Stato e Crimine

Riflessioni su una vera politica contro l’illegalità

Uno dei temi politici che hanno vivacizzato il dibattito pubblico nelle ultime settimane, sottraendolo all’inedia agostana, è stato quello della criminalità, in particolare quella minorile.

Come sempre in Italia, si è verificato un fenomeno curioso: da un lato un’opinione maggioritaria nel paese è diventata minoritaria nei mezzi di informazione, e, viceversa, un’opinione minoritaria fra la gente è diventata maggioritaria nella comunicazione. Le due opinioni potremmo definirle una “rigorista” e una “buonista”; la prima portata avanti dalla destra e l’altra dalla sinistra, come sempre.

C’è chi sostiene (i rigoristi) che la criminalità vada combattuta con forza, con pene severe, con inflessibilità e rapidità, anche nella sua forma minorile. C’è invece chi ritiene (i buonisti) che il problema vada preso più alla larga e che la criminalità, soprattutto quella minorile, vada invece affrontata tramite lo strumento educativo o rieducativo. E’ appena il caso di dire che la prima impostazione è quella più condivisa nell’opinione pubblica e meno condivisa nella narrazione mediatica. Viceversa per la seconda.

E come sempre nel dibattito pubblico, si scontrano una visione pragmatica e una ideologica: la prima guarda alla seconda come astratta e illusoria, la seconda guarda alla prima come rozza e populista. Destra verso sinistra, ancora una volta.

E’ inutile dire che parteggiamo per la soluzione realista, anche a costo di apparire, appunto, rozzi e populisti.

Intanto va sottolineato come la criminalità sia un’emergenza ormai conclamata: dallo stupro al femminicidio, dalla rissa violenta alla rapina per strada, dall’occupazione abusiva di edifici allo spaccio dilagante, dall’omicidio stradale all’epidemia di furti in appartamento e molto altro, è un crescendo di illegalità che incide profondamente sulla vita di ognuno di noi e che chiede risposta da parte dello stato.

Il tutto aggravato da un’immigrazione illegale totalmente fuori controllo, dall’emergere di una vasta delinquenza giovanile che nulla ha da invidiare a quella adulta, da un compiaciuto prolungato e morboso indulgere dei mezzi di comunicazione su ogni singolo episodio criminale, che viene proposto e riproposto, in tutti i suoi bassi dettagli, per giorni e giorni.

Di fronte a tutto ciò, non va dimenticato che nella teoria politica classica, ma anche nel senso comune, lo stato nasce proprio da un patto, da un contratto sociale, con cui i cittadini conferiscono al sovrano o,  genericamente, allo stato il monopolio legittimo della forza che esso dovrà usare soprattutto per difenderli dalla violenza della condizione di natura in cui, secondo Hobbes, domina un perenne bellum omnium contra omnes, una guerra di tutti contro tutti; gli altri compiti del potere, per quanto fondamentali, vengono dopo.

Questa idea basilare per cui lo stato deve prima di ogni cosa garantire la sicurezza degli individui e la loro civile convivenza sembra oggi fortemente incrinata, almeno nella coscienza collettiva.

Si badi, non sono le classi socialmente elevate a percepire il disagio e il pericolo della criminalità quotidiana, in quanto vivono in ambienti ordinariamente e sufficientemente protetti, ma la gente comune, e ancor più quella modesta e senza troppi mezzi, che si sente e si trova realmente indifesa di fronte alla piccola e grande violenza dilagante.

Il problema della sicurezza cioè, come molti altri, è anche un problema di classe, e stupisce che la sinistra non colga questo aspetto, confermando l’impressione ormai ampiamente diffusa che essa tuteli solo gli interessi, le aspettative, le percezioni dell’upper class e sia ormai diventata la “sinistra delle ZTL”.

Questa visione fa sì che essa rifiuti ogni soluzione immediata e realistica rifugiandosi nella mistica dell’educazione: la criminalità si combatte solo aumentando i livelli di educazione, cultura, responsabilità dei gruppi e degli individui che delinquono.

