The broken key, un film torinese tutto internazionale

Alla ribalta uno dei tanti primati della nostra cittŕ

Torino ha dato un significativo contributo alla industria cinematografica fin dagli albori. Già nel 1941 la studiosa Maria Adriana Prolo propose un primo progetto di Museo del Cinema a Torino, non è un caso che il regime fascista pur con la guerra ne riconoscesse la validità e non è un caso che dopo il 1945 vari ambienti cinematografici e giornalistici (Gazzetta del Popolo) contribuissero alla realizzazione fino al compimento del museo, come è attualmente, agli albori di questo secolo.

Recentemente il Museo (700.000 visitatori l’anno, al secondo posto in città dopo il museo egizio) ha ospitato alcun e scene delfilm “La chiave spezzata” che sarà proiettato al pubblico in anteprima mondiale proprio a Torino il prossimo 14 novembre.

Stiamo parlando di un film internazionale, con un cast del quale fanno parte Franco Nero, Rutger Hauer (Blade Runner, i falchi della notte a fianco di Sylvester Stallone), Geraldine Chaplin (la figlia di ‘Charlot’) e Kabir Bedi (Sandokan); cinquecento circa le persone mobilitate, fra attori e comparse.

Il film è diretto dal regista torinese Louis Nero (nessuna parentela con l’attore Franco Nero – che, fra l’altro, è un nome d’arte). È prodotto da “Torino Film Production” e da “L’altro Film” ; la prima è una giovane casa cinematografica tutta torinese.

La pellicola il patrocinio del Comune e della Regione per la sua caratteristica di promozione di siti e istituzioni rilevanti a livello cittadino e regionale. Subito dopo la presentazione sarà proiettato in duecento sale in Italia e all’estero. Ha già raccolto consensi dagli addetti ai lavori in occasione della all’ultima edizione del Festival Cinematografico di Cannes.

Il film prende le mosse da un frammento di un papiro custodito al Museo Egizio che descrive una lunga serie di dinastie faraoniche ed è interrotto  alla XVIII. Il “Papiro di Torino” (come spiegato da più fonti) viene fatto risalire al periodo intorno al 1290 – 1224 a.C. e riporta, oltre a una introduzione sui re divini e semidivini l'elenco dei sovrani dall'unificazione dell'Alto e Basso Egitto fino al momento della compilazione, insieme con il numero dei loro anni e, talvolta dei mesi e dei giorni, di regno.

Ha lo scopo di ricordare tutti i re dell'Egitto e la loro esatta lunghezza di regno, segnando un importante contrasto con altri elenchi conosciuti. È scritto in caratteri ieratici sul verso di un registro delle tasse scartato, del periodo in cui regnava Ramses II.

Il papiro fu acquistato a Tebe intorno al 1820 da Bernardino Drovetti (famoso collezionista piemontese dei primi del 1800) e da questi venduto al governo sabaudo andando con altri reperti a costituire la base del Museo Egizio.

Purtroppo nel trasporto in Europa fu gravemente danneggiato riducendosi in frammenti al fondo di una cassa, mescolati con altri papiri. Questi frammenti furono studiati dall’egittologo francese Champollion e dal suo antagonista tedesco Seyffarth.

Solo 100 anni dopo gli studi sul papiro approdarono in un libro redatto dagli italiani Farina e Caudana. Lo “spazio ideale” nel quale si snoda la trama del film è quello di questo papiro che però apre la strada – nel mondo reale - a interpretazioni contrapposte e alla ricerca di una sola verità.

Dallo scorcio panoramico iniziale sulla Sacra di San Michele si passa alle ricerche dei protagonisti in vari edifici storici di Torino, dalla Mole/Museo del Cinema alla Accademia delle Scienze, a Palazzo Cisterna per un thriller esoterico nel quale trovano spazio storia e fantascienza.

Dai passaggi segreti che si celano intorno alla statua del Moloch custodita al Museo del Cinema a misteriose e futuribili bare nei saloni del Castello di Venaria.

A Saliceto, Comune piemontese confinante con la Provincia di Savona, sono state girate scene incentrate sulla facciata con simbologie dall’indiscusso valore storico della Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo .

Il Film è stato girato interamente in inglese, quindi doppiato in dodici lingue e sottotitolato per i mercati più piccoli; un’occasione per presentare musei, palazzi, ambienti torinesi in tutto il mondo.

Un effetto simile a quello ottenuto quasi 50 anni fa con “the italian job”, la storia inventata di un furto di capitali cinesi destinati alla Fiat ad opera di ladri britannici a bordo di agili Mini-cooper.

Allora – però – l’immagine di Torino era quella di una monolitica metropoli industriale, mentre in questo caso l’ambiente è quello della cultura, di siti turistici accattivanti e di musei ai primi posti nel mondo.


Giancarlo Micono

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Articolo pubblicato il 01/11/2017