Il cervello ama le abitudini. Anche quelle cattive.

Ecco perché è difficile cambiarle.

Perché mai dovremmo continuare ad agire una abitudine quando sappiamo che questa ci farà danno? Per quale motivo il cervello è legato alle abitudini? In quanto tempo si può cambiare una abitudine?

Domanda che hanno stimolato la ricerca psicobiologica  e del comportamento umano. Da un punto di vista prettamente neurobiologico le abitudini si acquisiscono con la ripetizione dello stesso atto. La ripetizione è legata all’apprendimento.  Quando, dopo aver appreso qualcosa per la prima volta, l’informazione di quanto appreso viene salvata nella corteccia cerebrale. Se ripetiamo l’azione più e più volte, questa diventa routine. Il cervello adora trasformare ogni nostro comportamento in routine, perché pensare costa fatica.

A questo punto l’informazione prende residenza in un luogo chiamato gangli della base. Appena sotto gli emisferi cerebrali. In quel luogo del cervello, tutto ciò che è stato appreso, divenuto routine, e quindi le nostre abitudini, permane fisso ed è impossibile cancellarlo. In più  è bene precisare che una parte del cervello, la nostra materia grigia, è solita rilasciare, come premio della routine sostanze oppioidi, e quindi, noi, provando una sorta di piacere, ne diventiamo dipendenti. Col passare del tempo diventa quindi sempre più faticoso cambiare abitudini.

Ma allora perché è possibile cambiare le abitudini se il cervello non cancella le vecchie?

Sostituire una abitudine è possibile. Occorrono degli ingredienti speciali. Ma si può. Il cervello sostituisce, non elimina. Va da sé che dopo un trauma cerebrale, con amnesia temporanea, alcune persone che in gioventù erano state tabagiste e fumavano parecchio, anche se a distanza di anni, ricominciano a fumare senza problemi di sorta. Ecco le ricadute verso altri comportamenti disfunzionali. I traumi possono essere fisici o emotivi.

Ma come fare per cambiare una abitudine se il cervello la mantiene per sempre?

Qui entriamo in un nodo concettuale con ricerche divergenti tra di loro. Alcune ricerche affermano che siano sufficienti 21 giorni per cambiare una abitudine. Altre ricerche dicono che occorro almeno 254 giorni. Tra i due alcune altre ricerche hanno definito un tempo di circa 66 giorni per consolidare, nei gangli alla base, la nuova abitudine.

In 21 giorni si stabilisce una connessione nuova stabile. Quindi la nuova abitudine ha ottenuto il suo certificato di residenza nei gangli alla base. Si trova però, come vicino di casa, la vecchia abitudine che è ancora un po’ arzilla. Allora deve mostrare la sua forza nel difendere la posizione di priorità per latri 45 giorni. A quel punto la vecchia abitudine, si trasferisce alla periferia della città in un luogo di riposo. La connessione quindi viene interrotta.

Per fare in modo che in 21 giorni la vecchia abitudine traslochi occorrono: motivazione e ricompensa. Se si ha una buona motivazione e una buona ricompensa, la nuova abitudine si fissa mandando in esilio la vecchia.  Un esempio che coniuga motivazione e ricompensa insieme può essere questo: “ … Azzurri, se non smette di fumare i suoi polmoni collassano e andando avanti di questo passo la sua aspettativa di vita è di soli due anni.” Qui la motivazione legata alla salute è alta e la ricompensa è vivere più a lungo.  

Anche la punizione ha il suo alto effetto come effetto motivante. Ma senza ricompensa si otterrà di essere vicini di casa con la vecchia. È bene dare una ricompensa al sistema che sia proporzionata all’impegno profuso nel cambiare l’abitudine. Ovvio evitando cose come: “sono riuscito a non bere alcolici per un mese. Devo ricompensami per l’impegno. Mi merito un goccetto.”

Capito come si comporta il vicino, cioè la vecchia abitudine?

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Articolo pubblicato il 13/08/2023