L’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso

Un tesoro per Buttigliera Alta (Torino) (di Alessandro Mella)

Tra Rosta e Buttigliera Alta (Torino) sorge un magnifico monumento, un complesso spesso considerato ingiustamente minore, ma di grande valore storico. L’Abbazia o Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

Uno scrigno di storia che, pur sorgendo ancora nella pianura piemontese, guarda già verso la Valle di Susa che di quella storia molta ne vide passare per le sue vie e valichi.

Di questa meraviglia troviamo una sintetica ma efficace descrizione nei celebri volumi di Strafforello:

Frazione di Buttigliera Alta è Sant'Antonio di Ranverso, luogo rinomato per la presenza di un monastero e di un ospedale detto dei Pellegrini, di proprietà dell'Ordine Mauriziano, il quale possiede una larga zona di terreni coltivati a prati, a campo ed a bosco.

La chiesa, già collegiata, fu per ben 25 anni tenuta in cura, per quanto è possibile, dal cappellano can. D. Quartino Luigi, raccoglitore operosissimo delle memorie riguardanti quel monumento.

Appartiene al secolo XII; ed una iscrizione riguardante la fondazione del monastero esiste sotto il vestibolo.

È monumento importantissimo per l'architettura gotica della facciata e per le pitture del secolo XV di sommo riguardo. Nell'altare maggiore esiste una pala, restaurata di recente, in cui vedesi effigiata la Natività di Gesù opera pregevolissima di Defendente Deferrari (1531). Nella sagrestia sono dipinti murali del secolo XV, cioè, nella volta, i Quattro dottori della Chiesa, e nel muro la Salita del Redentore al Calvario, notevolissimi per interesse storico artistico. Ivi, porte e facciata dell'antico ospedale, già dei monaci Antoniani, di stile gotico ricchissimo, in terra cotta. (1)

La struttura ebbe le sue prime fasi già verso la fine del XII secolo, nel 1188, quando il conte Umberto III di Savoia volle unire il nome di Sant’Antonio all’espressione latina rivius inversus riferendosi ad un vicino canale.

Tuttavia, pare che un piccola cappella ivi sorgesse fin dalla meta del XII secolo, dal 1156 circa. Ma la scelta dei Savoia fu saggia e non casuale poiché il luogo era assai pratico, trovandosi lungo la via francigena, per ospitare pellegrini e genti di passaggio e dar conforto ai moribondi con un lazzaretto.

Quest’ultimo giocò un ruolo chiave nei secoli successivi quando divenne un prezioso presidio nella lotta contro le epidemie di peste che sconvolsero l’Europa.

Numerosi furono, comunque, i rimaneggiamenti, come quello del 1470, che furono apportati alle strutture nei secoli al fine di adeguarle alle mutevoli necessità ed esigenze pur senza snaturarne gli scopi originali.

Tuttavia, il potere stesso dell’abbazia subì uno scossone notevole quando, nel 1776, l’ordine degli Antoniani venne sciolto ed il papa Pio VI assegnò il complesso all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Quest’ultimo, comunque, non mancò ovviamente di condurlo con saggezza ed onestà d’intenti.

Sulla fine del XIX secolo, finalmente, grazie all’opera benemerita del prodigioso Alfredo D’Andrade il complesso fu restaurato una prima volta per poi beneficiare di ulteriori interventi qualche anno dopo per interessamento di Cesare Bertea. Eccone una descrizione degli anni ’30:

Non si addensano più cupe foreste tra Rivoli e Avigliana, come era nel medioevo, né la Dora disordina dal letto amplissimo ad allagare il fondo valle: i colli sono dolci e chiari, il fiume costringe in un alveo ragionevole le sue acque impetuose, e, a fianco della ferrovia, una magnifica strada asfaltata permette di giungere a questi luoghi da Torino, in pochi minuti d'automobile.

