Israele e Palestina - 1001 ragioni per stare al di fuori di un conflitto - parte terza (3/3)

di Silvia Licata

Parte prima: https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=49314

Parte seconda: https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=49315

 

Per capirlo meglio, è necessario osservare cosa è successo nella storia della formazione dello Stato di Israele, che non ha nulla a che fare con l’antico Regno di Israele.

 

Anticamente, la Palestina non era uno Stato così come non lo era Israele: era un territorio abitato dai Fenici, e la prima volta che venne menzionata nelle “Storie” di Erodoto, autore storico dell’antica Grecia, ci si riferì come “distretto della Siria”, senza specificare chi fossero i suoi abitanti.

 

Tuttavia, il nome “Palestina” si riferisce al termine ebraico “Paleshtet” che a sua volta indicava la “terra dei Filistei”, una popolazione non semitica, secondo alcuni ritrovamenti archeologici forse indoeuropea, che, quindi, non è imparentata né con gli ebrei né con gli arabi, e che abitò il territorio fino al 732 a.C., anno della loro sconfitta da parte degli Assiri.

 

Tale territorio corrispondeva all’antica Giudea, che venne rinominata “Palestina” dai Romani, i quali vollero cercare in questo modo di estirpare il ricordo della presenza degli Ebrei.

 

Infatti, la Giudea, comprendeva i territori palestinesi a nord, ovvero l’antico Regno di Israele, e quelli a sud, cioè il Regno di Giuda.

 

Il periodo Romano fu ciò che provocò la Grande Diaspora degli Ebrei, ovvero la loro migrazione in Europa e Asia. Dopo il periodo Romano, varie altre popolazioni si susseguirono alla guida dei territori mediorientali: tra queste, gli Arabi, che arrivarono nel IX sec. d.C. e i Turchi Ottomani, i quali vi governarono fino al 1918.

 

Qui giunti, è importante introdurre il Sionismo.

 

Chi pensa si tratti di un movimento ebraico evidentemente non sa che fu creato alla fine del 1800 in Europa dallo scrittore e giornalista austro-ungarico Ashkenazim Theodor Herzl.

 

Il suo intento era quello di dare agli “ebrei” europei un territorio in cui abitare, in quanto si iniziavano a sentire i primi soffi di antisemitismo (considerando, tuttavia, l’ottusità di tale forma di situazione, in quanto si definì l’antisemitismo tale, senza essere rivolto a una parte di popolazione europea di origini varie, non originaria della Mezzaluna Fertile e convertita solo successivamente all’ebraismo, ma non effettivamente discendente da famiglie di religione ebraica).

 

Inizialmente, non si pensò al Medioriente come loro “nuova casa”, ma all’Africa e alle due Americhe. Solo in seguito - in quanto l’antica Palestina terra ebraica ai tempi del Regno di Israele e di Giuda - si decise di progettare il trasferimento di “ebrei” europei (Ashkenazim) verso quei territori.

 

Herzl cercò sostegno presso vari monarchi europei, in particolare rivolgendosi al Re Vittorio Emanuele II di Savoia, al Re Guglielmo II di Germania, ad Abdul Hamid II, sovrano ottomano e al Papa, i quali però gli rifiutarono tale aiuto.

 

Fu così che egli trovò appoggio presso potenti gruppi Ashkenazim dell’Europa orientale e diede vita alla prima “aliyah”, ovvero migrazione degli Ashkenazim in Medioriente.

Ve ne furono altre due, ma, in ogni caso, tali movimenti migratori iniziarono nel 1902 e continuarono fino al 1917.

 

In questi anni, in ciò che poi sarà lo Stato di Israele, vennero creati i kibbutz, delle comunità agricole israeliane di tipo collettivo-socialista; se il kibbutz è una creazione israeliana, non è affatto ebraica in quanto non è semita, ma Ashkenazim.

I semiti, essendo nomadi, non avrebbero potuto creare delle comunità di questo tipo: il collettivismo è un tratto marcatamente slavo.

Nel 1917, in pieno conflitto mondiale, la Gran Bretagna ebbe il governatorato sui territori palestinesi, allora sotto il dominio ottomano, sconfitto durante la guerra.

I Turchi Ottomani quindi vennero mandati via per cedere i loro territori agli “ebrei” in provenienza dall’Europa, secondo la richiesta di Herzl.

 

A questo proposito, il Primo Ministro britannico Balfour scrisse una lettera chiamata “Dichiarazione Balfour”, in cui la Gran Bretagna, attraverso il suo mandato in territorio palestinese (ex-ottomano), avrebbe ceduto tale area geografica agli “ebrei” migranti dall’Europa, specificando che ciò non avrebbe dovuto tuttavia arrecare alcun problema di convivenza con le altre popolazioni già residenti e non avrebbe dovuto in nessun modo negare diritti democratici di nessun tipo alle stesse.

