Federico Quaglia: Da Torino alle catene di Menelik

Di Alessandro Mella

Era la fine del secolo XIX e l’Italia, come tutte le potenze europee, iniziava a farsi suggestionare dal mal d’Africa e dall’idea di costruirsi un impero coloniale ove investire, trarre risorse, trovare spazi per la propria espansione e soprattutto nuove possibilità per coloro i quali, di fronte alle difficoltà in patria, finivano per emigrare portandosi oltreoceano. Vi era poi la concezione, oggi deprecabile ma non allora, che le potenze escluse dalla spartizione del continente africano fossero in qualche modo “minori”. Quasi il prestigio internazionale e geopolitico si misurasse anche sull’accaparramento di quelle terre lontane.

In un contesto quale il colonialismo, che la sensibilità di oggi ci permette di giudicare come negativo nel suo complesso, vi furono comunque anche pagine in qualche modo gloriose con storie di uomini e donne meritevoli di memoria.

Fu proprio in questo contesto che emerse la figura di un valoroso ufficiale, piemontese, di fanteria, il nostro Federico Quaglia. Nacque a Torino il 16 giugno 1861, figlio di Giuseppe, pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia e soprattutto pochi giorni dopo la morte prematura di Camillo Cavour.

Giovanissimo egli prese la carriera militare, una vita destinata ad essere segnata dalle infelici imprese coloniali di fine secolo. Partì già nel 1887 inquadrato nel corpo di spedizione guidato dal generale Alessandro Asinari di San Marzano inviato dopo il terribile evento di Dogali:

Quelli che partono per l'Africa. - Proseguiamo ad annotare i festeggiamenti che l'esercito restante prodiga ai compagni che partono per l'Africa. L'altra sera, nel quartiere della Cernaia, gli ufficiali del 56° offrivano un cordiale trattamento ai loro colleghi Quaglia Federico e Garofoli Giovanni, chiamati a far parte della brigata che andrà quanto prima a Massaua. Fu una festa confortante e commovente. Il colonnello Mathieu, dello stesso reggimento, dopo pronunciate acconcie parole, consegnò ai due egregi sottotenenti la sciabola d'onore, pregevolissimo dono a ricordo dei compagni d'arma ai partenti. Il sottotenente Federico Quaglia rispose ringraziando superiori o colleghi, e promettendo di onorare in Africa la bandiera italiana e il reggimento. Chiuso con evviva al Re ed all'esercito; i signori Quaglia e Garofoli sono incorporati nel 13° battaglione Africa. Partiranno domattina da Torino, con altri 13 ufficiali e circa -150 uomini di truppa, appartenenti ai reggimenti qui stanziati di fanteria e bersaglieri; saranno a Maddaloni il 2 novembre; salperanno da Napoli il 16, per Massaua, sul Washington. (1)

Il successivo 1° febbraio gli italiani ripresero il controllo del presidio di Saati precedentemente oggetto di scontri e vari combattimenti.

La spedizione sembrò, dunque, aver placato le incursioni dei guerriglieri dei ras abissini ma si trattava di una situazione destinata a non durare. Nel frattempo, però, il nostro aveva avuto la promozione a tenente. (2)

Passarono gli anni e venne il disastro di Adua che costò la carriera politica a Crispi e mise in ginocchio moralmente l’Italia. Il 1° marzo 1896 i soldati italiani, guidati da Oreste Barattieri, furono sconfitti duramente in una battaglia che passò drammaticamente alla storia. Seguirono altri scontri ma la campagna fu perduta con un costo altissimo in termini di morti, feriti e purtroppo prigionieri. Tra questi ultimi il nostro ufficiale:

