Graglia - Un modello per i Sacri Monti

Un pezzetto del paesaggio palestinese .....

Vent’anni fa i Sacri monti del Piemonte e della Lombardia sono stati inseriti dall'UNESCO nella lista dei patrimoni dell'umanità. Proponiamo quindi una serie di articoli che ripercorrono la storia e la cultura di queste importanti testimonianze dell’arte e della devozione e create sulla spinta delle istanze sorte in seno al Concilio di Trento.

 

5

 

Il primitivo progetto del Sacro Monte di Graglia risale al 1615: ne abbiamo traccia nelle memorie che pongono in rilievo il forte impegno del parroco locale, don Andrea Velotti, che, forse condizionato dall’eco del vicino complesso di Oropa, pensò di realizzare una “Novella Gerusalemme sia Palestina del Piemonte detta di San Carlo a Graglia”.

 

L’idea di partenza era maestosa e prevedeva cento cappelle, posizionate all’interno di un complesso devozionale che raccoglieva le vicende più emblematiche dell’Antico e Nuovo Testamento: dalla Genesi all’Ascensione di Cristo.

Il primitivo progetto, collegato al santuario della Madonna di Loreto non raggiunse però le dimensioni auspicate che avrebbero dovuto fare di quel “Teatro montano” un centro destinato ad oscurare Varallo, Oropa e Orta.

 

Sull’entità del progetto abbiamo un documento importante: un libro dello stesso don Velotti dal titolo: Trentatré umili dedicatorie. Della Novella Gerusalemme osia Palestina del Piemonte, detta di San Carlo a Graglia, ad honore delli trentatré anni di Cristo Signor Nostro, undeci celesti, undeci ecclesiastiche, et undeci temporali (1623). Già il titolo di questo libro, scritto alcuni anni dopo l’attivazione del cantiere, indicava che il progetto iniziale risultava già dimensionato: le cento cappelle erano diventate trentatré suddivise in: “Infantia et puerizia Christi Domini; secunda pars, praedicatio et miracela; tertia pars, Passio Christi; quarta pars, Resurrectio”.

 

Quello di Graglia fu quindi un grande progetto, forse un sogno, che avrebbe dovuto superare altri complessi devozionali più noti e celebrati. L’area individuata per la realizzazione risultava il frutto di una scelta molto oculata: infatti le pendici della Colma del Bombardone costituiscono un punto particolarmente panoramico, che contribuisce ad accentuare l’atmosfera a tratti mistica del luogo.

 

Ecco cosa scriveva G. Muratori nel suo libro Il Santuario di Graglia. Notizie istoriche (1848) a proposito del panorama offerto dall’area in cui si trova il santuario: “Non senza stupore, scoprirai a mattino le amene colline del Biellese celebrate per i suoi vini di Valdengo, di Cossato, di Lesiona e della Motta; i tuoi occhi si porteranno spontanei al Colle di Superga e sul lussureggiante Monferrato come in bel panorama; e più oltre abbraccerai collo sguardo le apriche balze del Tirolo, gli erti gioghi della Liguria, le ispide montagne di Tenda e, in mezzo agli uni e alle altre, la vaste pianure dell’ubertosa Lombardia”.

 

L’idea di don Velotti era sempre la stessa che animava i promotori dei Sacri Monti, “far rivivere in terra subalpina un pezzetto del paesaggio palestinese”… Come abbiamo visto, pur assegnando al complesso la primaria funzione di illustrare le vicende della vita di Cristo, l’ideatore volle che nel suo Sacro Monte avesse un ruolo dominante San  Carlo; è indicativo che il parroco in più occasioni identificasse il luogo come “San Carlo a Graglia”.

Il legame con il noto personaggio dei Borromeo è dovuto al fatto che il Sacro Monte avrebbe dovuto vedere la luce intorno al Colle di San Carlo, sul quale vi era una piccola chiesa dedicata all’Addolorata e punto focale della devozione locale. Anche in ragione di questo background cultuale ivi esistente, è facile comprendere le motivazioni che contribuirono ad identificare in quell’area il luogo più idoneo alla realizzazione del Sacro Monte.

Nei primi anni furono costruite numerose cappelle che, se ci affidiamo alle scarne informazioni, “non tardarono a popolarsi di numerose statue, la maggior parte in terracotta”…

 

La vox populi non è però suffragata dalle fonti storiche: è comunque probabile che i lavori non andarono oltre 1624, anno della morte dell’ideatore e promotore.

Effettivamente era un progetto smisurato: il coraggioso don Velotti riuscì comunque a portare a termine un primo corpus di cappelle, anche con il contributo di maestranze come i fratelli d’Enrico e il Tabacchetti.

I successori del promotore non spinsero la macchina costruttiva come previsto nel progetto iniziale, forse perché la grandiosa impresa aveva localmente poche radici: resta il fatto che quanto oggi rimane è veramente poca cosa, mentre ci mancano informazioni precise su quelli che furono i risultati raggiunti all’apice dell’impresa post-velottiana.

 

Oggi sono ancora visibili sei cappelle in cattive condizione: anche le linee architettoniche si accordano perfettamente con la cronologia, la mancanza di arredi e di gruppi plastici, le rende anonime e di difficile interpretazione.

In seguito la devozione si spostò in direzione di Campra, dove venne costruita una chiesa dedicata alla Madonna della Neve; grazie alla passione del locale parroco, Agostino del Pozzo, si diede inizio alla costruzione, alla base del sentiero per il Colle San Carlo, di un santuario e di un ospizio per i pellegrini, nel luogo in cui era stata costruita la cappella con la raffigurazione della Santa Casa di Loreto.

 

Dopo fasi alterne, il santuario fu completato nel 1769, oltre un secolo dalla collocazione della prima pietra; la definitiva sistemazione del santuario giunse però solo nel 1828. L’antico sacello, annesso alla chiesa, è ancora oggi metà di pellegrinaggio e al centro della devozione locale; hanno certamente contribuito alla notorietà del luogo, il culto della Vergine Nera, il grande ospizio e la straordinaria collocazione geografica.

 

Una traccia vivida della poetica del Sacro Monte è ancora visibile nel semplice complesso plastico che raffigura San Carlo che prega sul Cristo morto e contenuto nella chiesa sul colle dedicata all’omonimo santo borromeo. È un’opera, lontana dalla vivacità artistica presente in altri complessi devozionali: qui ne è rimasta l’eco, tenue e parzialmente confermata dalle fonti.

 

Una vecchia fotografia raffigura una limpida Deposizione di Cristo dalla croce costituita da un complesso plastico di buon livello, in sospensione tra quelle che furono le realizzazioni più tipiche della statuaria dei Sacri Monti e quelle realizzazioni in terracotta per le Vie Crucis contrassegnate da linee più articolate sul piano della rappresentazione.

 

La fotografIa è l’unica memoria che ci resta: infatti la Deposizione fu distrutta nel corso dell’ultima guerra.

 

© 2023 CIVICO20NEWS - riproduzione riservata

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 31/08/2023