Racconto: "Il giocatore" - Epilogo

Tra Cina e Giappone i rapporti sono sempre stati tesi

"Il giocatore" - Epilogo

Quando ero vicino alla mia sposa non sentivo nessun bisogno di essere rincuorato, ero sempre sereno. Ma nella sua cultura esiste il sentimento della vicinanza verso chi soffre, o anche semplicemente nei confronti di chi è triste e malinconico. Pur tuttavia, questo nobile sentimento veniva rivolto verso le persone della propria etnia, mentre verso il nemico non v'era nessun sentimento di misericordia. Era infatti nota la crudeltà dei giapponesi, così come il loro orgoglio, che li obbligava persino a morire pur di difendere la loro bandiera, come nel caso sentissero di avere mancato ai loro obblighi morali. 

Se dovevo assentarmi, anche per poco, Wan mi aveva suggerito di recitare un vecchio detto giapponese nel caso in cui percepissi qualche turbamento, e che seguivo alla lettera : “ Genki kubari. Egao kubari “ ( Sii generoso con la tua energia. Sii generoso con i tuoi sorrisi ).

La disputa odierna aveva tutte le caratteristiche per recitare questo "gou", l' equivalente giapponese di un mantra, e cominciai a ripeterlo dentro di me, senza muovere le labbra.

Il combattimento proseguiva senza esclusione di colpi, ma io avevo in più la motivazione dell' amore per Wan e della sua liberazione. Il mio avversario, invece, poteva solo sfoggiare le sue capacità di combattente per difendere l' orgoglio nazionale, ma mi parve che ciò non fosse affatto sufficiente a motivarlo attraverso i suoi più intimi sentimenti.

Rinvigorito dalle sensazioni prodotte dal pensiero di Wan, e dal suo gou, cominciai a prendere il sopravvento sull' avversario, che sudava copiosamente e quasi tremava nel vedermi così deciso e combattivo. Woo era in chiara difficoltà, aveva perduto la brillantezza della sua entrata in campo contro di me.

Il pubblico cominciò a fischiare il suo beniamino, che continuava a cedere punti. Il tempo scorreva veloce, e man mano vedevo Woo sbagliare sempre più colpi. Ebbi la sensazione che non poteva farcela contro di me, aveva perso lucidità e destrezza. Io lo colpivo nei suoi punti del corpo più sensibili, ripetutamente. Egli, invece, abbassando la guardia per la stanchezza  li metteva allo scoperto, come lo erano i suoi nervi a fior di pelle. Era questo il suo punto debole: il timore di una sconfitta che lo avrebbe declassato nella gerarchia degli onorevoli maestri di Aikido della sua nazione. 

A quel punto l' arbitro, conscio del pericolo di un' eventuale sconfitta disonorevole del compatriota, fermò il combattimento per manifesta inferiorità di Woo, evitandogli una débacle ancora più dura.

Nel momento della premiazione tremavo anch'io.

Il pubblico stava seguendo tutta la scena in silenzio. Ebbi la sensazione che non avevo sconfitto l' avversario, ma tutto il suo popolo che egli rappresentava. Forse mi stavo sbagliando, il popolo giapponese è troppo orgoglioso per dimostrare qualsiasi sentimento negativo, specialmente in occasione di una prova dura come un combattimento tra due maestri di arti marziali quali eravamo noi due.

Non passò molto tempo che Wan venne condotta davanti a me. Mi abbracciò sussurandomi le parole più dolci che io abbia mai sentito in vita mia.

Ma la malasorte mi colpì ancora. Le autorità giapponesi, inviperite dall' esito dell' incontro che metteva in cattiva luce il Giappone, la liberarono dalle accuse di spionaggio, e la trattennero a Kyoto accusandola di sostenere i loro nemici giurati, noi cinesi.

Lei non fece scorrere nemmeno una lacrima dal suo bel viso, mentre io mi disperavo e piangevo.

Cominciai a studiare un nuovo piano per liberarla, questa volta in modo più drastico.

Stavo architettando la sua liberazione con armi vere: oramai lo sport non stava più svolgendo la sua funzione mitigatrice delle tensioni tra i Paesi. Avevo lasciato a casa la mia spada d' acciaio con l' elsa d' argento che, appena ripresa in mano, diventò la mia migliore amica per affrontare il nemico, insieme ad un manipolo di guerrieri miei amici.

L' intento proditorio non venne fatto conoscere ai miei compatrioti.

Quando tornai a Kyoto per liberarla, non trovai che pochissimi guardiani al carcere dove era rinchiusa, ed avemmo facilmente ragione di loro. I miei compagni non mi chiamavano più “ Il giocatore”, ma mi soprannominarono “ Il vincitore”.

Riuscimmo ad imbarcarci fortunosamente su di un veliero che faceva rotta verso la Cina.

L' avventura finì con il nostro ricongiungimento, ma la storia ebbe un seguito drammatico. I nostri due Paesi stavano cercando un pretesto qualunque per scatenare una guerra tra di loro, cosa che avvenne. Nessuno pensava che la pace si sarebbe protratta a lungo, troppe erano le tensioni tra i nostri due Paesi. Io ero stato soltanto una pedina nelle mani dei politici, che avevano organizzato l' incontro sportivo sapendo benissimo che si sarebbe concluso male, sia nel caso avessi vinto io che l' avversario.

Molti, molti anni anni prima una vicenda analoga alla mia era avvenuta per la guerra di Troia quando Elena, la donna più bella del mondo, rapita da Paride il troiano, venne riportata a Sparta da suo marito Menelao dopo una guerra durata dieci anni.

La storia si ripete, e le donne ne sono sempre state protagoniste.


CDM- 20/01/2014- 'Il giocatore' - Epilogo

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Articolo pubblicato il 28/01/2017