Il ruolo dei cannabinoidi nelle interazioni sociali e sul consumo di patatine fritte.

Perché siamo socievoli?

Perché riusciamo a provare sensazioni di piacere nelle relazioni sociali?

Che cosa c’entrano le patatine fritte con tutto questo?

Esiste un neurotrasmettitore caratterizzato da componenti simili ai cannabinoidi contenuti nella marjuana dal nome esotico: l’anandamide. Se pensiamo che ananda in sanscrito e quindi nello yoga significa beatitudine, tutto è detto, no?

L’anandamide viene stimolato dall’ormone ossitocina (è quell’ormone che ci fa trasalire alla vista di un elemento attraente, sensuale, emozionalmente appetitoso) nel nucleus accumbens (il luogo di smistamento del piacere).

Questo è quanto è stato portato alla luce da uno studio condotto da Daniele Piomelli dell'Università della California a Irvine e dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova, e colleghi di una collaborazione internazionale e pubblicato su "Proceedings of the National Academy of Sciences".

Grazie alla ricerca, Piomelli e colleghi hanno scoperto il collegamento tra anandamide e ossitocia. Hanno infatti dimostrato che nel nucleus accumbens, i livelli di anandamide aumentano quando l'animale (topino) è in contatto con i propri simili, mentre diminuisce quando è isolato, stabilendo un collegamento tra la sostanza e il comportamento sociale.

Avendo caratteristiche cannabinoidi l’anandamide, stimolato dall’ossitocina, migliora la comunicazione interpersonale e diminuisce la percezione di ostilità nei piccoli gruppi come avviene assumendo la marjuana. Si è così potuto dare un perché in presenza di anandamide si è più gioviali.

A sì Giove.

Il Dio dell’ospitalità, della condivisione, rappresentato nella sua immensa struttura corporea tra il sovrappeso e l’obesità.

Ed è qui che entrano in gioco le patatine fritte.

Gli stessi ricercatori dello studio precedente hanno anche scoperto l’interazione tra la stimolazione di endocannabinoidi e assunzione di patatine fritte.

Mangiando una patatina fritta, subito dopo si sente l’irrefrenabile impulso di mangiarne una seconda una terza, una quarta e così via.

Di chi è la colpa? Degli endocannabinoidi.

Questa volta però sono stimolati a riprodursi e mettersi in circolo dalle cellule dell’intestino tenue.

In effetti Piomelli ha osservato che, dal punto di vista evolutivo, c'è una necessità impellente per gli animali ( e l’uomo è un animale sociale della classe dei mammiferi) di consumare i grassi che, cruciali per il buon funzionamento delle cellule, sono però piuttosto scarsi in natura. 

Quindi per prassi ed esigenza evolutiva siamo propensi a mangiare sostanze grasse e unte.

Tuttavia ciò che in natura è difficle da reperire, per l’uomo “civilizzato” non lo è affatto.

Così il piacere dato dall’ingestione dei grassi provoca disturbi e malattie per il loro eccessivo consumo quali in diabete, obesità, neoplasie.

Tirando le somme, se si mangiano patatine fritte in compagnia, per il cervello è come farsi una canna, no?

 

Sergio Audasso

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Articolo pubblicato il 16/11/2015