La logica del piuttosto che

Il mal comune mezzo gaudio endemico del Belpaese continua a proliferare

In questi giorni, stiamo assistendo a due situazioni cui siamo ahimè abituati da sempre, ossia la pratica dell’essere contro qualcuno o qualcosa a prescindere.

Da qualche settimana, dopo che il Premier Renzi ha personalizzato il referendum sulla riforma costituzionale dicendo che se non vincerà il sì lascerà il proprio ruolo di Presidente del Consiglio, non si fa che vociferare sulla possibilità che molti, pur essendo d’accordo con la riforma di modernizzazione dell’assetto Parlamentare, potrebbero votare no pur di mandare a casa l’ex sindaco di Firenze.

L’atteggiamento sembra ripetersi anche in questi giorni che precedono il ballottaggio per i sindaci di Torino, e Roma, peri i quali si ventila la possibilità che chi aveva votato a destra al primo turno possa dare il voto al candidato del M5S piuttosto che a quello del PD pur di dare un segnale di dissenso al Premier.

Senza entrare nel merito sia delle capacità dei singoli candidati nelle due grandi città, sia del contenuto della riforma costituzionale che in primis prevede di fatto l’abolizione del bicameralismo perfetto rendendo il sistema legislativo più “snello” come in moti Paesi europei, è doveroso riflettere sul fatto che decidere chi governerà due delle principali città italiane per i prossimi cinque anni e decidere quale sarà il nuovo assetto camerale che rappresenta un cambiamento epocale per la nostra Costituzione non dovrebbe diventare la guerra contro qualcuno o qualcosa, bensì la capacità di comprendere cosa e chi sia più giusto per noi in futuro, visto che comunque il Premier finirà tra un paio d’anni il proprio mandato, mentre i sindaci e la riforma costituzionale influenzeranno la vita del Paese per gli anni a venire.

Qualche giorno fa, ha dato scalpore il fatto che Alessandra Mussolini abbia rivelato di aver fatto di tutto purché Giorgia Meloni non vincesse, pur essendo di destra, poiché questa era la sua missione.

L’atteggiamento del tanto peggio tanto meglio, spesso adottato appunto in politica, trae probabilmente le sue origini in ambito calcistico, dove talvolta i giocatori non si applicano al meglio facendo perdere punti alla squadra pur di far sì che l’allenatore venga cacciato, oppure quando molti tifosi “gufano” contro un club italiano arrivato magari in una finale europea poiché o è la loro maglia a vincere oppure nessun’altra (neanche quella di un’altra squadra italiana).

Ricordo anni fa, di come qualcuno sperasse che Milano non vincesse la candidatura all’Expo poiché in fondo è già una città in vista e sarebbe stato meglio candidare altre città oppure che l’Expo non venisse affatto allestito in Italia.

La filosofia, dunque, del mal comune mezzo gaudio è una mentalità piuttosto diffusa, che se da un lato dà piccola e misera soddisfazione, dall’altro si rivela assai poco lungimirante.

Il tutto, forse, ha a che vedere con la nostra neonata Repubblica che ha solo poco più di un secolo e mezzo, una Repubblica nella quale guelfi e ghibellini mirano più ai propri piccoli interessi piuttosto che a quello generale del Paese (in politica, nel calcio, nel successo regionale) ricalcando in qualche misura ciò che accade anche in Europa, dove le differenze territoriali, culturali, linguistiche rischiano di essere un punto di debolezza del Vecchio Continente, mentre dovrebbero essere delle leve di successo, ora che, dopo millenni di guerre, viviamo il primo secolo di pace.

L’Italia appare un Paese difficile da salvare, anche perché disgregato al suo interno a causa di odi, invidie, gelosie, spesso anche violente, che non portano a nulla.
La Nazionale italiana ha bisogno del sostegno di tutti nel difficile compito di andare avanti in questi Europei di calcio e ci auguriamo che non accada come al solito che qualcuno speri che esca al primo turno perché ci sono troppi juventini o interisti, perché l’allenatore non piace, perché è stato scelto quel giocatore invece dell’altro, poiché in fondo, come cantava Gaber, “io non mi sento Italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”.



Marco Pinzuti


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Articolo pubblicato il 12/06/2016