TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: gli “amanti diabolici”

Per parlare di “amanti diabolici” presentiamo la ricostruzione di una classico caso giudiziario francese, noto come “La Venere di Gordes”, dal soprannome attribuito alla protagonista femminile

LEGGI L'ARTICOLO "GEMELLO" DEL TANDEM
TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: "Amanti diabolici" nei film

Lei, lui e l’altro, è una combinazione ricca di premesse per trame criminali, sia nella realtà che nella fantasia dei romanzieri. Quello delle coppie di amanti che tolgono di mezzo il marito è un crimine che non passa mai di moda, per il quale i mass media hanno coniato l’espressione “amanti diabolici”.

Sono casi reali quello del “bitter alla stricnina”, avvenuto ad Arma di Taggia (Imperia), il 25 agosto 1962, quello noto come “delitto Ballerini-Pan”, accaduto a Torino il 20 luglio 1972 ricostruito da Claudio Giacchino nel suo libro “Amanti coltelli - Ballerini-Pan, il delitto che appassionò l’Italia” (Torino, 2000) e quello della “Circe della Versilia”, successo nella notte tra il 16 ed il 17 luglio 1989 a Forte dei Marmi.

Per parlare di “amanti diabolici” presentiamo la ricostruzione di una classico caso giudiziario francese, noto come “La Venere di Gordes” dal soprannome attribuito alla protagonista femminile, perché questo episodio criminale ha avuto significative ricadute letterarie.

Nella Provenza, nel dipartimento della Vaucluse, lo splendido villaggio di Gordes, arroccato su uno sperone di roccia, è ancor oggi considerato uno dei più belli di Francia. La nostra storia si svolge nella pianura alla base dello sperone roccioso, in un casale chiamato, all’uso provenzale, la Bastide-Neuve.

Il 24 dicembre alla Bastide-Neuve la coppia di sposi protagonisti della nostra storia sta celebrando in famiglia la vigilia di Natale: il marito e padrone di casa è Théophile Auphan detto “Adrien” di 26 anni, che ha sposato, cinque anni prima, Fortunée Beridot, di 25 anni. Gli sposi abitano alla Bastide-Neuve da circa 3 anni. Per due anni hanno abitato a Gordes e, alla morte del padre di Fortunée, si sono trasferiti alla Bastide-Neuve, dove abita ancora la madre della sposa, suocera di “Adrien”.

Nella sera del 24 dicembre partecipano alla cena anche il padre di “Adrien” e Alfred Béridot, cugino di Fortunée, che fa il mugnaio a Goult, piccola frazione dei dintorni. I commensali hanno brindato  alla guarigione di “Adrien” che, per alcuni mesi, ha sofferto di deperimento.

Verso le sette e mezza della sera, Alfred Béridot beve un ultimo bicchiere di vino augurando buon Natale e si avvia verso Goult. Prende una scorciatoia nei campi ma ben presto sente il rumore di uno sparo e, subito dopo, lontane invocazioni di aiuto. Ritorna indietro di corsa e, dai fori dello sconnesso portone della fattoria, vede un corpo steso a terra, mentre  la vedova Béridot e il padre di “Adrien” gemono e si agitano insieme ai servitori della fattoria e ad alcuni vicini di casa.

Il povero “Adrien” giace a terra col petto coperto di sangue: una fucilata lo ha colpito mentre, come suo solito, si dirigeva alla scuderia per una visita serale. La scena è illuminata da parecchie candele e dalla lanterna accesa che “Adrien” portava con sé e che è caduta a terra.

Portato a letto, “Adrien” lamenta dolori tremendi, grida di ucciderlo per non dover più penare e muore dopo mezz’ora di sofferenza. Sua moglie Fortunée è rimasta seduta, con i gomiti appoggiati al tavolo e la testa nascosta fra le mani. Ogni tanto geme. Non è accorsa con gli altri al rumore dello sparo, non si è alzata, non ha assistito il marito agonizzante. Quando tutto è finito, lei sembrava svenire ed è stata messa a letto.

Alfred Béridot corre a Gordes per cercare un sacerdote e un medico il quale riscontra che “Adrien” è stato ucciso da due pallottole in pieno petto. Alfred va anche ad avvertire uno dei migliori amici di “Adrien”, François Denante, un mercante di cavalli di 35 anni che abita nei pressi, a Fontblanche, sposato e padre di famiglia.

Denante che è un pezzo d’uomo, buontempone e un po’ viveur, arriva con Alfred alla Bastide-Neuve: appena scorge il cadavere, lo abbraccia gridando: “Povero Auphan, mio grande amico! Chi ha potuto farti questo? Ah, se lo sapessi, passerebbe per le mie mani!”. Denante rimane alla Bastide-Neuve fino alla mezzanotte e il suo comportamento desta qualche sospetto.

Il signor Beauchamp, commissario di polizia di Gordes, ha inviato sul posto due gendarmi i quali riscontrano che l’assassino ha sparato facendo passare la canna del fucile attraverso uno dei larghi fori dello sconnesso portone della fattoria.