 

Tale dichiarazione venne indirizzata a colui che era considerato il rappresentante, non degli ebrei, ma degli Ashkenazim sionisti: Lionel Walter Rothschild.

 

E tuttora questo cognome rappresenta nel mondo chi veramente tira le fila della politica e della finanza.

 

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il mandato britannico fu poi sostituito dalle decisioni della Conferenza di Yalta, in Crimea, dai capi di Stato Churchill (Gran Bretagna), Roosevelt (Stati Uniti) e Stalin (URSS), per definire il nuovo assetto geo-politico dell’Europa, e per fondare l’ONU, il cui compito, tra le varie questioni, consisteva anche nella creazione, per la prima volta nella storia, dello Stato di Israele, il quale vide la luce nel 1948, con a capo l’Ashkenazim polacco David Ben Gurion, sostenitore del Sionismo.

 

Sintomatico il fatto che egli optò per un cambio strategico di nome e cognome: egli decise di chiamarsi col nome ebraico “David Ben Gurion”, ma il suo vero nome era David Grün.

 

E lo stesso fecero i suoi successori Golda Meir, Ashkenazim ucraina, Primo Ministro negli anni Settanta, il cui vero nome era Golda Mabovi?, Shimon Peres, Ashkenazim polacco, Primo Ministro fino al 2014, il cui vero nome era Szymon Perski, e anche l’attuale Benjamin Netanyahu, che benché nato in Israele, tradisce nel suo vero cognome, Mileikowsky, origini allo stesso modo polacche Ashkenazim.

 

La medesima ombra incombe comunque anche sul trentaduesimo Presidente americano, Franklin Delano Roosevelt, il quale, discendente di una famiglia olandese, i Van Rosenvelt, si affrettò a dichiarare che “per fortuna non c’è sangue ebreo nelle nostre vene”. Da un lato apparentemente profondamente antisemita politicamente, dall’altro partecipò alla creazione dello Stato d’Israele a Yalta, e si circondò di ministri americani “ebrei” Ashkenazim.

Forse il cognome Van Rosenvelt, oltre a essere olandese, tradiva la vera origine della famiglia Roosevelt?

 

A partire dalla fondazione dello Stato israeliano, le prime rappresaglie da parte degli arabi iniziarono.

 

Bisogna in ogni caso precisare che varie porzioni di territorio erano già state vendute sia dalla Gran Bretagna che dagli arabi agli “ebrei”.

 

In questo contesto, il termine “arabo” è tanto più importante, in quanto i palestinesi non sono stati gli unici contendenti dei territori: anche gli egiziani sono sempre stati importanti attori in questi scenari, per i diritti rivendicati sul canale di Suez e la striscia di Gaza. Pertanto, la Guerra dei Sei Giorni vide coinvolti proprio loro contro gli israeliani.

Fu alla fine di tale conflitto che Israele vinse nuovi territori in Medioriente, infiammando sempre di più la questione palestinese.

 

Nel 1988 venne costituito ufficialmente lo Stato della Palestina, attraverso l’azione dell’OLP e di Yasser Arafat e facendolo garantire dall’ONU, senza però tuttavia specificarne i territori e i confini, anche se normalmente si individua lo Stato palestinese come situazione pre-1967, non considerando quindi i nuovi territori acquisiti da Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni.

 

Con i successivi Accordi di Oslo, vi fu un riconoscimento reciproco da parte di Israele e da parte della Palestina nel diritto di esistere e abitare i territori finora conquistati.

Infine, con il ritiro da Gaza degli israeliani e il passaggio al controllo palestinese negli anni 2000 ha portato a un progressivo acquietamento degli animi.

 

Se si pensa, tuttavia che la questione sia solo tra palestinesi e israeliani, si perde di vista il punto fondamentale: lo Stato di Israele non rappresenta uno Stato unitario.

Nato dagli Ebrei semiti abitanti il territorio conteso prima delle aliyhà e dagli Ashkenazim arrivati dall’Europa attraverso le aliyhà, il Paese possiede più identità e ciò rende la sua società tutt’altro che omogenea.

Come un tempo, vi erano le tribù, oggi vi sono dei gruppi conosciuti come Haredim, ultraortodossi; Datim, religiosi; Mosortim, tradizionalisti e Hilonim, secolari.

 

Tra questi, gli Haredim sono in aumento e costituiscono una sorta di entità privilegiata all’interno dello Stato, per cui sono soltanto loro a godere di diritti e benefici che al resto degli israeliani non sono accessibili.

