La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Caricatura di Casimiro Teja (Pasquino, 1870)

Santificare la domenica a coltellate

Questa storia inizia a Torino, nella sera di domenica 11 ottobre 1868, nell’Osteria di Settime d’Asti, posta oltre la Barriera di Nizza (l’attuale piazza Carducci) in quello che oggi è il quartiere Nizza-Millefonti e che al tempo è ancora aperta campagna, dove i giovani operai torinesi compiono le loro gite domenicali fuori porta.

Quella sera nell’osteria è infatti riunita una comitiva di parecchi giovani, fra i quali un certo Giacomo Losero, che mangiano e bevono in allegria parlando dei loro dei loro affari.

A un tavolo vicino è seduto Giuseppe Romero, soprannominato Tartaglia o Tartaglietto, giovanissimo garzone muratore residente a Torino, non ancora maggiorenne perché è nato a Pinerolo il 2 aprile 1849.

Il nostro Tartaglietto quella sera è scatenato, fa un baccano indiavolato compiendo capriole e disturba così le pacifiche conversazioni degli altri avventori.

Un vecchio, Antonio Rossetto, cerca di calmarlo dicendogli:

«Voi potreste fare un buon ciarlatano, ma dovreste farlo in piazza e non qui».

«Immischiatevi nei vostri affari, voi vecchione, - gli ribatte Tartaglietto - pensate alla morte che vi aspetta!».

Il vecchio tace e Tartaglietto continua a far capriole saltando di qua e di là.

A questo punto Giacomo Losero, veramente infastidito lo invita a starsene tranquillo: si scambiano così qualche parola offensiva. Losero prende allora l’esagitato per la giacchetta e lo trascina fuori dell’osteria.

Qui avviene la tragedia: Tartaglietto estrae il coltello e lo pianta nel ventre di Losero che cade a terra e muore quasi istantaneamente.

Subito vengono avvertiti i carabinieri e questi vanno a cercare Tartaglietto a casa sua ma non lo trovano nel solito letto perché quella notte, per precauzione è andato a dormire nel fienile. Come molti giovani lavoratori è probabile che risieda in qualche cascina periferica di Torino.

Il giorno dopo, Tartaglietto si alza presto, si ricorda di aver lasciato la giacchetta all’osteria e così va a recuperarla. In questa circostanza dice all’oste:

«Ieri quei tali, volevano prendermi i denari, ma mi… [ma io…]».

«Che cosa volete dire col ma mi…».

«Niente, niente».

Recuperata la giacchetta, si avvia verso Torino. Per spiegare questa affermazione, occorre ricordare che l’osteria è in aperta campagna, al di fuori del muro della cinta daziaria. Così Tartaglietto entra dalla Barriera di Nizza, percorre la via Nizza, dove le case del borgo San Salvario sono presenti soltanto a partire dalla piazza Nizza.

Lungo la strada incontra i carabinieri che, dopo averlo riconosciuto, lo ammanettano e lo portano in prigione.

La Corte di Assise di Torino lo giudica martedì 26 gennaio 1869.

Tartaglietto è accusato di omicidio volontario per avere provocato a Giacomo Losero col coltello una ferita alla regione epigastrica sinistra, causa della morte quasi istantanea.

Nessun testimone lo ha visto mentre vibrava il colpo e Tartaglietto nega di averlo vibrato.

Ma i giurati non gli prestano fede anche se il suo difensore, avvocato Scanagatti, cerca in tutti i modi di scagionarlo e il Pubblico Ministero, cavalier Rossi, ottiene la condanna a vent’anni di lavori forzati, in considerazione della sua minore età.

Quando il cronista giudiziario Curzio narra questa triste vicenda dall’esito funesto (un giovane morto e il suo uccisore condannato a 20 anni di lavori forzati) nella sua Rivista dei Tribunali apparsa sulla «Gazzetta Piemontese» del 30 gennaio 1869, nel linguaggio comune non si usa ancora con sistematicità il termine di “barabba” per indicare giovani che, come Giuseppe Romero detto Tartaglietto, santificano la domenica a coltellate uccidendo un coetaneo per un banale litigio. Il termine “barabba” in seguito sarebbe stato largamente impiegato sempre invocando attività repressive e senza preoccuparsi troppo di svolgere azione preventiva. 

E, in verità, dalla lettura della cronaca di Curzio si direbbe che, pur nella sua veste di cronista giudiziario, non colga appieno tutta la gravità di delitti di questo genere che denotano sicuramente un forte disagio fra i giovani lavoratori cittadini.

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Articolo pubblicato il 22/01/2019