La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Caricatura di Casimiro Teja (Pasquino, 1871)

La «lunediana», secondo Luigi Pietracqua e il suo romanzo «La C̣ca dël Gàmber»

Prosegue la nostra ricognizione a proposito della «lunediana» e dei «lunedianti».

Abbiamo visto in precedenza come spesso la lunediana si concluda malamente perché i suoi protagonisti finiscono per fare ricorso al coltello e alle armi improprie. Ma per farsi male possono bastare i semplici pugni.

La «Gazzetta Piemontese» del 3 ottobre 1876, sotto il titolo «La lunediata», racconta un episodio che ricorda il detto «Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io».

Tre operai che hanno sprecato in bagordi gli ultimi soldi del salario, rubandoli alla famiglia, dopo avere passata allegramente la giornata di lunedì 2 ottobre, si mettono a bisticciare in piazza Statuto. Si scambiano botte da orbi e con tanta animosità che si rende necessario l’intervento di quattro Guardie Municipali per far terminare la lotta tra due di quei buoni amici.

Il terzo, al primo attacco, è stato messo fuori combattimento da un pugno sul naso così potente che lo ha mandato, svenuto, a gambe all’aria.

Pugni vandalici li troviamo, sotto il titolo «Lunedianti», nella «Gazzetta Piemontese» quando ci racconta che dopo aver gozzovigliato per tutto il lunedì 27 agosto 1877 e per tutta la notte, tre giovinastri ubriachi si sono recati al mattino del martedì in un caffè di Borgo Dora dove uno di essi si è addormentato.

Quando è stata l’ora di andarsene, i compagni lo volevano svegliare, ma il giovane, che forse ha il sonno ed il vino cattivi, ha sferrato contro di loro, a caso, un pugno così potente che, cadendo sul tavolo, ne ha rotto la lastra di marmo. 

Tra i lunedianti, che non hanno più denaro, e l’esercente, che vuol essere indennizzato per il danno, scoppia una lite che richiede l’intervento delle Guardie Municipali: deve essere compilato lì per lì un compromesso che ricorderà a lungo ai tre giovinastri quanto costi una lunediata (Gazzetta Piemontese, 28 agosto 1877).

Non sempre la lunediana si conclude con scontri fisici violenti.

Ecco un lunediante un po’ malinconico, che ricorda Lice, l’ubriacone sfortunato della canzone “Teste parèj” di Gipo Farassino.

Il 17 luglio 1876, un ubriaco di lunediana tenta inutilmente di tornare dal borgo Vanchiglia alla sua abitazione presso il Ponte delle Benne, il ponte sulla Dora di corso Regio Parco. Ad ogni passo barcolla, dopo una mezza dozzina di barcollamenti cade e la sua ubriacatura è così potente che, senza accorgersi delle ammaccature, si addormenta brontolando.

Una Guardia Municipale, che lo ha seguito, lo solleva due volte, gli propone di farlo riportare a casa ma l’ubriaco non ne vuole assolutamente sapere. Alla fine, per farla finita, viene cacciato in una vettura pubblica e portato in Questura per fargli smaltire la ciucca (Gazzetta Piemontese, 18 luglio 1876).

Il bisogno compulsivo di fare bisboccia può giungere a trasformare un lavoratore in borseggiatore.

Leggiamo:

Ladri. – Un decoratore di appartamenti, occupato il 20 novembre 1876 a far lunediata, trovandosi senza danaro, pensò di cercarne nelle tasche del prossimo e scelse a vittima una buona donna che andava pacatamente per i fatti suoi. Fece il tiro a meraviglia ed un portamonete pinzo di biglietti di piccolo taglio mutò domicilio. Ma il diavolo fa le pentole e non il coperchio: un ufficiale doganale ed un soldato del 21° reggimento avevano veduto il gioco e capito il tiro. L’arrestarono e malgrado tutto il suo protestare lo consegnarono alla Questura che lo mandò ai freschi (Gazzetta Piemontese, 21 novembre 1876).

Visto che abbiamo nominato Gipo Farassino, ricordiamo che la lunediana ha una sua precisa citazione letteraria: ne parla Luigi Pietracqua (Voghera, 1832 - Torino, 1901), autore di commedie e romanzi in lingua piemontese, quando fa iniziare il suo romanzo La Còca dël Gàmber presentandoci alcuni giovani operai torinesi che trascorrono all’osteria la giornata di lunedì.

Questo romanzo di Pietracqua, apparso a Torino nel 1891, presenta il fenomeno delle Còche giovanili della Torino preunitaria (precursore della barabberia!) in parallelo alle vicende di una banda di assassini, capeggiata dal Barone Torquato Bertoglio.

Ricordo sempre con piacere La Còca dël Gàmber di Pietracqua che ho letto intorno al 1985, nell’edizione del 1970 di Andrea Viglongo: dopo attenta lettura delle ampie Note storiche finali - dove l’editore forniva alcuni spunti per una storia, ancora tutta da scrivere, delle associazioni criminali torinesi dell’Ottocento - ho deciso di iniziare le mie ricerche.

Chi non apprezza questi miei contributi a “Civico20News” adesso sa con chi deve prendersela!

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Articolo pubblicato il 12/02/2019