Le indagini si svolgono il giorno di Natale, quando arrivano da Apt il procuratore imperiale e il giudice istruttore. Il commissario Beauchamp non ha perso tempo: ha raccolto, oltre a pettegolezzi, precisi riscontri che indicano Denante come amante di Fortunée. Denante è stato controllato per tutta la giornata (tra l’altro ha ordinato la bara per “Adrien”!) e alla sera viene arrestato. Trascorre la notte con due gendarmi, si ferisce in un tentativo di suicidio, poi confessa. Ha ucciso “Adrien” per istigazione di Fortunée: mentre era appostato al portone, lei è uscita per incoraggiarlo con un bacio.

Qualche giorno più tardi, Fortunée viene arrestata: inizialmente nega, poi, nella primavera del 1862, confessa una sua complicità passiva senza ammettere di essere l’istigatrice dell’uccisione del marito.

La ricostruzione dell’omicidio ha un aspetto incredibile: quello di “Adrien” e Fortunée inizialmente è stato un matrimonio d’amore! Fortunée, già bambina capricciosa e problematica, è diventata una bellissima ragazza sdegnosa verso ogni pretendente. Alla festa dell’11 ottobre 1856, ha però accettato la corte di “Adrien”, gran bel ragazzo robusto e ben piantato, di buona famiglia, ma terribilmente timido.

Il padre di Fortunée non ha consentito alle nozze: con una intuizione veramente profetica, voleva proteggere “Adrien”, nel timore che sua figlia potesse fargli del male!

La capricciosa Fortunée ha messo in croce i genitori per avere il consenso, poi è andata a convivere con “Adrien” (siamo nel 1856!), a Marsiglia, per mettere i genitori davanti al fatto compiuto. Alla morte del padre nel 1857, come già detto, “Adrien” e Fortunée sono andati ad abitare alla Bastide-Neuve. Qui Fortunée ha avuto due figli morti giovanissimi e ha iniziato a prendere in uggia il marito. Denante frequentava la fattoria per il suo commercio di cavalli e di muli: nel 1861 lei lo ha provocato e ne ha fatto il suo solerte amante.

Alla fine di novembre 1861, Fortunée, incinta di Denante, lo ha spinto a uccidere suo marito. Sono stati eseguiti vari tentativi di avvelenarlo con fosforo, oppio e sublimato, che lei somministrava al marito col cibo e con le bevande. “Adrien” si era ammalato – questo il motivo del suo deperimento – ma non era morto anche se aveva assunto l’aspetto di un vecchio. Tutto questo è documentato dalle agghiaccianti lettere che Fortunée scriveva a Denante e che lui ha conservato. Allora Fortunée ha avuto l’idea di uccidere “Adrien” a fucilate: Denante ha comperato il fucile e lei gli ha procurato la polvere da sparo, prendendola dalla scorta che il marito teneva in casa.

Pare che siano stati effettuati anche tentativi, non mortali, di avvelenare la moglie di Denante ma la giustizia non se ne occupa.

Dal 1 al 3 maggio 1862, la Corte d’Assise di Vaucluse, a Carpentras, giudica gli amanti - il cui grande amore è svanito, si odiano e si accusano a vicenda delle maggiori responsabilità - e li condanna ai lavori forzati a vita.

Nell’estate del 1862 nasce il loro figlio che viene affidato alla nonna, la madre di Fortunée.

Il 21 agosto 1863, Denante evade dal bagno penale di Tolone, viene ripreso e condannato alla relegazione in Guyana, dove muore nel 1866 per la febbre gialla.

Nel 1865 Fortunée, che ha saputo di poter essere liberata se sposa un forzato della Guyana, vi si reca e sposa un prigioniero sconosciuto, che poco dopo muore, poi si risposa per una terza volta ma su questo aspetto le notizie sono incerte.

Il caso criminale entra nella letteratura popolare col romanzo di Adolphe Belot e Ernest Daudet, fratello maggiore del più noto Alphonse, intitolato “La Vénus de Gordes” che compare a puntate sul giornale parigino Le Figaro nel 1866 e poi in volume, con numerose riedizioni. Il caso ha ispirato anche il romanzo “Thérèse Raquin” di Emile Zola (1867) che ne ha poi ricavato l’omonimo dramma teatrale (1873).

Secondo lo scrittore Sylvain Larue, il termine di «amanti diabolici» è diventato di moda in Francia grazie a due film, “Ossessione” di Luchino Visconti (1943) - intitolato “Les amants diaboliques” in questa nazione - e “Les diaboliques” di Henri-Georges Clouzot (1955).

 

Fonti:

Armand Fouquier, Causes célèbres de tous les peuples, vol. 7, Paris, 1865-67.

Sylvain Larue, Les Grandes Affaires Criminelles. Crimes passionnels, De Borée, 2010.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 12/02/2017