Montrigone - Un modello per i Sacri Monti

Sant’Anna divenne, a partire dalla metà del XVII secolo, una sorta di Sacro Monte in miniatura

Vent’anni fa i Sacri monti del Piemonte e della Lombardia sono stati inseriti dall'UNESCO nella lista dei patrimoni dell'umanità. Proponiamo quindi una serie di articoli che ripercorrono la storia e la cultura di queste importanti testimonianze dell’arte e della devozione e create sulla spinta delle istanze sorte in seno al Concilio di Trento.

 

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L’idea di realizzare il santuario di Santa Maria delle Grazie di Montrigone (derivante dal più antico toponimo Monte Rigone) a Borgosesia si concretizzò nel 1630, quando la popolazione locale trovò le condizioni per dare corpo al voto rivolto alla Vergine in occasione dell’epidemia di peste (1629/31).

Quando finalmente il flagello liberò gli uomini dal suo fardello di sofferenza, la comunità ebbe così modo di “fabricar tal chiesa in voto a Maria”. Va ricordato che inizialmente l’ipotesi costruttiva prevedeva di dedicare la chiesa alla Madonna delle Grazie, san Rocco e san Marco; poi, nel corso d’opera, le dedicazioni ai due santi si persero.

Ecco un frammento molto indicativo dell’avvenimento conservato nel manoscritto (circa metà del XVII secolo) di Giambattista Gibellino: “sentendosi cominciato ad iscoprir l’male in casa di uno di detta terra, gl’altri abitanti, per fuggire l’ pericolo, fecero voto a Maria di fabricar tal chiesa e si ottennero la gratia in guisa tale che (la peste) non passò più oltre”.

 

Il complesso che via via assumerà la forma attuale, popolarmente noto come “Sant’Anna”, divenne, a partire dalla metà del XVII secolo, una sorta di Sacro Monte in miniatura, chiamato “porta del Sacro Monte di Varallo”.

Santuario e complesso devozionale si amalgamano in una struttura osmotica, definendosi in un abbraccio tra arte e ambiente che, semplicemente, ma con forza, ha la capacità di enfatizzare limpidamente tutta la sacralità che questo luogo emana.

 

Significativamente, a Montrigone concluse la sua feconda attività Giovanni d’Enrico, plasticatore che, come abbiamo già visto, ha lasciato la sua fondamentale impronta in centinaia di statue a Varallo, Orta e Oropa; a Borgosesia si spense il 7 febbraio 1644.

 

Dal manoscritto del Gibellino apprendiamo: “stante il voto fatto da alcuni uomini di Montrigone e per la devozione di alcuni altri verso la beatissima e gloriosissima Vergine Maria, i suddetti uomini di Montrigone stabilirono costruire la suddetta chiesa sotto il titolo della Vergine Maria delle Grazie e dei santissimi Rocco e Marco. Per questa ragione essendosi tra di loro discusso circa il luogo dove nel modo più opportuno e onorifico ciò potesse farsi, considerando l’amenità del terreno dove attualmente si vedono le vestigia del castello diroccato”.

 

Il castello a cui si fa riferimento era di proprietà dei conti di Biandrate e con un altro edificio analogo a Bettola (loc. Robianello), fu distrutto tra il 1372 e il 1374 dagli stessi valligiani, insorti contro i signori del luogo. Non conosciamo il periodo di costruzione dell’edificio e neppure le condizioni dei resti del castello quando venne realizzata la nuova chiesa.

 

Nel mese di maggio 1631 i lavori ebbero inizio: il progetto iniziale non ci è noto, ma sappiamo che nel 1648 il santuario poteva dirsi terminato: aveva un aspetto diverso dall’attuale e il suo campanile era ancorato alla struttura dell’antica torre del castello.

 

Sulla base delle informazioni che è possibile trarre dalle fonti coeve, abbiamo modo di constatare che nel progetto del santuario erano previsti interventi per arricchirlo con l’inserimento di rappresentazioni plastiche, ciò anche per accrescere le peculiarità scenografiche del complesso.

 

Pur essendo piuttosto limitata, la comunità di Montrigone, appena venticinque famiglie, ebbe la capacità e forza, malgrado i limiti e le non facili condizioni generali, per realizzare un complesso di tale entità.

Sappiamo che nel 1657 tutta il corpus plastico del Sacro Monte era completato: vi svolse un ruolo rilevante Giovanni d’Enrico e dopo di lui fratelli Giovanni e Antonio Ferro di Riva  Valdobbia.

 

Poiché gli studi artistici su Montrigone non sono numerosi, risulta difficile attribuire le opere che hanno a subito restauri e interventi in periodi diversi. Le pitture murarie risalgono al 1758 e sono di Lorenzo Perracino.

 

Va detto che l’inserimento di Montrigone nella “categoria sacri monti” non trova accordo tra gli storici dell’arte, infatti qui le cappelle, sei, sono presenti all’interno del santuario e non all’esterno lungo il percorso devozionale. Sono dedicate alla vita della Vergine e si avvalgono di circa centocinquanta statue in terracotta policroma; vi è inoltre una cappella “del Paradiso”, che evoca quella di ben più ampio respiro presente a Crea.

Nella parte sotterranea sono state ricavate le cappelle del “Cristo morto”, della “Maddalena penitente” e di “Giovanni Battista nel deserto”.

 

Al santuario è possibile giungere seguendo la Via Crucis che ha inizio dalla strada comunale e sale lungo un percorso segnato da quattordici tempietti, tutti diversi, affrescati dal Perracino, che meritano attenzione per la loro originalità e per l’equilibrata disposizione nell’ambiente.

 

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Articolo pubblicato il 06/09/2023