Pure, malgrado l'amenità del sito quasi alle porte della città, nonostante la facilità di pervenirvi con qualsiasi mezzo, ad onta del raro pregio artistico e storico del monumento, non sono molti i torinesi che visitano l'antica Abbazia di S. Antonio di Ranverso.

La scomparsa di Paolo Boselli che - reggendo l'Ordine Mauriziano al quale appartengono i resti dell'Abbazia - volle e curò il restauro di questo nostro gioiello, ci ha ricondotto alla mente la rosseggiante visione di Ranverso e mosso il desiderio di rivedere ciò che rappresenta uno dei più bei saggi dell'arte medioevale in Piemonte.

Siamo quindi tornati a goderci il romito luogo di sogno, approfittando della grata temperie che la primavera già ci largisce nei suoi primi pomeriggi.

S. Antonio di Ranverso è situato sulla sinistra dello stradone di Susa, nel trattò che corre tra Rivoli ed Avigliana; e chi volesse andarci in ferrovia può discendere alla stazione di Rosta, poche centinaia di metri distante. Ai piedi della collina, in luogo tuttora solitario, spiccando pei colore sanguigno dei vecchi mattoni, si eleva l'elegante campanile e il fascio di guglie della celebre Abbazia.

Non è questo il luogo per tracciare, sia pure in succinto, la storia di S, Antonio di Ranverso. Diremo solo che fu fondato nel 1188, dal conte Umberto III di Savoia, che allora teneva corte e dimora nel castello di Avigliana.

Erano tempi tristissimi quelli: guerre, miserie, carestie, pestilenze, ogni sorta di flagelli, desolavano l'Europa. Fra i morbi ce n'era uno diffusissimo, causato dalle farine guaste e dalle granaglie avariate dalla segale cornuta. Poiché esso produceva cancrena e distruggeva i tessuti come carbonizzandoli, il popolo lo chiamò fuoco sacro.

Infierendo, dopo il 1100, il fuoco sacro anche nella valle di Susa, Umberto III, detto il Bello, reduce dalla Crociata, volle erigere un ospedale con annessa chiesa e convento. In tal modo nacque Ranverso, così nominato dalla regione, ove correva un ruscello (…). Fu affidata all'Ordine degli ospitalieri antoniani, che numerosi ospedali conducevano in altre città italiane. Queste case passarono col tempo tutte alle dipendenze di Ranverso, che assunse il titolo di Precettoria generale per l'Italia.

L'ospedale sorgeva isolato dalla chiesa e dal convento, e deturpata, diroccata, semi-interrata, ma pur sempre ammirevole per l'armonia delle linee e la finezza delle decorazioni - ne è ancora visibile la fronte.

Sui pinnacoli di questa, come sulle cuspidi, sul campanile, sui medaglioni della chiesa, è scolpita o infissa la lettera greca T (tau), simbolo e distintivo dei monaci di S. Antonio Abate (…).

Che dire della chiesa? Originariamente di stile romanico, essa fu più volte ampliata e modificata. Nel secolo XV fu quasi del tutto rifatta in istile gotico-normanno, e tale si presenta la facciata, con le sue tre porte ogivali ornate da plurime cornici di ricchissime terracotte. Ma S. Antonio di Ranverso bisogna osservarlo, scoprirlo in tutti i suoi particolari.

Vedere gli affreschi di varie epoche rimessi in luce dentro la chiesa, ammirare il prezioso polittico di Defendente Ferrari che troneggia sull'alter maggiore, visitare i vivaci dipinti della sacrestia. Ad ogni passo una sorpresa. I capitelli e le mensole del pronao sono ancora quelli romanici, ed in essi si riscontrano strane figurazioni di uomini difformi, di bestie e di mostri (…). (2)

Tra le tante sventure della storia vi fu anche il tentativo, poi vanificato dalla benemerita opera di recupero dei carabinieri, di rubarne i preziosi cimeli che, per fortuna, tornarono poi al loro posto dopo soli due mesi di indagini serrate:

Il patrimonio artistico del Piemonte ha perso una delle più note opere di Defendente Ferrari. Quattro delle cinque tavole che componevano il polittico firmato e datato 1531 sono state rubate l'altra notte nella gotica abbazia di Sant'Antonio di Ranverso.

