La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

I coscritti

«A l’é ‘l Piemont ch’a-i dà a l’Italia / soa pì bela gioventù», è il ritornello della Marcia dei Coscritti Piemontesi. Lo intonano i musicanti della Fanfara della Brigata Alpina Taurinense su una musica che acchiappa e così fioccano gli applausi mentre spuntano molte lacrimucce di commozione.

Va così, anche oggi che il servizio militare non è più obbligatorio, perché gli Alpini mantengono inalterato il loro alone di simpatia e di consenso.

Queste considerazioni mi sono venute alla mente mentre raccoglievo una manciata di ritagli della “Gazzetta Piemontese” degli anni ’70 dell’800, tutti riferiti ai festeggiamenti dei coscritti in Torino.

Non posso dilungarmi sull’importanza della coscrizione, in Piemonte indicata con l’espressione “Tiré ‘l numer”, tirare il numero, perché effettivamente i coscritti, davanti al Consiglio di leva, estraggono un biglietto numerato: il numero superiore a quello della quota di soldati richiesta per quell’anno esonera dal servizio militare. Chi estrae numeri inferiori va sotto le armi per vari anni.

La coscrizione segna il passaggio dei giovani alla vita: molti ricevono l’iniziazione sessuale in una casa di tolleranza. Sono frequenti rappresentazioni ottocentesche, soprattutto francesi, dei chiassosi cortei di questi giovani, col numero estratto nel nastro del cappello, che percorrono le vie cittadine preceduti da una bandiera, con tamburini e altri suonatori. Il tutto si conclude con una solenne ubriacatura collettiva. Nei confronti delle intemperanze dei coscritti l’opinione pubblica mostra di solito una certa indulgenza perché preludono al lungo servizio militare con la sua ferrea disciplina.

Per contro, gli articoli consultati non rivelano alcuna simpatia nei loro confronti, visto che se ne parla a proposito di «Torino noir».

Sulla “Gazzetta Piemontese” del 24 agosto 1876 vediamo tutta l’insofferenza del cronista verso i coscritti: appare proprio indignato visto che li accomuna ai barabba, cioè ai giovani teppisti cittadini!

Leggiamo:

Coscritti! – E sarebbe gran tempo che si ponesse impedimento agli schiamazzi dei barabba e dei villani che una città civile fanno rassomigliare per più giorni ad un borgo di mascalzoni; non sappiamo qual brutto giudizio possano dare i forestieri che capitano in Torino in quei giorni nefasti. Ma non basta che essi rompano i timpani ed insudicino le vie, rubano, accoltellano e truffano.

Una frotta di questi giovinastri noleggiava ieri un paio di cittadine, e dopo molto girare e rigirare per la città con frequenti soste agli spacci di vini e di liquori, ordinò ai cocchieri di portarla, urlante ed ubriaca, al Casino di Campagna.

Qui si bevve e si mangiò per una non piccola somma; si buttaron via anche i piatti ed i bicchieri; i due cocchieri furono invitati a tavola e naturalmente accettarono; ma quando venne l’ora di pagar lo scotto quei malandrini cominciarono a cercare il pelo nell’uovo ed uno dopo l’altro se la svignarono. L’oste, che non voleva esser gabbato, fece staggire dai suoi giovani le due cittadine, ed i due poveri cittadinai, così brutalmente assassinati, dovettero pagar del loro lo scotto per riavere cavalli e vetture.

Il cronista così prosegue:

Altri coscritti (auff!) preceduti ancora da una bandiera che bruttano, presero d’assalto in Piazza Castello una cittadina [carrozza pubblica, N.d.A.] il cui conducente come tutti fanno per fuggir noie e peggio, si allontanava dalla stazione al momento in cui vide giungergli accosto quei monellacci ubriachi.

Erano in sette e, malgrado l’intervento di più persone, stavano per mettere a mal partito il vecchio cocchiere, quando in suo aiuto sopraggiunsero due Guardie Municipali, che con la loro energia impedirono i coscritti di trascendere. Essi si mossero allora in cerca di altro veicolo, ma in un attimo tutte le cittadine di stazione in piazza Castello scomparvero, come una folata di passeri spaventati. Ma non stettero lontani per molto, poiché all’arrivare di parecchie Guardie di P. S. i coscritti se n’andarono di volo partendo assieme per diverse parti e lasciando in grande impiccio il bandieraio.

Ogni giorno si arrestano ubriachi e si conducono al fresco a digerire la cotta: perché si usa tanta indulgenza quando gli ubriachi si presentano a frotte? Non c’è posto nei salotti oscuri della Questura?».

Così la “Gazzetta Piemontese” del 24 agosto 1876.

A novembre dello stesso anno si torna a parlare di coscritti, provenienti dai comuni della provincia di Torino, e delle loro malefatte, con disprezzo tutto cittadino verso questi giovani, considerati alla stregua di selvaggi sottosviluppati, che possono anche prendersi a legnate ma non nelle vie di Torino.

Risse. - Tra i coscritti di Caselle e di Leynì, ogni anno, per bestiale ricordo di antiche gare, nascono risse e scontri in piena regola barabbesca. Ieri [20 novembre 1876] una frotta di giovani di Leynì, preceduti da un porta-bandiera, si incontrarono in via della Zecca [via Giuseppe Verdi] coi coscritti di Caselle.

Le due schiere, non volendo cedersi il passo, si ordinarono a battaglia ed i capoccia di Caselle assaltarono tosto l’alfiere cercando di strappargli la bandiera. Ma questi l’avea già capovolta e dell’asta si serviva come di un bastone menando giù botte da orbo sui Casellesi. Per fortuna due Carabinieri furono pronti a frammettersi fra i contendenti, uno dei quali fu condotto in carcere (“Gazzetta Piemontese”, 21 novembre 1876).

L’anno seguente a scatenare uno scontro sono i coscritti di Gassino e di San Mauro. 

Battaglie. - Verso le 9 ¼ di ieri [28 novembre 1877] in via Vanchiglia s’incontrarono due frotte di coscritti, l’una di Gassino e l’altra di San Mauro.

Ai San Maurini saltò in capo il ticchio di volersi impadronire d’una bandiera portata dai Gassinesi e ne nacque una vera battaglia a pugni.

L’asta della bandiera andò a pezzi e non servì che a ferire al naso certo A… da Gassino.

Accorsero guardie municipali e pompieri a separare i combattenti e non senza stento vi riuscirono (“Gazzetta Piemontese”, 29 novembre 1877).

È giunto il momento di sfumare l’immagine degli astiosi cronisti e di evocare quella dei musicanti della Fanfara della Taurinense: «A l’é ‘l Piemont ch’a-i dà a l’Italia / soa pì bela gioventù»…

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Articolo pubblicato il 19/03/2019