I nostri ufficiali prigionieri. Secondo notizie inviate dal maggiore Salsa, trovansi prigionieri presso il Negus i seguenti ufficiali: Generale Albertone. Colonnello Nava. Maggiore Gamerra. Capitani: Villa Pietro, Loffredo Vincenzo, Dagostino Giovanni, Fiori Enrico, Brancate Giorgio. Tenenti: Balbi Pietro, Quaglia Federico, Ceccanari Angelo, Marchiori Carlo, Santoro, Golfetto Umberto, Amatucci Lorenzo, Borsa Vittorio, Madia Giuseppe, Mauri Luigi (medico), Canegallo Lorenzo (medico), Cottafava Enrico (medico), Nardi Giulio (medico), Sottotenente Piccinini Oreste, Zurich Alfredo (medico), Capitano D ’Albenzio (medico), Fuso Giacomo, tenente, Galvagno Giacomo, sottotenente, Ferraio Achille, maggiore. Un telegramma di Mercatelli farebbe ascendere a settanta i nostri ufficiali prigionieri degli Scioani, ed a seicento i soldati. (3)

Per il comportamento tenuto nel corso di quella sfortunata campagna militare molti ebbero decorazioni al valore militare ed il nostro Federico Quaglia fu insignito, nel 1898, di medaglia d’argento con motivazione condivisa con altri commilitoni:

QUAGLIA Federico, tenente 1° compagnia, medaglia d’argento. Combatterono strenuamente alla testa della propria centuria, ed iniziata la ritirata, fecero ogni sforzo per raccogliere ascari intorno a sé e tentare ulteriore resistenza. Alla fine accerchiati e sopraffatti rimasero prigionieri. (4)

Chissà quanti aneddoti avrebbe potuto raccontare sui difficili giorni nelle mani dei ras abissini dell’imperatore Menelik. Ma ebbe fortuna perché gli riuscì di tornare a casa, a Torino, e proseguire nella carriera passando, qualche anno dopo, nella riserva con i galloni di maggiore.

Già decorato dell’Ordine della Corona d’Italia, nell’estate 1914 fu con Regio Decreto insignito anche dell’Ordine sabaudo dei Santi Maurizio e Lazzaro con il grado di cavaliere. (5)

Fu la sola buona notizia in un periodo terribile della sua esistenza poiché, nel mese di giugno, egli aveva perduto la sua sposa, la compagna di vita, la cara Bice. Lei lo lasciò nello sconforto con il solo sostegno della figlia Luigina. (6)

Il passaggio nel ruolo della riserva, poi, costituiva quasi l’anticamera del pensionamento e della fine di una carriera avventurosa ed esotica.

Ma la storia, si sa, spesso sconvolge le prospettive, ribalta le carte in tavola, interviene in modo traumatico travolgendo tutto e tutti. Così fu anche per lui quando, rotti gli indugi ed in modo discutibile, l’Italia decise di partecipare alla guerra che proprio nel 1914 era scoppiata in Europa.

La necessità di validi ed esperti ufficiali condusse a molti richiami in servizio ed anche il nostro Federico venne convocato e destinato inizialmente al deposito del 78 fanteria. (7)

L’esperienza nella Grande Guerra gli valse i gradi di colonnello con i quali prese poi congedo per ritirarsi alla vita borghese fino al triste giorno dell’8 aprile 1929. (8)

Circondato dalla figlia, dal marito di questa, dal fratello e dai più cari amici egli se ne andò verso i Campi Elisi, per ricongiungersi ai suoi soldati, ma certamente e soprattutto all’amata Bice persa tanti anni prima. (9) Si spense con sobrietà spartana, come s’addice agli eroi in grigioverde.

Alessandro Mella

NOTE

1) Gazzetta Piemontese, 301, Anno XXI, 31 ottobre – 1° novembre 1887, p. 3.

2) Ibid., 297, Anno XXII, 25-26 ottobre 1888, pp. 2-3.

3) Gazzetta d’Alba, 23, Anno XV, 18 marzo 1896, p. 2. La notizia fu anticipata anche da La Stampa, 74, Anno XXX, 14 marzo 1896, p. 1.

4) Archivio dell’Istituto del Nastro Azzurro tra Decorati al Valore Militare.

5) Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 179, 19 luglio 1915, p. 4342.

6) La Stampa, 164, Anno XLVIII, 17 giugno 1914, p. 4.

7) Bollettino Ufficiale, Ministero della Guerra, Dispensa 87, 27 novembre 1915, p. 2944.

8) Ibid., Dispensa 46, 26 luglio 1929, p. 2914.

9) La Stampa, 87, Anno LXIII, 11 aprile 1929, p. 7.

 

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Articolo pubblicato il 23/10/2023