Oltre la Storia di Silvia Licata - parte prima
Domani 2 Dicembre - Parte seconda e ultima.
La Bibbia è il testo sacro e religioso del Cristianesimo, ma non solo: lo è anche di Ebrei e Musulmani.
È un testo che, pur se dal punto di vista filologico non ha ricevuto datazione sicura poiché le parti di cui si compone sono state scritte in momenti differenti, è in ogni caso antichissimo; è quindi una fonte certa per riuscire a ricostruire la storia della Mezzaluna Fertile e delle sue popolazioni, indipendentemente dal fatto che si sia credenti o meno.
Pertanto essa dice chiaramente chi sono gli Ebrei e li distingue altrettanto chiaramente dagli Ashkenazim: si può trovare questa informazione nella sua Tavola delle Nazioni. Allo stesso modo, si possono trovare indicazioni su ciò che è Erétz Ysraél, ovvero la Terra Promessa, promessa ai discendenti di Abramo in Medioriente, i cui confini vengono menzionati e ridefiniti in varie situazioni, a seconda degli spostamenti delle tribù ebraiche e degli avvenimenti storici.
In più punti del testo sacro, è molto comune trovare l’espressione “da Dan a Bersheeva”, che indica due punti precisi della Mezzaluna Fertile: la città di Dan, sita all’estremo nord dell’odierno Stato di Israele, e la città di Bersheeva, a sud, ma non comunque in vicinanza con l’Egitto, in ogni caso, entrambe abbastanza lontane, dalla Striscia di Gaza.
Pertanto, se ne deduce che Gaza non è parte della Terra Promessa e che, quindi, non dovrebbe essere un territorio conteso.
Eppure, anche a dispetto dei suoi miseri km² 360, ossia un’estensione che non raggiunge neanche quella di una delle regioni italiane, ma che grosso modo può corrispondere ad appena il doppio o il triplo di una delle nostre città, è da considerarsi Terra Promessa, perché sono in molti a voler dire la loro su questa piccolissima porzione di territorio.
Storicamente, se inizialmente la striscia di Gaza rientra nella storia dell’antico Regno di Giudea, dopo vari passaggi, alla conclusione del secondo conflitto mondiale questo territorio si stacca dalle sorti degli altri territori mediorientali e diventa parte dello Stato egiziano seguendo un altro percorso. Sembrerebbe logico poiché si trova al confine con l’Egitto.
Ma l’essere confinante anche con Israele la mette in una situazione che diremmo “tra l’incudine e il martello”.
Tuttavia, violando l’armistizio di Rodi del 1949 e ciò che era stato stabilito a livello internazionale dall’ONU, Israele si impossessò della città di Eilat, situata sul Mar Rosso e di importanza decisamente strategica.
È necessario notare come questa città fosse abitata da palestinesi siti in territorio egiziano e che il suo nome fosse in realtà l’arabo Umm Rash-Rash.
Così si diede l’avvio alla Guerra dei Sei Giorni, che, quindi, non contemplava assolutamente i palestinesi, benché l’obiettivo fosse l’esproprio dei territori abitati da loro, anche in aree geografiche assegnate ad altri Paesi, come la stessa Striscia di Gaza, occupata dagli israeliani proprio con la Guerra dei Sei giorni.
Israele, con le buone o con le cattive, aggirò sempre la questione palestinese, trattando con gli altri Paesi, arabi e non, e negando il diritto all’esistenza stessa dei palestinesi, in quanto non Nazione per cui impediti di negoziare.
La stessa Golda Meir, al secolo Golda Mabovic, ucraina nata a Kiev e Ashkenazim, fu Primo Ministro israeliano non a caso tra la Guerra dei Sei Giorni e il 1973, non a caso anno della crisi petrolifera con conseguenze rilevanti a livello mondiale, soprattutto europeo e che rimandano alla crisi energetica attuale.
Lei stessa affermò «Il popolo palestinese non esiste. Quando siamo venuti, non li abbiamo cacciati e non abbiamo preso il loro Paese. Essi non esistono».
Da questo punto di vista, è ovvio che gli israeliani non avrebbero mai potuto prendere i territori palestinesi, poiché di fatto essi non esistevano: ha però sempre fatto comodo che uno Stato palestinese non esistesse, proprio per non dare loro alcuna possibilità di replica e non dover trattare con loro.
Ecco, perché, quindi la Guerra dei Sei Giorni ha come protagonisti l’Egitto e il resto del mondo arabo, ma non i palestinesi, che, tuttavia, abitavano sia Eilat, quanto la Striscia di Gaza.
Ciò è sempre stato perfettamente in linea con il vero progetto dello Stato di Israele: non il poter dare una terra agli ebrei in fuga dall’Europa, premesso il fatto che tali “ebrei” in realtà non erano realmente ebrei in quanto non semiti, ma Askenazim.
David Eder, psicologo inglese di origine lituane, Ashkenazim, infatti dichiarò: «Ci sarà solo una nazione in Palestina, e sarà quella ebraica. Non ci sarà uguaglianza fra ebrei e arabi, ma vi sarà una predominanza ebraica non appena le proporzioni demografiche lo permetteranno».
Una domanda: ma gli accordi presi nel 1917 tra il Primo Ministro britannico Balfour e Rotschild, quale rappresentante della comunità ebraica - noi diremmo Ashkenazim - migrante dall’Europa verso il Medioriente non prevedevano che il suo ingresso come “a national home” ovvero “un focolaio nazionale”, non avrebbe dovuto pregiudicare “i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche pre-esistenti della Palestina”?
