TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: Il cannibalismo

Parliamo di cannibalismo con la ricostruzione di una caso giudiziario francese, noto come “Antoine Léger l’anthropophage (1824)”

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TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: Cannibalismo e film

Attenzione: questo testo contiene descrizioni e immagini forti, che potrebbero urtare la sensibilità di qualche Lettore!

 

Il vocabolo “antropofagia” indica il consumo alimentare di carne umana. Gli antropologi usano di solito il termine di “cannibalismo” per designare l’antropofagia praticata come atto rituale nell’ambito di culture primitive. Si parla di “cannibali” e di “cannibalismo” perché Cristoforo Colombo ha riportato per primo che gli amerindi delle Piccole Antille designavano con la parola “canniba” alcune popolazioni antropofaghe dei Cannibi o Caribi, i nostri Caraibi.

Il cannibalismo umano riconosce tre motivazioni:

* il cannibalismo rituale: l’idea del consumo alimentare di carne umana appare certo raccapricciante anche se è documentato fin dai tempi più antichi. Si ritiene che nessuna cultura abbia considerato il cannibalismo come una ordinaria fonte di approvvigionamento di proteine. Viene quindi considerato come una pratica rituale per acquisire i poteri delle vittime e/o per attuare un sacrificio agli dei. Di apparenze rituali sarebbe stato rivestito anche il cannibalismo reso necessario per certe popolazioni dell’America Meridionale dalla carente disponibilità di alimenti. Si distinguono due differenti comportamenti: il mangiare appartenenti della propria comunità (“endocannibalismo”) oppure componenti di un’altra comunità (“esocannibalismo”);

* la necessità, in casi di carestia e di situazioni ambientali estreme. Di questa eventualità, tragicamente frequente e reiterata, ricordiamo due episodi, quello noto come “La zattera della Medusa”, immortalato dal quadro dipinto da Théodore Géricault tra il 1818 e il 1819, e il disastro aereo delle Ande (1972);

* la manifestazione di alcuni disturbi mentali. Sono descritti vari criminali assassini che si sono cibati e, in alcuni casi, hanno venduto carne umana.

Esponiamo la ricostruzione di uno di questi casi di cannibalismo, il caso giudiziario francese descritto col titolo “Antoine Léger l’anthropophage (1824)” da Armand Fouquier nelle sue “Causes célèbres de tous les peuples”, vol. 7 (Paris, 1865-67).

Si tratta di uno dei casi più antichi documentati, se non il primo in assoluto, e ci è apparso interessante perché, malgrado la condanna a morte del colpevole ritenuto responsabile dalla giuria popolare, alcuni psichiatri del tempo si sono posti il problema dell’alienazione mentale di questo tipo di criminali.

Siamo al 24 giugno del 1824, festa di San Giovanni. Antoine Léger, di 28 anni, decide di lasciare la sua famiglia che abita a Saint-Martin-Brétencourt (Yvelines) perché ha deciso di vivere come un eremita.

Raggiunge Étampes, dove trascorre la notte in una locanda poi si dirige verso la foresta di la Ferté-Alais. Vive grazie ai furti di carciofi attuati nelle fattorie dei dintorni. Caccia anche dei conigli, che divora crudi.

Ha trovato rifugio in una grotta, nelle Roches de la Charbonnière, al di sotto di Montmirault nel territorio del comune di Cerny, oggi nel dipartimento dell’Essonne nella regione dell’Île-de-France.

Il 10 agosto 1824, alle quattro pomeridiane, Aimée-Constance Debully, di 12 anni e mezzo, lascia la sua fattoria di la Ferté-Alais e si reca nel bosco di Bondiveau per andare a togliere le gemme improduttive nei filari di una vigna. Tutta arzilla, si sistema col suo falcetto e comincia a lavorare. È allora che incrocia la strada del mostro…

Quel giorno, Antoine Léger è affamato. Non ha mangiato da parecchi giorni. Erra nei dintorni alla ricerca di mele. Alla vista della ragazza, è preso di una irrefrenabile pulsione… ha una sola idea in testa: divorarla.

Nessuno nelle vicinanze… è solo con lei. Scivola in silenzio dietro lei e la strangola con un colpo secco mediante un fazzoletto poi ritorna nella foresta con la sua vittima sulla schiena. Antoine è come in trance. Violenta la ragazzina, taglia le sue parti interne e le mangia, le strappa il cuore e lo succhia! Recupera anche il sangue che cola a fiotti, per berlo. Porta il corpo nella grotta, lo seppellisce sotto la sabbia, ne blocca l’accesso e poi si allontana dai quei dintorni.

Per cinque giorni si svolgono le ricerche di Aimée-Constance Debully. Il 16 agosto, i paesani di Cerny scoprono la tana dell’assassino. Liberano l’accesso poi entrano nella grotta, dove aleggia un odore nauseabondo. Scoprono così il cadavere della ragazzina scomparsa.

Nel frattempo, il 12 agosto, un guardaboschi del posto ha arrestato per vagabondaggio un uomo con l’aspetto di emarginato che vaneggia e mostra pensieri incoerenti. È Antoine Léger, che viene così portato in prigione, dove descrive agli altri detenuti la sua vita nella foresta. Il suo racconto permette ai gendarmi di collegarlo alla ragazzina uccisa e violentata. Dopo avere negato i fatti, Léger finisce per confessare.

Il suo processo si apre a Versailles il 23 novembre 1824. Dopo deliberazione della giuria che non lo ritiene pazzo, bensì colpevole di tutte le accuse, Antoine Léger è condannato alla pena di morte. Ascolta la sentenza senza mostrare la minima emozione. Non presenta ricorso in Cassazione.

A Versailles, al mezzogiorno del 1° dicembre 1824, una folla immensa assiste all’esecuzione di Antoine Léger. «Il bestiale assassino – scrive Armand Fouquier – mostrò tanta debolezza nei suoi ultimi momenti che fu necessario per così dire portarlo sul patibolo».

Già allora ci si poneva il problema dell’alienazione mentale dei criminali. Armand Fouquier scrive: «Allontaniamo un momento dal nostro spirito l’orrore che ci ispira questa belva dal volto umano, e chiediamoci chi era Léger. Per l’onore dell’umanità lo si vorrebbe pazzo; lo era?». Insigni psichiatri non lo consideravano responsabile ma uno sfortunato imbecille, un malato e non uno scellerato. Le lesioni del cervello riscontrate all’autopsia confermavano queste idee: «Léger era quindi giudicabile dal manicomio parigino di Bicêtre piuttosto che dal patibolo».

Anche in letteratura abbiamo esempi di cannibalismo, come il fin troppo celebre conte Ugolino della “Divina Commedia”. Alcuni studiosi ritengono che la favola tedesca di Hänsel e Gretel, riportata dai fratelli Grimm (1812), sia nata da un episodio di cannibalismo.

E nel cinema? Questo aspetto sarà analizzato dal mio collega Fabio Mandaglio. 

Fonti:

Le blog de Philippe Poisson;

Armand Fouquier, Causes célèbres de tous les peuples, vol. 7, Paris, 1865-67.

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Articolo pubblicato il 19/02/2017