Soluzione senz’altro bella, elegante, eticamente consolante e auto-consolante, forse anche vera nel lungo e lunghissimo periodo. L’idea di dare un libro a ogni delinquente, in particolare se bambino o adolescente, in modo da avviarlo sulla strada della redenzione, magari accompagnato da uno psicologo personalizzato, è seducente e ci fa sentire bene, peccato che sia del tutto irrealistica, come sa chiunque abbia una minima frequentazione della realtà.

Purtroppo la realtà chiede con urgenza soluzioni immediate, e queste soluzioni non possono prescindere da un fermo e ragionevole uso della forza pubblica in funzione esplicitamente repressiva, come avvenuto nei giorni scorsi a Caivano, a Tor Bella Monaca, nei Quartieri spagnoli di Napoli; episodi che, piacciano o meno e a dispetto di tutte le anime belle che deprecano gli interventi polizieschi, rappresentano un chiaro messaggio di presenza dello stato.

Cosa che, se opportunamente ripetuta in altre zone degradate dove non esiste più il diritto (e ognuno di noi sa fare dei nomi) può essere un lucido e solido avvertimento che, nell’epoca della comunicazione di massa, avrà sicuramente un suo effetto.

Bisogna capire una cosa: il delinquente, normalmente refrattario a ogni discorso culturale (altrimenti non farebbe il delinquente), è però oggi molto informato su ciò che accade intorno a lui e nel mondo, ed è anche molto cosciente, e in modo assai razionale, delle conseguenze delle sue azioni, a meno che non sia uno psicopatico.

Il che vuol dire che è perfettamente in grado di bilanciare i suoi comportamenti con le ipotetiche conseguenze giuridiche che ben conosce. Sapere che all’azione criminale seguirà con altissima probabilità una sanzione penale forte, pesante, immediata, non evitabile e non trattabile è la migliore -e forse l’unica- dissuasione possibile. E’ chiaro che questo, oltre all’intervento materiale delle forze di polizia e della magistratura, richiede anche un radicale adeguamento della normativa penale, soprattutto nel suo aspetto processuale.

E per il criminale bambino e adolescente?

Ci dispiace dirlo, ma il discorso è sostanzialmente uguale. I baby-criminali, nel sotto-mondo dove vivono, sono ugualmente refrattari a ogni proposta intellettuale e culturale ma assolutamente informati delle regole del gioco, con una fondamentale differenza rispetto alla criminalità adulta: mentre il criminale-uomo agisce abbastanza razionalmente calcolando costi e benefici delle sue azioni, il criminale bambino agisce ovviamente da immaturo,  per spirito di emulazione e per narcisismo social ritenendo che il piccolo o grande reato sia anche un’occasione di affermazione nei gruppi di appartenenza e in quel girone infernale rappresentato dalla comunicazione con i telefonini, che oggi sono diventati veramente uno strumento di supporto della stupida illegalità giovanile.

Combinazione pericolosissima, e assai difficile da smontare o contrastare con la fuffa pedagogica e col buonismo mediatico.

Questo significa che nei confronti di queste persone -adulte, adolescenti o addirittura bambine- si debba rinunciare ad ogni tentativo di educazione o rieducazione?

Naturalmente no, anche perché la Costituzione, all’articolo 27, prevede espressamente che le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato, ma non dice assolutamente che l’educazione-rieducazione sia alternativa all’esecuzione della pena.

E’ pertanto possibile pensare ad un percorso in cui il delinquente adulto, ma soprattutto quello minorenne, una volta condannato, possa intraprendere il suo processo educativo, ma all’interno dell’esecuzione della pena, abbinando cioè il processo ricostruttivo dell’educazione a quello sanzionatorio in carcere, unendo così le due visioni che dai tempi di Beccaria si contendono questo territorio: funzione di recupero e funzione punitiva e dissuasiva (detta anche, un tempo, “retributiva”) della pena, riconoscendo a quest’ultima quella dignità etica, pratica e preventiva che tutti oggi sembrano voler negare.

Senza punizione e dissuasione nessun sistema penale è efficace; tanto varrebbe abolirlo e sostituirlo con una ideale, vastissima, perenne e impossibile “scuola per delinquenti” che non contempli carceri, sbarre, secondini.

Bella e impossibile, come tutte le utopie. E probabilmente anche molto pericolosa.

 

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Articolo pubblicato il 12/09/2023