Intervista a Lucilla Giagnoni autrice e attrice dello spettacolo MAGNIFICAT, a cura di Emiliano Bonifetto.

Torino – Teatro Astra.

Lucilla, martedì 29 gennaio debutta al Teatro Astra il tuo nuovo spettacolo, “Magnificat”. A Torino tu godi di un buon seguito di pubblico, ma se dovessi presentare questo tuo nuovo lavoro a chi non ha mai visto un tuo spettacolo, come vorresti che fosse definito il tuo particolare modo di fare teatro?

Non è facile dirlo in due parole. A volte il mio lavoro è stato definito “teatro di narrazione”, e in fondo è vero, racconto storie. Però le storie che racconto non appartengono solo alla letteratura teatrale, poiché attingono anche ai grandi testi spirituali dell’umanità. Diciamo che io mostro nuove prospettive di lettura teatrale in funzione di una ricerca di evoluzione spirituale.

 

Quindi i tuoi spettacoli sono tesi a fornire risposte a questioni importanti, esistenziali …

Come artista il compito che sento più mio, più che dare risposte, è quello di interrogare, di interrogare il mio tempo e di interrogare me stessa. Però è vero che ogni mio spettacolo è il tentativo di dare risposta alle domande lasciate aperte dallo spettacolo precedente, per questo non è facile definire ciò che faccio senza tirare in ballo ciò che ho fatto in precedenza …

 

Dunque c’è un filo che lega tutti i tuoi lavori?

Sì, fin da quando, nel settembre del 2001, alla visione del crollo delle Torri gemelle, ho maturato lo spettacolo “Vergine Madre”, il primo della “Trilogia della Spiritualità”, fino a quest’ultimo che chiude la “Trilogia dell’Umanità”, “Magnificat”. Da “Vergine Madre” a “Magnificat”: il filo rosso è una preghiera che porta forse una risposta.

 

Perché parli di ricerca di un’evoluzione spirituale?

I grandi testi su cui ho lavorato, dalla Divina Commedia alla Bibbia, ci parlano dell’essere umano come una creatura mancante, desiderante, facendoci intuire che qualcosa in questo nostro mondo è stato trascurato, abbandonato, e alla fine esiliato. Perciò ne sentiamo la mancanza. In “Vergine Madre” dicevo che sentiamo nostalgia di Dio, anche se non so cosa sia veramente ciò che chiamiamo Dio. Quello che so è che c’è una forza vitale, capace di generare e perciò divina, che è parte di noi, di cui sentiamo la mancanza, a cui è molto difficile dare un nome, ma che potremmo chiamare il “Femminile”.

 

È facile contrapporre “femminile” a “maschile”, ma è questo che intendi?

No, per me il “Femminile” è quella forza che può fare ciò che sembra impossibile, cioè unire gli opposti, dare armonia ai contrari. Figlia e Madre è relazione, nel bene e nel male. Nel precedente mio lavoro, “Furiosa Mente”, racconto che dal sentirsi esseri mancanti e irrisolti emerge la necessità di essere in relazione, “in connessione” gli uni con gli altri (il Femminile), ma anche la necessità di “combattere”, di agire sulla realtà per trasformarla (il Maschile); gli orientali conoscono meglio di noi queste due realtà, le chiamano Yin e Yang, e sanno che devono essere in armonia. Ma noi esseri umani – che ci siamo chiamati Homo sapiens e non Donna sapiens – negli ultimi millenni queste due forze le abbiamo messe in contrapposizione, facendo sì che il “Maschile” soffocasse sempre più il “Femminile”, creando una condizione patologica di guerra perenne votata alla distruzione, spacciata per inevitabile e connaturata all’essere umano.

 

Quindi per te “femminile” e “maschile” sono qualcosa di diverso da ciò che si intende generalmente, non sono solo proprietà caratteristiche di femmine e maschi …

“Femminile” e “Maschile” sono degli archetipi iscritti nel nostro codice più profondo, sono il substrato di tutta l’umanità, stanno all’origine di ogni pensiero, conscio e inconscio. Le fiabe che ci sono state narrate da bambini sono scrigni di archetipi. Per esempio, la fiaba in cui una fanciulla, circondata da benedizioni e maledizioni, si punge col fuso e cade addormentata per cento anni parla di un archetipo del “Femminile” addormentato, nascosto, coperto da rovi. A questa Terra, che custodisce dentro di sé, sotterranea, la forza generatrice del “Femminile”, fanno riferimento le ultime parole di un’altra straordinaria preghiera/poesia, che è anche il finale di “Furiosa Mente”: “Laudato sì mì signore per sora nostra matre Terra”, canta San Francesco. Terra è Humus, da cui la parola Homo, e non invece Donna, che viene da Domina, Signora, quasi a compensare con un titolo ciò che non è. O non è ancora, così come non è – o non è ancora – l’Homo-Humus, che conosce e pratica l’humilitas, l’umiltà, cioè l’essere in armonia con la Terra. L’umiltà, insieme alla lode, al ringraziamento, al servizio, è tra le prime parole di una preghiera/poesia ancora più antica, il “Magnificat”. Forse questa è una risposta: le Generazioni, cioè la Storia, cioè il nostro agire, dovranno d’ora in poi riconoscere che solo se dalla Terra riemergerà il “Femminile” ci sarà una possibilità per tutti di futura convivenza, non solo nella sopravvivenza, ma nella beatitudine, cioè nella felicità.

 

Grazie Lucilla, prima di lasciarci, in attesa di venirti a vedere, c’è ancora qualcosa che vuoi condividere con noi?

Sì, un passo di Rainer Maria Rilke, meraviglioso poeta di fine ottocento, che suona così:

“Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile.

Questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina.

E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all’amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda”.

 

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Articolo pubblicato il 24/01/2019