Belmonte - Un modello per i Sacri Monti

Il sito ha in effetti restituito numerosi documenti archeologici

Vent’anni fa i Sacri monti del Piemonte e della Lombardia sono stati inseriti dall'UNESCO nella lista dei patrimoni dell'umanità. Proponiamo quindi una serie di articoli che ripercorrono la storia e la cultura di queste importanti testimonianze dell’arte e della devozione e create sulla spinta delle istanze sorte in seno al Concilio di Trento.

 

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Realizzazione tarda rispetto ad altri complessi devozionali simili, il Sacro Monte di Belmonte nel Canavese, vide la luce all’inizio del XVIII secolo a seguito della spinta di Michelangelo Montiglio, frate minore che però non riuscì a portare a termine il suo progetto. Infatti l’itinerario scandito da tredici cappelle fu completato solo dopo due successivi interventi: nel 1759 e nel 1825. Strutturalmente risulta ben articolato all’interno di un percorso che sembra essere basato su un unico progetto, probabilmente attribuibile a un solo anonimo autore.

 

L’area, che di fatto risulta piuttosto isolata, in realtà fu piuttosto popolata nel passato: il sito ha in effetti restituito numerosi documenti archeologici, i più antichi riferibili all’Età dei Metalli.

L’area collinare su cui si trova il Sacro Monte di Belmonte fu frequentata dall’uomo della tarda Età del Bronzo: questo è quanto emerge dai più antichi reperti rinvenuti nel sito.

Inoltre, nei pressi delle cappelle dedicate al Cireneo e alla Veronica, sono stati portati alla luce i resti di uno stanziamento longobardo fortificato.

Tra i numerosi reperti preistorici: resti di ceramica, una macina, asce e punte di freccia in pietra; al periodo longobardo appartengono alcuni oggetti in ferro, parti di fibule e di un ambone di scudo.

Sotto il livello barbarico sono riemersi reperti di epoca romana e tardoromana: “una fibula in bronzo ad archetto, un armilla pure in bronzo serpentiforme, un frammento di specchio in argento del II secolo d.C., una moneta in bronzo dell’imperatore Comodo (180-192 d.C.). Una moneta d’argento del 100 a.C., di epoca repubblicana, portava in mezzo un buco: ciò sta a dimostrare che per parecchi secoli è stata portata come amuleto e tramandata di generazione in generazione” (A. Brunetti, Che cosa hanno fatto in 350 anni di residenza Belmonte i Francescani?, in “Eco del Santuario di Belmonte”, marzo 1955).

Dall’interno dl sito fortificato longobardo proviene una bella gemma incisa del IV secolo e ascrivibile alla cerchia alessandrina. I reperti di origine cristiana sono comunque numerosi e consentono di individuare una continuità di frequentazione già dall’epoca paleocristiana, come sembrerebbero confermare i resti di un capitello, forse uno tra i reperti più antichi di un edificio cristiano del Canavese.

Il complesso devozionale di Belmonte sembra basarsi su un modello decisamente diverso da quello che caratterizza Sacri Monti come Orta, Varallo e Varese, con cappelle sostanzialmente autonome: infatti, qui la relazione tra i singoli edifici è piuttosto stretta e resa ancora più coesa dallo sviluppo anulare dell’itinerario devozionale, adagiato sul crinale della collina.

Le cappelle che si snodano seguendo la sequenza dei Misteri del Rosario, sono poste a uguale distanza che sembrerebbe essere regolata dalla cadenza delle preghiere.

L’inizio del cantiere risale al 17 giugno 1712 con l’apertura della strada circolare che di fatto è l’elemento di congiunzione tra i singoli edifici. In quell’anno furono realizzate la prima e la sesta cappella; l’anno successivo la quarta e nel 1714 la seconda; nel 1715 la terza, la settima e la dodicesima; nel 1719 fu terminata l’undicesima.

Le strutture delle singole risultano caratterizzate da piante di diverso tipo (quadrata, rettangolare, ellittica),  con abside e porticato.

Successivamente fu costruita la cappella della Crocifissione; mentre quella del Sepolcro (cioè quella prevista come la quattordicesima) in seguito fu distrutta.

Alla morte di padre Montiglio, il Sacro Monte di Belmonte subì un arresto di una quarantina di anni; nel 1759 i lavori ripresero e furono così realizzate altre due cappelle. Dal 1773 al 1778 ne vennero approntate altre due. Solo nel 1825 fu possibile realizzare quella della Deposizione.

Il corpus originale delle statue in terracotta di Castellamonte, andò quasi completamente perduto in occasione della soppressione del convento in epoca napoleonica. Il complesso plastico attuale risale agli inizi del Novecento e pur non raggiungendo elevati livelli artistici, si pone comunque come una testimonianza rilevanti dell’arte devozionale.

Non si hanno notizie certe sulle maestranze che operarono alle cappelle, e non si conoscono neppure i modellatori dei gruppi statuari. Sembrerebbe realistico ipotizzare la partecipazione di autori locali, non indenni dalle influenze dell’arte di altri complessi – in particolare a Varallo – e che avevano acquisito una solida collocazione nella cultura tardobarocca. 

L’eco di alcuni schemi già presenti a Varallo è evidente, per esempio, “nel gruppo della Crocifissione, l’unico forse che si imponga all’attenzione: pur essendo la ripresa convenzionale di motivi compositivi gaudenzani, la compostezza del Cristo in croce, la sobria disposizione delle altre statue, soprattutto il respiro e lo spazio che circondano questa composizione, formando un episodio a sé stante nel contesto generale di questo Sacro Monte” (S. Langé, Sacri Monti piemontesi e lombardi, Milano 1967, pag. 44).

Secondo una diffusa tradizione locale, il primitivo convento di Belmonte avrebbe visto la luce per volere di re Arduino (955-1014) che, durante una malattia, fu visitato dalla Vergine la quale gli assicurò la guarigione, in cambio della costruzione dell’edificio. Se ci affidiamo esclusivamente alla fonti storiche, apprendiamo però che un primitivo edificio religiose vide la luce in quest’area già prima del Mille, per volere delle monache Benedettine, che qui restarono fino al 1601. Alle suore subentrarono i francescani che, nel 1620, ricostruirono la chiesa e quindi, come ormai sappiamo, il percorso devozionale.

Nell’ultimo quarto del XIX secolo,  il santuario venne ristrutturato completamente, contribuirono alla sua evoluzione architettonica e artistica, Carlo Ceppi (1829 – 1921) e Giacomo Grosso (1860 – 1938).

Dal 1960, sulla parte più elevata dall’area del Sacro Monte svetta la grande statua raffigurante san Francesco (quattro metri e mezzo di altezza) dello scultore Giovanni Vogliazzi.

 I piloni

Nell’ultimo ventennio del XIX secolo, lungo il percorso che unisce l’area del Sacro Monte all’antico castello di Belmonte, vennero edificati quindici piloni, così da scandire quell’itinerario con un’ulteriore aura sacrale. I piccoli “tabernacoli” erano originariamente dipinti con affreschi che narravano episodi della vita di Maria e di Cristo.

Poiché l’itinerario è disposto a mezzogiorno, a metà percorso venne costruita una cappella con atrio coperto e con sedili in cemento; si decise di intitolarla alla Samaritana e nel suo interno vi erano statue in terracotta.

 

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Articolo pubblicato il 23/08/2023