomandazione seria e praticabile, non solo dal punto di vista della correttezza istituzionale ma anche da quello della praticabilità politica e dell’opportunità procedurale. Sarebbe infatti un modo di svincolare la riforma da ogni riferibilità al governo e a chi lo sostiene, depotenziando così le argomentazioni delle forze di opposizione e assicurando maggior tranquillità al percorso costituente, e scongiurando probabilmente anche il pericolo di una consultazione referendaria il cui esito, come dicevamo, appare molto molto incerto per le scelte della maggioranza.

Resta dunque auspicabile la via parlamentare pura, dove l’accordo con le forze di opposizione renderebbe tutto più semplice, facile e rapido, allontanando una guerra politica che, chiunque la vinca, porterebbe con sé un lungo e avvelenato periodo di polemiche e recriminazioni non certo auspicabili nel difficile periodo che stiamo vivendo.

Che poi questa via parlamentare assuma la forma di un’ampia discussione plenaria nei due rami di Camera e Senato, o in un’apposita commissione bicamerale come già fatto in passato, o addirittura -ma si tratta di un’ipotesi ai limiti della fantascienza politica- della creazione di una qualche apposita assemblea costituente sarà oggetto di un’appropriata e, speriamo, pacata discussione fra le forze della nostra democrazia.

L’importante è che nasca la volontà di fare tutto ciò e, sopratutto, che si abbia un quadro concettuale definito. Giusto per non far finire tutto in caciara, che è un altro dei pericoli -sicuramente il meno nobile- a cui si può andare incontro.

Civico20News

Elio Ambrogio

Editorialista

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 21/05/2023