Un furto su commissione, eseguito da mani esperte con la collaudata tecnica di specialisti. Ingente il valore delle quattro tavole raffiguranti i santi Sebastiano, Antonio, Rocco e Bernardino da Siena: qualcuno ha parlato di decine, altri di centinaia di milioni.

Anche se non sarà facile piazzare sul mercato simili opere, preoccupa una coincidenza. Il furto è stato commesso durante lo sciopero del personale addetto al controllo di frontiera. Le quattro tavole sono già oltre i confini?

L'abbazia, nel comune di Buttigliera Alta, è a due ore di auto dal Moncenisio. Dopo il furto, i ladri potrebbero aver preso subito la strada nazionale ed aver posto al sicuro il prezioso bottino in Francia.

L'antica abbazia è a metà strada tra Rivoli e Avigliana, cinquecento metri a sinistra rispetto la statale per il Moncenisio. Appartiene all'Ordine Mauriziano. Vicino alla chiesa, splendida reliquia di gotico, sorgono cascine e un palazzo abitato dal cappellano don Mario Piccot, dipendenti e funzionari dell'Ordine.

Tra questi, il sindaco di Buttigliera Alta, dott. Rollè.

L'abbazia è circondata a nord e a sud da un muro, a ovest da cascine, a est da un'inferriata sulla quale s'apre un cancello, tenuto chiuso a chiave con un lucchetto. Nella chiesa, nessun dispositivo anti-furto, nessun segnale d'allarme. Entrarvi non è impresa ardua. L'abbazia è quasi isolata, pochi i passanti durante il giorno, quasi deserta la zona di notte.

Come sono penetrati in chiesa i ladri? Tranciato il lucchetto del cancello, forzata l'inferriata di una finestra, si sono trovati in sacrestia calandosi attraverso un'apertura di circa quaranta centimetri.

Nessuna difficoltà per passare dalla sacrestia nella chiesa.

Le quattro tavole del polittico che è sopra l'altare, erano sostenute da tasselli di legno fissati con viti. I ladri hanno agito con estrema precisione, da «professionisti». Per levare i supporti e calare le tavole non hanno fatto una scalfittura né lasciato impronte.

Se ne sono andati dalla porta della sacrestia dopo aver forzato la serratura.

Impossibile precisare l'ora dell'impresa. Il cappellano, i funzionari e dipendenti del Mauriziano che abitano nell'attiguo palazzo, come i coloni, non hanno sentito alcun rumore. Il furto è stato scoperto alle dieci, ora d'apertura al pubblico dell'abbazia, da don Piccot. Dopo aver telefonato ai carabinieri il sacerdote s'è sentito male ed è dovuto tornare a letto. S'è ripreso nel pomeriggio dal leggero malore.

Ha commentato: «Non credevo che si arrivasse a una simile impresa». (3)

Oggi la precettoria è ancora affidata alla gestione dell’Ordine Mauriziano che, grazie a validissime guide, permette la visita dei suoi tesori nascosti e delle sue bellezze. Come, da non trascurare, la magnifica Cascina Ranverso un tempo parte delle proprietà del complesso stesso ed oggi restaurato e rinomato agriturismo.

Alessandro Mella

NOTE

1) La Patria – Geografia dell’Italia, Volume II – Provincia di Torino, Gustavo Strafforello, Unione Tipografico Editrice, Torino, 1891, pp. 356-358.         

2) La Stampa della Sera, 71, Anno LXVI, 23 marzo 1932, p. 2.

3) La Stampa, 76, Anno CVII, 30 marzo 1973, p. 8.

 

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Articolo pubblicato il 13/12/2023