E' tempo di bilanci

Dopo due anni di governo, qual è il bilancio del governo Renzi?

La crisi del 2008 sembrerebbe essere passata, e alcuni dati, a partire dal PIL e dall’aumento dei contratti a tempo indeterminato, danno segnali positivi, anche se rimane il dubbio, il forte dubbio, che la crescita dello zero virgola, che ci insegue da anni, consegni l’Italia a un futuro nel quale ci vorranno vent’anni per tornare a livelli precrisi.

Il governo di Matteo Renzi, insediatosi ormai da due anni al posto del “rottamato” Enrico Letta, ha certamente messo mano in molti settori dalle riforme costituzionali al mercato del lavoro ed è possibile tracciare un bilancio per fare il punto su cosa è stato fatto e su cosa di più e meglio si sarebbe potuto fare.

Dopo anni di decrescita, il 2015 ha fatto finalmente segnare al nostro PIL il segno positivo grazie a quello 0,6% che, a sentire il Premier, è stato possibile raggiungere grazie alle riforme.

Tutto ciò è parzialmente vero, nel senso che, certamente, dopo il quinquennio di crisi profonda, iniziato nel 2008, non era difficile ipotizzare il segno positivo del prodotto interno lordo con dollaro basso, petrolio ai minimi e quantitative easing della BCE.

Il piatto forte del governo Renzi è stato indubbiamente lo sventolato Jobs Act (che si sarebbe potuto anche chiamare in italiano ma se pensiamo all’orribile step child adoption di questi giorni, accontentiamoci!).
Attraverso gli sgravi fiscali da un lato e i contratti a tutele crescenti dall’altro, la nuova riforma del lavoro è riuscita nell’intento di avere oggi in Italia più dipendenti a tempo indeterminato, anche se molti di essi sono lavoratori che hanno cambiato il proprio contratto da precari a indeterminati, ma tutto ciò ha influito meno sui nuovi assunti, il che dimostra che non c’è molto lavoro in più di prima, ma solo la buona opportunità per le imprese di tenersi lo stesso lavoratore ma offrendogli un contratto più stabile.

Sempre in tema di lavoratori, c’è da ricordare il fatidico aumento di 80 euro in busta paga per chi guadagna entro una certa cifra, con l’intento di dare ossigeno a chi ha meno e che così può spendere di più facendo ripartire l’economia, cosa avvenuta solo parzialmente visto che dopo anni di crisi quando si ha qualcosa in più si è maggiormente tentati psicologicamente a mettere fieno in cascina piuttosto che a spenderlo.

Sul tema del Fisco ci sono state le promesse più eclatanti, con il taglio dell’Irap, la cancellazione dell’Imu, la possibilità di pagare in contanti non sino a 1000 ma addirittura 3000 euro perché secondo il Premier “c’è molto contante in giro, allora è meglio che entri in circolazione senza troppe restrizioni” (magari ci si sarebbe dovuti chiedere perché tante persone abbiano nel portafoglio così tanti liquidi visto che per le cifre grosse siano accrediti di stipendi che fatture si possono più agevolmente pagare trasparentemente con transazioni).

Sulle riforme costituzionali ed elettorali, sicuramente la svolta si è rivelata positiva, anche se con alcuni dubbi da parte delle opposizioni.

Per quanto concerne il Senato, esso verrà abolito con riferimento alla sua tradizionale connotazione, nel senso che non sarà più indispensabile durante la procedura legislativa, dal momento che scomparirà il bicameralismo perfetto, così come ormai avviene nella maggior parte delle democrazie occidentali.

Il Senato sarà solo più composto da rappresentanti regionali e qui nasce il primo dubbio: perché un sindaco, ad esempio, dovrebbe recarsi di tanto in tanto sino a Roma per svolgere il doppio lavoro e per di più non pagato come senatore?

Chi è contro l’abolizione del bicameralismo perfetto sostiene che la perdita di un ramo del Parlamento significhi una diminuzione di democrazia, quando in realtà bisogna ricordare quante volte il continuo rimpallare di leggi a più lettura tra una Camera e l’altra ha rappresentato una certa farraginosità nella macchina legislativa.

Purtroppo, il nostro Paese si trascina dietro i postumi di quella dittatura che ci aveva portato a creare un impianto costituzionale dei così detti pesi e contrappesi e miriadi di partiti (che in parte ancora ci affligge) per evitare derive dittatoriali od oligarchiche che a distanza di settant’anni non hanno probabilmente più molto senso.

Sulla riforma elettorale, l’ipotesi di portare alle politiche il sistema del ballottaggio come nelle amministrative sembrerebbe cosa buona. Dopo decenni di pentapartito, già Berlusconi aveva avuto la buona idea di mettere un premio di maggioranza per chi avesse vinto le elezioni, in modo da dare più governabilità al partito/coalizione che avesse vinto. Purtroppo, il nuovo impianto elettorale si dimostrò incostituzionale poiché “regalava” troppi seggi a chi avesse vinto le elezioni senza arrivare al 50% dei voti.
Con la nuova proposta del ballottaggio, il governo intende dare il premio a chi ottiene, ovviamente, il 50% più un voto, dal momento che al ballottaggio andrebbero solo due contendenti.

Sul fronte della spending review, si era partiti con circa 20 miliardi per poi ridimensionarsi a circa 5. Dei tagli promessi si è poi visto sino ad ora molto poco, con la maggior parte degli interventi tesi a colpire soprattutto le Regioni e la Sanità.

Poi è stata la volta della riforma della scuola, con assunzione di nuovi insegnanti e un gruzzolo di 500 euro a professore per la propria autoformazione; recentemente la lunga riflessione sui diritti per le unioni omosessuali e la step child adoption; la riduzione da tre anni a sei mesi per divorziare (in perfetta linea con gli altri Paesi europei); per finire con l’ennesima promessa di riuscire a terminare alcune opere infrastrutturali importanti e ataviche come la Salerno – Reggio Calabria.

Purtroppo, come sempre, ci sarebbe ancora molto da fare sul fronte delle liberalizzazioni che, dopo la riforma Bersani di alcuni anni fa, si sono praticamente arenate, dal momento che avvocati, farmacisti e notai restano potentissime lobby che difficilmente si riesce a scalfire.
E così ancora oggi l’idea della liberalizzazione delle licenze per la vendita di prodotti di fascia C anche nelle parafarmacie si è arenata, così come la concorrenza sui trasporti su rotaia, visto che oltre a Trenitalia c’e’ solo Ntv che però ha poche corse giornaliere e da qualche mese si è ormai disinteressata dei pendolari cui anche Trenitalia non guarda più con molto interesse.
Dopo anni di semi-immobilismo della politica italiana, molto si sta muovendo su temi come divorzio, unioni civili, riforma del lavoro, sgravi irap alle imprese, riforma del Senato, che venivano regolarmente rimandati da tempo e sui quali, invece, il nostro Paese avrebbe dovuto metter mano prima.

Restano, come spesso accade in politica, dubbi su come gli argomenti siano stati affrontati e le soluzioni che questo governo ha voluto portare in campo, ma almeno c’è la consapevolezza che si siano voluti affrontare alcuni nodi cruciali che venivano scansati in passato, e il fatto che al ponte di comando vi sia un governo “misto” con Pd assieme a Ncd è la dimostrazione, speriamo, che si sia entrati in una nuova fase in cui una sorta di nuova assemblea costituente voglia delineare l’abbozzarsi di una Terza Repubblica capace di trascinare la nave Italia fuori dalle secche della crisi: che ci si riesca è ancora tutto da dimostrare.

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Articolo pubblicato il 26/02/2016