La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Caricatura di Casimiro Teja (Pasquino, 1871)

Lunedianti e lunediana: come reprimerli e come prevenirla

Concludiamo queste chiacchierate sulla lunediana e sui lunedianti prendendo in esame sia i mezzi repressivi messi in atto dalle autorità sui protagonisti sia le proposte per una prevenzione di queste sgradevoli manifestazioni che accompagnavano tutte le occasioni di festa cittadine.

È un fatto che la lunediana spesso termina con risse e violenze, più o meno gravi. La cronaca nera di martedì 2 maggio 1876 ne è un esempio:

«Rissa. – Ieri, sull’angolo delle vie del Carmine e Carlo Botta, succedeva una rissa tra due giovinastri. Un caporale di fanteria afferrava uno dei rissanti e lo trascinava lontano, mentre l’altro era trattenuto dagli amici. Pareva cosa finita, ma non lo fu: i rissanti si incontrarono poco dopo sul corso Valdocco e cominciarono a tempestarsi a vicenda a sassate, con grande spavento dei molti passanti.

Vedendo avvicinarsi le guardie, i due combattenti presero la fuga, ma dopo pochi passi furono arrestati dai bersaglieri e consegnati alla Questura. Sono due imbianchini di 17 e 18 anni, che avevano fatto la solita lunediata e che l’andarono a finire in carcere» («Gazzetta Piemontese», 2 maggio 1876).

L’intervento di tanti militari non deve stupire: al tempo, chi porta l’uniforme dell’Esercito Italiano si sente direttamente coinvolto nella tutela del buon ordine.

Spesso soldati, sottufficiali ed ufficiali intervengono spontaneamente per fermare ladri in fuga, per bloccare borsaioli in azione e per sedare risse fra teppisti, da soli o in aiuto a Guardie di Pubblica Sicurezza, a Guardie municipali ed a Carabinieri.

Il peso maggiore per il contenimento delle intemperanze dei lunedianti ricade però sulle Guardie Municipali. Soltanto quando sono commessi gravi reati, gli arrestati vengono portati in Questura.

Qualche volta le intemperanze dei lunedianti possono rendere il lunedì difficile per le Guardie Municipali che sono le prime a intervenire.

Così, sulla «Gazzetta Piemontese» di martedì 19 settembre 1876 leggiamo che:

«Alterchi. - Ne successero molti, causa la lunediata; [..] sul corso Santa Barbara [corso Regina Margherita, nel tratto fra piazza della Repubblica e corso Regio Parco, N.d.A.] due giovinastri per ragion di troppo vino bevuto si scambiarono una tempesta indiavolata di pugni. Le stesse scene accadevano tanto frequenti, specialmente nei borghi, che le Guardie municipali non avevano momento di respiro tra un intervento e l’altro».

Va detto a questo punto che la lunediana è tipica dei cattivi operai, di tutte le età, ma assume carattere più preoccupante per quelli più giovani per i quali un abuso nelle assenze sul lavoro può segnare il passaggio nella categoria dei barabba.

Come rimedio alla lunediata, il cronista della «Gazzetta Piemontese» del 28 marzo 1876, propone un atteggiamento assai energico ed intransigente da parte dei datori di lavoro: la lunediata è una «Maledetta abitudine d’ozio che non si potrà sradicare mai se gli industriali non mettan piede al muro e stieno fermi nel congedare i lunedianti».

Un provvedimento forse troppo sbrigativo ma come, vedremo condiviso almeno sul piano teorico.

Come mezzo preventivo, sempre il cronista sostiene anche la limitazione delle occasioni di festa al lunedì: così, quando la festa patronale all’allora sobborgo della Crocetta, da domenica 2 settembre 1877 è prolungata al lunedì 3, scrive:

«[…] non ci pare che si sia fatto gran bene a permettere questo prolungamento che non ha in sua giustificazione neppure la solita fallace parvenza del favorire il commercio della località. Commerci non ve ne sono, meno quelli d’un paio d’osti e di qualche decina di banchi da fiera di contado, e tutti di gingilli e di dolciumi; e certo nessun di questi merita di essere favorito.

Questa festa non favorirà che la lunediata degli operai, ed è gran danno, grande disgrazia il dar o soffrire incentivo nuovo a pessimo vizio» («Gazzetta Piemontese», 3 settembre 1877).

Rimedi modesti e inadeguati alla gravità del fenomeno?

Conosciamo il parere di un esperto dal libro «Torino 1880», corposo volume della casa editrice torinese Roux e Favale (1880) che propone gli elaborati di ventisei competenti della vita cittadina per offrire un quadro dei molteplici aspetti della nostra città. L’esperto è Carlo Anfosso, autore del capitolo “Torino industriale”.

Carlo Anfosso (Torino, 1846 – Roma, 1918) è medico, naturalista, docente liceale, di formazione scientifica positivista. Minimizza la barabberia torinese:

«Quel brutto figuro del barabba, insolente e briccone, che ci fu importato dal di fuori, viene scomparendo fra di noi: i compagni stessi, la fermezza degli industriali, i benefizi dell’istruzione ci liberano di questo gramo germoglio, che faceva torto alla dignità del nostro ceto operaio».

E più avanti, a proposito della lunediata, afferma: «È raro quell’infausto vezzo della lunediata, riservato solamente agli operai di second’ordine: i proprietarî di fabbriche, colla loro insistente severità, sono riusciti a sradicare questa mala erba quasi del tutto dalle abitudini operaie».

Queste affermazioni di Anfosso hanno l’evidente scopo di offrire ai lettori un quadro favorevole (e quasi idilliaco!) dell’ambiente di Torino industriale ma sono purtroppo largamente contraddette dalla cronaca dei giornali e, soprattutto, dagli studi di Giovanni Saragat pubblicati all’inizio del Novecento, che indicano come la barabberia torinese, con annessi e connessi, sia ancora vitale.

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Articolo pubblicato il 19/02/2019