Non possiamo dire che Eder non lo sapesse: egli visse nella prima metà del 1900 e morì nel 1936, quindi fece la sua dichiarazione ben sapendo ciò che stava dicendo.
Stabilito dunque che i palestinesi non esistono e non hanno alcun diritto, benché di fatto abitino il Medioriente, la domanda d’origine è: quanto valgono o quanto sono importanti gli appena km² 360 della striscia di Gaza per scatenare una guerra?
La Bibbia, abbiamo visto, innanzitutto non la menziona come facente parte “Regno di Giuda” e, in epoca antica, come detto, vi è stato un susseguirsi di varie dominazioni, fino ad essere assegnata all’Egitto.
Gli accordi di Oslo assegnarono in via definitiva il territorio alla Palestina, ormai costituito Stato e sulla base del quale nessuno avrebbe potuto dire che “i palestinesi non esistono”.
Di conseguenza non ci sarebbero state ragioni per scatenare nuove guerre.
Israele si ritirò infatti dalla Striscia di Gaza a partire dal 2005; un ritiro formale, ovvero soltanto da parte dell’esercito: di fatto, la Palestina non era libera di governare il territorio, dato che tutto ciò che ne entrava e usciva - persone comprese - era controllato dagli israeliani e le riserve idriche erano allo stesso modo sotto il loro dominio.
La situazione era contraddittoria, in quanto, in ogni caso, nel 2012 fu l’ONU stesso a stabilire e senza alcuna deroga, che la Striscia di Gaza, appartenesse alla Palestina.
Ebbene, di questo concetto basilare, fatto salvo che il ritiro israeliano dal territorio in oggetto fu solo formale, che cos’è che non si riesce a capire per essere totalmente ignorato? O meglio, perché lo si vuole ignorare?
Innanzitutto, possiamo dire che vi è un motivo più che valido, almeno in apparenza.
Hamas, il partito fondamentalista palestinese, prese il sopravvento nel 2006 attraverso elezioni politiche definite “regolari” e ciò riacuì nuove tensioni, dando motivazione a Israele per riattaccare, essendo sostenuto dall’Occidente.
La motivazione dunque sembrerebbe Hamas.
Allora come oggi.
Hamas è estremista e considerato una falange di terroristi, tuttavia non è realmente rappresentativo della Palestina né dei palestinesi, poiché il Paese possiede anche un’anima moderata, che governò con successo attraverso al-Fath, il partito nato in seno all’OLP di Yasser Arafat.
Fu tramite lui, infatti che si riuscì a trovare una quadratura del cerchio, creando uno Stato palestinese e che si riuscì a mantenere stabilità negli anni a venire.
Sarebbe quindi più sensato pensare non a libere elezioni democraticamente vinte da Hamas, ma a votazioni “spinte” verso Hamas al fine di poter scatenare di nuovo un conflitto e giustificare così la rientrata in scena di Israele e dell’Occidente.
Allora come oggi.
Oggi ancora di più, poiché è necessario riaprire il dibattito sulla questione dei “valori occidentali” messi nuovamente a rischio. Occidentali? Ma Israele non si trova in Medioriente?
Veniamo allora al dunque.
I fondali della Striscia di Gaza sono i depositari di un vero e proprio tesoro, giacimenti di idrocarburi che vanno dalla Siria all’Egitto e di cui, in parte, Israele già detiene il controllo, vendendo gas all’Egitto, il quale a sua volta alimenta la Striscia di Gaza.
In questa stessa area vi è anche un altro importante giacimento, il più grande del Mediterraneo, il Leviathan, su cui vi è una annosa disputa e che sembra essere la vera ragione del non abbandono degli israeliani della Striscia.
Tale giacimento porterebbe sia i palestinesi che gli israeliani a essere autonomi nella produzione di gas per almeno cinquant’anni e, al contempo, renderebbe ancora più dipendente l’Europa in fatto di approvvigionamento energetico.
Da quando a ottobre il conflitto arabo-israeliano è ripreso, Israele ha già bloccato la produzione di gas da Tamar, e ciò è stato possibile, poiché tale giacimento è nel suo mare.
Si tratta di un rischio per l’Europa, la quale si approvvigiona da questa fonte, ma lo sarebbe ancora di più se Israele si appropriasse del Leviathan: ciò sarebbe possibile impossessandosi definitivamente della Striscia di Gaza, da cui peraltro non se n’è mai realmente andato.
I giacimenti israeliani vengono gestiti da Chevron, una delle più importanti compagnie petrolifere americane, in realtà l’antica società americana Standard Oil Company, fondata dalla famiglia Rockefeller.
Quindi, l’Europa è in mano al sionismo più puro e da qui si riesce a capire perché è stato indispensabile rompere le relazioni diplomatiche e di affari con la Russia che riforniva il continente europeo.
Americana è anche THAAD, ovvero Terminal High Attitude Area Defense, la “difesa area di alta quota”, situata nel Sito 512, a soli km 32 da Gaza.
Come si può immaginare, si tratta di una base militare statunitense, che, sebbene si trovi in Medioriente già da molto tempo, a partire da agosto di questo anno ha subito una estensione e un riallestimento.
Tale modifica è stata motivata come semplice “life support facility for personnel”, cioè “strutture di supporto vitale per il personale”, ma il dubbio è altrettanto giustificato in ragione del fatto che appena due mesi dopo è riesploso il conflitto.
Queste sono le ragioni economiche e geopolitiche del nuovo conflitto arabo-israeliano.
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Articolo pubblicato il 01/12/2023