 

Essi sono “ebrei” Ashkenazim che spingono verso uno Stato teocratico, e appartenenti al Chassidismo.

 

I Chassidici sono Ashkenazim ultraortodossi il cui movimento nacque in Polonia (quindi non Medioriente) da Ashkenazim, attraverso cui fu promossa lo studio della Kabbalah come punto fondamentale del loro “ebraismo”.

 

A parte questa frangia in Israele, negli Stati Uniti il distretto di Borough di New York è il centro degli “ebrei” Ashkenazim Chassidici, i quali come tratto distintivo, oltre a essere vestiti totalmente di nero e portare enormi cappelli dello stesso colore, le basette si allungano in folti ricci e boccoli, tradizione solo della loro comunità, e non degli ebrei semiti.

 

In effetti, si tratta di un vero e proprio microcosmo, sia negli Stati Uniti che in Israele, separato dal resto della popolazione e dagli altri ebrei - sia nel vero senso del termine, quindi semiti, che “ebrei”, ovvero Ashkenazim - per cui più si sentono una élite ristretta e ben distinta da tutti gli altri e più sono intransigenti e tradizionalisti, avulsi dallo Stato israeliano.

 

Si sa, però, che la guerra opera da collante, soprattutto quando un Paese è così diviso, come nel caso di Israele e riportare a galla i vecchi attriti con il mondo arabo può essere un’ottima soluzione, per condurre tutto il Paese verso l’Ashkenatizismo e riavvicinarlo agli Stati Uniti.

 

Forse non tutti sanno che, in realtà, allo scoppio del conflitto Russia-Ucraina, Israele aveva deciso espressamente di non parteciparvi.

 

Vista la vicinanza politica agli Stati Uniti, l’Ucraina stessa si aspettava un intervento da parte sua, anche in virtù delle radici Ashkenazim di parte della popolazione.

 

Ma è altrettanto vero, tuttavia, che molti di questi Ashkenazim sono in realtà di origine russa, non solo ucraina, e per Israele non sarebbe stato possibile andare contro i suoi stessi cittadini.

 

Un altro importante fattore è costituito dal fatto che Israele è in ogni caso posizionato in Oriente, ed è, volente o nolente, fondamentale avere delle buone relazioni con i vicini di casa, principalmente Arabia Saudita, Cina, Giappone, India, Iran e Turchia, paesi verso i quali (Cina e Turchia a parte) vi era stato un avvicinamento da parte degli Stati Uniti (durante l’amministrazione Obama verso l’Iran in particolare).

 

Tuttavia, col succedersi dei veri governi americani e del progressivo allontanamento dall’Arabia Saudita da parte degli stessi, poiché gli Stati Uniti hanno quasi del tutto cessato di importare petrolio da questo Stato, la presenza statunitense in Asia è sempre più diminuita, finendo non solo per perdere il controllo sul continente, ma perdendo terreno anche nello stesso Israele, al quale, adesso sarebbe stato molto più conveniente tenere il passo con i Paesi vicini di casa: lo sarebbe stato se non si fosse ricominciato il conflitto con i palestinesi.

 

Adesso, Israele è per forza sulla strada di ritorno all’ovile americano.

 

Quindi, oltre a utilizzare questo conflitto per distrarre le masse affinché dirigano la loro attenzione verso questa guerra e si dividano ancora una volta per prendere queste o quelle parti, nell’attesa che essa stessa si faccia privare dei diritti elementari, se non persino della vita e della libertà, ritorna il leitmotiv del finto baluardo dei valori occidentali in pericolo e da difendere a ogni costo.

 

Nel frattempo, gli Stati Uniti, in profonda crisi economica e sociale da diverso tempo, possono tornare a dire la loro in Medioriente e non solo; sorretti, naturalmente, dalle potenti lobby Ashkenazim e Chassidiche presenti nel Paese.

 

A questo proposito, sembra molto strano che Hamas, il movimento fondamentalista islamico palestinese, proprio in questo momento abbia deciso di spargere attentati in Israele e che l’Isis abbia rivendicato l’attentato a Bruxelles, la casa dell’Unione Europea.

 

Attenzione solo a un piccolo particolare: nella fiaba il lupo si era travestito da nonna di Cappuccetto Rosso.

 

 

Silvia Licata (1974), laureata in lingue e letterature straniere con indirizzo filologico, vanta un curriculum di tutto rispetto non solo per l’ampiezza delle materie approfondite, ma soprattutto per la “policromia” degli interessi. Oltre a un italiano preciso e accurato parla correntemente inglese, francese, spagnolo, tedesco e russo. L’articolo scritto per Civico20news ne è prova lampante.

 

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Articolo pubblicato il 28/10/2023